Un bimbo africano, la malaria, l’intercessione di uno sconosciuto prete italiano [prima parte]
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 19/04/2012
Nel Gennaio 1998, Gershom Chizuma, nato il 19 Maggio del 1994, non aveva ancora quattro anni. Il papà è poliziotto nella guarnigione di Kamfinsa (Zambia), a circa quindici chilometri da Kitwe, e la mamma è infermiera diplomata. Entrambi appartengono alla Chiesa Avventista del Settimo Giorno, una confessione protestante sorta negli Stati Uniti verso la metà dell’Ottocento, che si è diffusa anche in Africa dove vanta quasi due milioni di fedeli.
Il bambino ha uno sviluppo assolutamente normale. Ma il 18 Gennaio del 1998 ha improvvise convulsioni e febbre piuttosto alta. La mamma, Martina Kadolo Chizuma, lo porta al dispensario di Kamfinsa, pensando che si tratti di una manifestazione della malaria. Gli somministrano clorochina e paracetamolo. Il giorno seguente le sue condizioni peggiorano e le sue membra cominciano a irrigidirsi.
“La collega infermiera di Kamfinsa mi suggerisce di portarlo all’ospedale centrale di Kitwe. Viene ricoverato nel reparto pediatrico, nell’ala dei non paganti. Insomma, quella dei poveri. Lì ci sono sempre tanti bambini malati, a volte dormono in tre nello stesso lettino. I medici e gli infermieri sono pochi. E intanto Gershom continuava a star peggio, faceva fatica a stare sveglio. La mattina del 21 Gennaio, ho chiesto e ottenuto che fosse trasferito nell’ala a pagamento, dove è stato preso in cura dal dottor Jada Marsyano Muludyang. Le prime analisi portano alla diagnosi di malaria cerebrale” (Dall’intervista di Herman Schatte per la trasmissione “Miracoli” del 12 Aprile 2002, Retequattro).
Il dottore è uno specialista nel campo della malaria. Dall’Agosto del 1970 a quel giorno, in ventotto anni di servizio presso vari ospedali, ha curato circa mille bambini colpiti dalle diverse forme di malaria. Racconta: “Gershom è arrivato nel mio reparto alle 00:40 del 21 Gennaio. Era incondizioni molto serie: continue convulsioni di tipo epilettico e coma del terzo grado. Le analisi del sangue avevano evidenziato che era stato colpito dalla malaria cerebrale.”
“Purtroppo era del tipo “falciparum”, la più comune nelle aree tropicali e subtropicali, e certamente la più pericolosa e letale. Il decorso normale della malattia presenta febbre alta, convulsioni periodiche e spesso uno stato di coma. Se non viene curata in tempo, il paziente muore. Anche quando viene curata, il paziente può morire nello spazio di due o quattro giorni. Se invece sopravvive, questo tipo di malaria causa danni seri al cervello con sequele neurologiche quali la cecità, la sordità, emiparesi, disturbi del linguaggio… Per il piccolo Gershom mi sono subito reso conto che non c’erano speranze”.
Il bambino viene curato con chinino, clorochina, Fansidar, Halfan, tutti farmaci indicati per combattere la malaria. Niente da fare. La sintomatologia non muta e anzi, si aggrava, perché al quinto giorno di degenza Gershom è colpito da una broncopolmonite e da una setticemia diffusa. È sempre in stato di coma, sotto ossigeno e spesso il sangue gli esce dalla bocca. La mattina del 2 Febbraio, dopo nuove analisi, il dottor Muludyang incontra mamma Martina. Lei già sapeva perché. Il medico aveva il dovere di dirle che per il suo bambino ogni speranza di guarigione era perduta.
Racconta Agnes Sichinga, la caposala dell’ospedale pediatrico: “In quel periodo il piccolo Gershom era l’unico bambino malato che si trovava in una condizione così grave e abbiamo avuto nei suoi riguardi un ‘attenzione particolare. Ci siamo prodigati nelle cure, perché il suo cuore continuava a battere. Più volte abbiamo tentato di stimolarlo, pizzicandolo per creare una reazione al dolore. Ma non reagiva. Restava sempre in coma, non voleva svegliarsi e forse non si sarebbe più risvegliato… Abbiamo allora cercato di confortare la mamma, ma non potevamo ingannarla. Lei, infermiera come noi, aveva già capito tutto.” (Fonte: Nuovi Miracoli di Piero Vigorelli, Piemme, 2004)
[…continua]
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