Come i fermenti lattici vivi sono piccoli ma operosi e dinamici e pur essendo invisibili sono indispensabili alla vita, spero che questi "fermenti cattolici vivi" contribuiscano a risvegliare la gioia di essere cristiani.
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CUORE IMMACOLATO
DI MARIA
In rete si trova una parabola interessante. Ognuno riporta una fonte diversa, ritengo quindi che sia passata di bocca in bocca, di tastiera a tastiera ma, indipendentemente dalla fonte, mi piace ciò che trasmette e la condivido qui.
La si dovrebbe leggere – a mio avviso – soprattutto negli ambienti di lavoro…
L’inferno e il Paradiso
Dopo una lunga vita, un credente giunse nell’aldilà e fu destinato al Paradiso. Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima un’occhiata anche all’Inferno. Un angelo lo accontentò e lo condusse all’inferno.
Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi e pietanze succulente di golosità inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt’intorno, erano smunti, pallidi e scheletriti da far pietà.
«Com’è possibile?», chiese il credente alla sua guida. «Con tutto quel favoloso e squisito cibo che hanno davanti!» – «Vedi» – rispose l’angelo – «Quando arrivano qui, come prima cosa ricevono le posate per mangiare, solo che sono lunghe più di un metro e devono essere rigorosamente impugnate all’estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca». Il credente rabbrividì.
Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppure una briciola sotto i denti. Non volle vedere altro e chiese di andare subito in Paradiso.
Qui lo attendeva una sorpresa. Il Paradiso era un salone assolutamente identico all’Inferno! Dentro l’immenso salone c’era l’infinita tavolata di gente, e un’identica sfilata di piatti deliziosi.
Non solo, ma tutti i commensali erano muniti delle stesse posate lunghe più di un metro, da impugnare all’estremità per portarsi il cibo alla bocca. C’era una sola ma sostanziale differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia.
«Ma com’è possibile?» – chiese il credente.
L’angelo sorrise.
«All’inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perché si sono sempre comportati così nella vita.
Qui al contrario, ciascuno prende il cibo con le proprie posate e subito si preoccupa di imboccare il proprio vicino!».
Una notte il diavolo apparve a tre monaci e disse loro: “Se vi dessi il potere di cambiare qualcosa del passato, cosa cambiereste?“
Il primo di loro, uomo di grande fervore apostolico, rispose: “Non permetterei ad Adamo ed Eva di cadere nel peccato e all’umanità di allontanarsi da Dio”.
Il secondo di loro, uomo pieno di misericordia, disse al diavolo: “Impedirei che tu stesso ti allontanassi da Dio, condannandoti eternamente”.
Il terzo di loro, uomo molto semplice, si mise in ginocchio, fece il segno della croce e pregò dicendo: “Signore, liberami dal diavolo e da tutto quello che poteva essere e non è stato”.
Il diavolo, urlando stentoreo e rabbrividendo dal dolore, svanì. Gli altri due monaci sorpresi, dissero al confratello: “Fratello, perché hai reagito così?”.
Il monaco rispose loro: “In primo luogo, perché non dobbiamo mai entrare in dialogo col diavolo. In secondo luogo, perché non c’è nessuno capace di cambiare il passato. In terzo luogo, perché l’interesse di satana non è quello di provare la nostra virtù, ma di intrappolarci nel passato, impedendoci di vivere bene il presente, che è l’unico tempo che Dio ci dà per compiere la Sua volontà.
Affidiamo dunque il nostro passato alla misericordia di Dio, il futuro alla Sua provvidenza e il presente alla Sua grazia!”.
Era una famigliola felice e vivace in una casetta di periferia. Ma una notte scoppiò nella cucina della casa un terribile incendio.
Mentre le fiamme divampavano, genitori e figli corsero fuori. In quel momento si accorsero con orrore che mancava il più piccolo, un bambino di cinque anni. Al momento di uscire, impaurito dal ruggito delle fiamme e dal fumo acre, era tornato indietro ed era salito al piano superiore.
Che fare? Il papà e la mamma si guardarono disperati, le due sorelline cominciarono a gridare. Avventurarsi in quella fornace era oramai impossibile, e i vigili del fuoco tardavano.
Ma ecco che lassù, in alto, s’aprì la finestra della soffitta e il bambino si affacciò urlando disperatamente: “Papà! Papà!”.
Il padre accorse e gridò: “Salta giù!”.
Sotto di sé il bambino vedeva solo fuoco e fumo nero, ma sentì la voce e rispose: “Papà, non ti vedo…”
“Ti vedo io, e basta. Salta giù!” Urlò l’uomo.
Il bambino saltò e si ritrovò sano e salvo nelle robuste braccia del papà, che lo aveva afferrato al volo.
Non vedi Dio ma Lui vede te, buttati!
(Da “C’è Qualcuno lassù?”, di Bruno Ferrero, Elledici, Torino, 1993, pag. 40)
Come diceva un santo sacerdote, don Dolindo Ruotolo, “
Abbandonarsi significa chiudere placidamente gli occhi dell’anima, stornare il pensiero della tribolazione e rimettersi a me perché io solo operi, dicendo: “pensaci tu”.
Affidiamoci e affidiamo tutto al Padre che, con le sue braccia potenti saprà prenderci e prendere veramente le redini della nostra vita.
Chuck Colson, consigliere dell’ex presidente degli Stati Uniti Nixon, fu implicato nell’affare “Watergate” e fu imprigionato. Si convertì e si dedicò all’evangelizzazione nelle prigioni creando il gruppo “Prisol Fellowship”.
Una volta accadde che dopo una di quelle visite, e al momento di uscire, Colson si rese conto che uno del suo gruppo, il giudice Clement, non era lì. Un po’ nervoso tornò indietro e lo trovò nella cella del detenuto James Brewer.
“Ho bisogno di qualche minuto – disse il giudice – è molto importante. Tempo fa io ho condannato James alla massima pena, ma ora è un mio fratello e voglio pregare insieme a lui.”
Colson, commosso, guardò i due uomini: uno aveva il potere e l’altro era un povero detenuto; uno era bianco e l’altro era di colore; uno aveva condannato l’altro.
Quando si avviarono all’uscita, anche il giudice Clement si commosse dicendo a Colson che aveva pregato per Brewer ogni giorno dopo che lo aveva condannato quattro anni prima.
Il giudice Clement aveva fatto quello che il Signore voleva, e noi?
Mettiamoci in preghiera per chiedere a Dio di rivelarci quello che dobbiamo fare e poi alziamoci e mettiamoci all’opera.
(Tratto da “Una parola per oggi”, Edizioni CEM, Modena 2019)
Posso testimoniare che prendere la decisione di pregare ogni giorno per qualcuno che ci ha fatto del male, quando sarebbe l’ultima cosa che faremmo, prima o poi compie miracoli.
Uno studente di un liceo di Chicago di nome Mike passeggiava per il campus col suo tutor. C’era qualcosa che lo emozionava. Il tutor gli disse: «Sembri davvero su di giri Mike.» – «Lo sono», disse Mike. «Mio padre non sai quanto mi abbia impressionato questa mattina. Ero a fare colazione, lui era pronto per uscire con la sua ventiquattrore quando mi ha abbracciato dicendomi – “Buona giornata Mike”.
Quindi, per non so quale ragione mi è venuto in mente che non avrebbe iniziato a lavorare prima delle nove; erano solo le 7,45. “Papà”, gli ho detto, “Perché esci così presto? Non devi essere lì che alle nove e ci metti solo una decina di minuti per arrivare in ufficio.”
Mio padre mi ha risposto: “E’ vero Mike, ma di solito cerco di arrivare in tempo per la Messa delle otto della Holy Trinity Church che è di strada per il mio ufficio”.
Mi colpì molto, a me non era mai capitato di andare a Messa durante la settimana, lui non me ne aveva mai parlato prima. Ma quello che mi colpì di più fu che ultimamente lo facevo penare non poco solo per andare a Messa la domenica.
Father And Teenage Son Having A Hug
Lui non mi ha mai detto: ‘Guarda Mike, io ci vado tutti i giorni, tu ci dovresti venire almeno alla domenica. Non mi ha mai detto una cosa del genere, però stamattina mi ha fatto venire voglia di andare alla Messa quotidiana…, chissà, forse mi avrebbe donato uno sguardo diverso alla Messa domenicale”.»
Il padre di Mike non andava alla Messa quotidiana per impressionare qualcuno, lo faceva semplicemente come un atto d’amore in risposta al desiderio di Gesù che si facesse in memoria di Lui.
Quando facciamo del bene e lo facciamo semplicemente perché è una cosa buona, per la bellezza che l’azione ha in sé e per la gioia che ci dà, siamo sicuri di avere un vero impatto sulla gente.
Testimoniare il bene non è niente più di questo.
Se noi come Cristiani viviamo gli insegnamenti del Vangelo per amore di Gesù e del suo insegnamento, faremmo l’evangelizzazione più efficace possibile ai milioni che trarrebbero grande beneficio dalla conoscenza dell’amore di Gesù.
[Tradotto da «100 challenging anecdotes» (Pag. 17 e 18), di Percival Fernandez Vescovo ausiliario di Mumbay e segretario generale della Conferenza Episcopale Indiana].
Un padre narrò un giorno a’ suoi figlioli giovinetti questa storia:
Il governatore di una terra lontana fu richiamato un dì dal suo governo a rendere minuto conto della sua amministrazione. Pareva, e fors’anche era, un atto di sfiducia verso di lui.
Fra’ molti suoi amici, quelli su cui contava di più lo lasciarono partire senza muovere un dito in suo favore.
Altri, dai quali pure sperava molto, perch’egli s’era sempre adoperato per essi, lo accompagnarono solo fino alla stazione.
Alcuni altri invece, dai quali non sperava nulla, tutt’al più qualche indizio di benevolenza, lo accompagnarono per tutto il viaggio.
Anche l’uomo, figlioli miei, ha tre specie d’amici: ed egli non li impara a conoscere che nel momento in cui è chiamato da Dio a rendere conto delle sue azioni.
I primi sono le ricchezze e gli onori che al punto estremo lo abbandonano del tutto.
I secondi sono i parenti e gli amici, i quali non lo accompagnano che sino al cimitero.
I terzi sono le opere buone: queste fanno con lui il grande tragitto dal tempo all’eternità.
Quest’ultimi sono dunque gli amici che egli deve prediligere sopra tutti.
(Da “200 racconti di Cristoforo Schmid” per ragazzi, Editrice “La Scuola”, 1920, pag. 291)
13 Maggio, ricorre l’anniversario di nascita di Papa Pio IX, nato a Senigallia nelle Marche il 13 Maggio 1792. Mi piace ricordare così il Pontefice che amava definirsi un “parroco di campagna”.
In una nobile famiglia cattolica del Belgio… un bambino di circa sette anni era moribondo. La madre addoloratissima se ne stava presso il letto, aspettando l’ultimo respiro del figlio.
Era il 7 febbraio 1878 alle 5 e tre quarti pomeridiane, al tocco dell’Ave Maria. A un tratto il bambino si anima, si solleva, fissa gli occhi al cielo e stende le braccia esclamando: Mamma, che vedo! — Che cosa vedi, figlio mio? — disse la madre. — Pio IX che va su su! Oh quanto è bello! Tutto luminoso! — La signora credendo che il bambino delirasse procurava di calmarlo, ma un istante dopo il bambino esclamava di nuovo: Oh mamma, che bella cosa! La Madonna quanto è bella e sorridente! Ha una corona preziosa in mano. Ecco va incontro a Pio IX, gli pone la corona sul capo. — Dopo essere rimasto un istante a contemplare così giocondo spettacolo, il bambino volgendosi alla madre, che era rimasta sbalordita, le disse: Mamma, sono guarito. La Madonna e Pio IX mi hanno benedetto e guarito.
Il bambino era guarito difatti e pieno di vigore. La pia signora che ignorava lo stato allarmante della salute del Pontefice, fuori di sé dallo stupore, mandò un domestico all’ufficio del telegrafo per chiedere se si avessero notizie da Roma. Purtroppo fu risposto: E giunto poc’anzi un dispaccio il quale dà l’infausta notizia che il Santo Padre è spirato alle 5 e tre quarti pomeridiane.
(Dai Processi di beatificazione del Servi o di Dio Pio IX).
Ritengo che i giornaletti parrocchiali, spesso ignorati nei tavolinetti in fondo alle chiese, nascondano, a volte, delle perle preziose che meritano di essere riscoperte, come questa, scovata questa mattina, dopo la mezz’oretta che solitamente dedico a Dio, in una parrocchia a un paio di chilometri dal Vaticano…
C’era una volta, tanto tempo fa, un uomo semplice e buono. Era un buon marito, un papà tenero, un vicino generoso, un contadino onesto. E moglie e figli lo circondavano di tenerezza. Tuttavia l’uomo trovava che il destino era stato duro con lui. Non faceva che lamentarsi della sorte che gli era toccata. Invano la moglie cercava di farlo riflettere: «Dio sa quello che fa, fidati!». «Hai ragione. Dio sa il perché di tutto questo. Posso fare una cosa sola: andare a cercarlo e chiederlo a Lui».
Così, un bel giorno, l’onesto padre di famiglia che non era mai uscito dal suo villaggio, si mise in cammino alla ricerca di Dio. Una sera, sentì la gelida lama di un coltello appoggiata alla gola. Era un bandito, dagli occhi di fiamma. «Dammi i soldi! Ho già rapinato novantanove persone e tu sei la centesima!». Il pover’uomo vuotò il sacco e le tasche, dicendo tremante: «Se vuoi, prendimi tutto, ma lasciami andare. Voglio incontrare Dio per chiedergli perché l’uomo onesto è così spesso povero e il disonesto ricco». Il bandito cambiò atteggiamento e gli disse: «Ti chiedo solo un favore. Uno solo. Quando troverai Dio, chiedigli se un uomo che ha assalito novantanove volte il suo prossimo, ma ha sentito pietà per il centesimo, merita ancora il suo perdono». «Non mancherò», disse l’uomo, e ripartì.
Dopo alcuni giorni, fu coperto dalla polvere sollevata da un superbo cavallo. Il cavaliere dagli abiti sfarzosi chiese al polveroso viandante: «Dove vai?». «Vado a cercare Dio», spiegò l’uomo un po’ intimidito. «Devi farmi un favore», proseguì il ricco a bassa voce. «Quando incontrerai Dio non dimenticare di raccontargli che io sono molto ricco ma anche molto pio e buono. Chiedigli se, per questo, mi riserva un buon posto in cielo». Il pellegrino promise e riprese il cammino.
Finché una strana figura gli venne incontro. Era un vecchio, o meglio un uomo senza età, scarno e miseramente vestito. «Fermati e riposati un po’», disse il vecchio. L’uomo si sentì avvolto dalla dolcezza che emanava da quel vecchio e si fermò. «Sono io colui che cerchi…», gli disse sorridendo il vecchio. «Guardami bene: io ho creato tutto e non possiedo niente. Perfino tu sei più ricco di me, come vedi».
Il pellegrino si buttò in ginocchio e vuotò il suo cuore, con tutti i suoi dubbi e tutti i suoi perché. «Tu sei ricco, tanto ricco», gli disse Dio abbracciandolo dolcemente. «Io ti ho dato un’altra ricchezza, quella del cuore, che il ricco non possiede, perché neanche sa che esiste. È quella che ti fa indignare di fronte alle ingiustizie del mondo. Io ti ho evitato il fardello della fortuna che corrompe e rende l’uomo cieco nel cuore e nello spirito. Ti ho donato il coraggio di cercarmi, e anche l’occasione di trovarmi. Ora ti dò un’ultima ricchezza, la più rara: la felicità di accettare ciò che si è. E ora, torna a casa e vivi in pace. Tornando, dirai al ricco che il mio Paradiso non si compra con l’oro e al bandito che è perdonato perché ha scoperto la via giusta. Vai, quando sarà il momento verrò a prenderti e ti terrò con me per sempre».
E il vecchio svanì, come una brezza calma, serena, limpida, immensa.
I tre verbi di San Giovanni Paolo II nei ricordi di Joaquin Navarro Valls ex portavoce del Papa santo.
“Pregare, lavorare, sorridere”.
Con questi tre verbi Joaquin Navarro Valls ha riassunto la biografia di Karol Woytila, intervenendo alla presentazione del libro “Accanto a Giovanni Paolo II”.
PREGARE
“Vedere pregare Giovanni Paolo II – ha testimoniato il suo portavoce – era come afferrare un’infinitezza in cui lui si immergeva e permetteva di vedere dove andava il suo sguardo.”
“Non parlava quasi mai della sua interiorità”, ha detto Navarro Valls, “ma un giorno, a proposito della santa Messa mi ha detto: ‘E’ IL BISOGNO PIU’ PROFONDO DELLA MIA ANIMA’.
In Giovanni Paolo II, in altre parole, “la preghiera non appariva come un’attività a sé, ma come un’attività che teneva unita tutta la sua vita, dava senso e direzione a tutta la sua esistenza.
Perfino un agnostico come Michail Gorbaciov era arrivato a dire che la sua filosofia politica era fortemente sostenuta dalla sua spiritualità“.
Poi Navarro Valls ha raccontato dell’abitudine di Giovanni Paolo II di sostare alcuni minuti in preghiera, inginocchiandosi nella sua cappella privata, prima e dopo il pranzo e la cena: “Un giorno lo stavo aspettando durante una di queste soste, che però invece di due o tre minuti è durata dieci minuti. E il Papa a un certo punto mi ha detto: ‘Mi scusi, mi ero scordato che lei era qua’“.
LAVORARE
Lavorare, il secondo verbo.
“Il suo impegno era instancabile”, ha riferito l’ex direttore della sala stampa della Santa Sede: “Non solo nei grandi viaggi ma giorno per giorno, dalla Messa mattutina fino a tarda notte.
Alla sera trascinava i piedi, e non solo negli ultimi anni. Non sapeva perdere un minuto e non aveva mai fretta!”
SORRIDERE
Riguardo all’ultimo verbo essenziale per capire appieno la sua biografia, “sorridere”, Navarro Valls ha citato una frase di Benedetto XVI: “Nelle sue conversazioni c’era sempre spazio per il buon umore”.
“Era un uomo allegro, e fu allegro sempre”, ha confermato Navarro Valls, affermando che “una teologia dell’allegria” dovrebbe sempre far parte del bagaglio di “una persona che crede sul serio”.
A riprova del fatto che Giovanni Paolo II sapesse sorridere, il suo portavoce ha raccontato un episodio accaduto durante l’incontro con una persona “molto importante”.
Ricevuta in udienza, querst’ultima ha detto al Papa, che a quell’epoca aveva già il bastone: “Santità, la trovo molto bene”. E il Papa santo, di tutta risposta: “Ma lei pensa che non mi veda come sono combinato?”.
(Tratto da Fraternità, organo ufficiale dell’Associazione U.N.I.T.A.L.S.I., n. 2 marzo/aprile 2014)
Un episodio della vita di San Giovanni Bosco, per imparare ad avere più fiducia nell’aiuto della Madonna, sin nelle cose più piccole e concrete, soprattutto in tempi come questi…
Nel 1884 la signora Berk Meda, la vigilia della sua partenza per la Francia andò a riverire don Bosco che si trovava a Roma e, dopo avergli fatta un’offerta, gli chiese la benedizione. Don Bosco nell’accomiatarla le domandò: “Verrà ancora domani per la Messa?”. “Oh, no, non potrò venire, perché dovendo lasciar Roma la sera, occuperò la mattina nei preparativi per il viaggio.
La mattina dopo, rivedendo i suoi conti, trovò che rimaneva ancora una somma superiore al bisogno e le dispiaceva non avergli dato di più. Dominata da questo pensiero, benché l’ora della Messa fosse già trascorsa, noleggiò subito una vettura e volò da don Bosco, che per buona sorte trovò solo nella sua stanza. Egli appena la vide entrare disse: “Ah, la signora Meda. Sapevo bene che qualcuno sarebbe comparso.”
“Veramente io non avrei dovuto ritornare – rispose la signora – ma ho voluto portarle un altro po’ di denaro prima di partire”.
“Tenga bene a mente questa venuta – aggiunse don Bosco – perché qui si tocca da vicino il soprannaturale. Io dovrei essere in questo momento all’estremo opposto di Roma e non avrei riveduto la Signoria Vostra, né ella mi avrebbe ritrovato, avendo io un appuntamento presso un cardinale dopo la Messa.
Nell’uscire un creditore mi fermò sulla soglia, esigendo che gli pagassi un debito abbastanza rilevante. Gli ho dato quanto avevo ed ecco là il mio portafoglio vecchio e vuoto; non mi sono conservato nemmeno una lira per prendere la vettura.
Allora ho pregato Maria Ausiliatrice che mi mandasse qualcuno in aiuto e frattanto mi sono messo a lavorare. Vede dunque che io l’aspettavo e sapevo che sarebbe venuta“.
(Tratto da “Don Bosco e il soprannaturale” di Michele Molineris, Elledici, 2010, pag 232, 233)
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