Come i fermenti lattici vivi sono piccoli ma operosi e dinamici e pur essendo invisibili sono indispensabili alla vita, spero che questi "fermenti cattolici vivi" contribuiscano a risvegliare la gioia di essere cristiani.
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CUORE IMMACOLATO
DI MARIA
Da quando ho aperto questo blog non faccio altro che condividere quanto di edificante incontro nella Chiesa Cattolica. In essa, ciò che mi edifica a Cristo, lo condivido, e questo è l’unico criterio che seguo per decidere cosa pubblicare e come.
Non riesco a smettere di leggerlo (il Vangelo e il commento) e di sentire quella domanda posta a me e alla mia fragile umanità. Lo condivido così come l’ho incontrato sperando che scaldi e sciolga altri cuori così come sta facendo col mio.
[15] Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”.
[16] Gli disse di nuovo: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”.
[17] Gli disse per la terza volta: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecorelle.
[18] In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”.
[19] Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi”. (Gv 21,15-19)
In un mattino di primavera questa missione gli sarà affidata da Gesù risorto. L’incontro avverrà sulle sponde del lago di Tiberiade. E’ l’evangelista Giovanni a riferirci il dialogo che in quella circostanza ha luogo tra Gesù e Pietro.
Vi si rileva un gioco di verbi molto significativo. In greco il verbo “filéo” esprime l’amore di amicizia, tenero ma non totalizzante, mentre il verbo “agapáo” significa l’amore senza riserve, totale ed incondizionato.
Gesù domanda a Pietro la prima volta: «Simone… mi ami tu (agapâs-me)” con questo amore totale e incondizionato (cfr Gv 21,15)? Prima dell’esperienza del tradimento l’Apostolo avrebbe certamente detto: “Ti amo (agapô-se) incondizionatamente”. Ora che ha conosciuto l’amara tristezza dell’infedeltà, il dramma della propria debolezza, dice con umiltà: “Signore, ti voglio bene (filô-se)”, cioè “ti amo del mio povero amore umano”.
Il Cristo insiste: “Simone, mi ami tu con questo amore totale che io voglio?”. E Pietro ripete la risposta del suo umile amore umano: “Kyrie, filô-se”, “Signore, ti voglio bene come so voler bene”.
Alla terza volta Gesù dice a Simone soltanto: “Fileîs-me?”, “mi vuoi bene?”. Simone comprende che a Gesù basta il suo povero amore, l’unico di cui è capace, e tuttavia è rattristato che il Signore gli abbia dovuto dire così. Gli risponde perciò: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene (filô-se)”.
Verrebbe da dire che Gesù si è adeguato a Pietro, piuttosto che Pietro a Gesù! E’ proprio questo adeguamento divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell’infedeltà. Da qui nasce la fiducia che lo rende capace della sequela fino alla fine: «Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi”» (Gv 21,19).
Da quel giorno Pietro ha “seguito” il Maestro con la precisa consapevolezza della propria fragilità; ma questa consapevolezza non l’ha scoraggiato. Egli sapeva infatti di poter contare sulla presenza accanto a sé del Risorto.
Dagli ingenui entusiasmi dell’adesione iniziale, passando attraverso l’esperienza dolorosa del rinnegamento ed il pianto della conversione, Pietro è giunto ad affidarsi a quel Gesù che si è adattato alla sua povera capacità d’amore. E mostra così anche a noi la via, nonostante tutta la nostra debolezza. Sappiamo che Gesù si adegua a questa nostra debolezza. Noi lo seguiamo, con la nostra povera capacità di amore e sappiamo che Gesù è buono e ci accetta.
E’ stato per Pietro un lungo cammino che lo ha reso un testimone affidabile, “pietra” della Chiesa, perché costantemente aperto all’azione dello Spirito di Gesù. Pietro stesso si qualificherà come “testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi” (1 Pt 5,1).
Quando scriverà queste parole sarà ormai anziano, avviato verso la conclusione della sua vita che sigillerà con il martirio. Sarà in grado, allora, di descrivere la gioia vera e di indicare dove essa può essere attinta: la sorgente è Cristo creduto e amato con la nostra debole ma sincera fede, nonostante la nostra fragilità. Perciò scriverà ai cristiani della sua comunità, e lo dice anche a noi: “Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime” (1 Pt 1,8-9).
Le bombe della Seconda Guerra Mondiale fecero capire a Chiara Lubich quale fosse l’unico ideale che non passa.
Il virus, la pandemia, il crollo delle certezze a cui ci aggrappavamo prima del 10 marzo 2020… Siamo davanti a un bivio anche noi, soccombere o chiederci quale sia l’unico vero ideale che niente e nessuno può far crollare.
Ascoltiamo le parole di Chiara.
«Il movimento è iniziato molto semplicemente nella città di Trento, nell’Alta Italia, nel 1943.
Allora a Trento imperversava la guerra, io mi trovavo con alcune mie compagne nella città, eravamo molto giovani, ognuno di noi aveva un proprio ideale come tutte le giovani, da voler raggiungere nella vita.
Chi aveva come ideale lo studio, e questo era il caso mio, chi invece formarsi una bella famiglia, chi invece costruirsi una bella casa.
Ebbene, proprio la guerra con le sue bombe, faceva crollare un po’ tutte le cose, per cui noi non potevamo raggiungere lo scopo della nostra vita. Sembrava proprio che le circostanze ci dessero una grande lezione, ci facessero una predica e che tutto ci dicesse che tutto è vanità delle vanità, che tutto passa.
Contemporaneamente a questa visione drammatica delle cose, dentro di noi si faceva strada un’idea, che pensiamo un’ispirazione: ci può essere un ideale che non passa, che nessuna bomba può far crollare? E capimmo immediatamente che, sì, c’era un ideale. Quest’ideale era…, Dio!
Eravamo sorpresi, incantati; dicevamo: oh! L’unità, che divina bellezza! Non abbiamo parole per cosa dire, non si può spiegare, è Gesù!
Si vede, si sente, si gode con i sensi dell’anima, ma non si può dire, è ineffabile come Dio. Ci si accorge soprattutto quando manca, è come se il sole tramontasse.
E l’unità, che è la presenza di Gesù in mezzo a noi, porta il suo Spirito, lo Spirito di Cristo con tutti i suoi frutti, che sono: pace, gioia, voglia di amare, spirito di eroismo, illuminazione: fa capire, fa comprendere meglio le Scritture, interpretare meglio gli avvenimenti, è lo Spirito che guida, è lo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù!»
Come reincontrare Colui che abbiamo già incontrato?
L’esperienza del fallimento non è una brutta cosa ma è sempre il punto di partenza. Abbiamo pescato tutta la notte ma non abbiamo preso nulla.
C’è una domanda “antipatica” che Gesù fa: «Avete preso nulla?». E’ importante fermarsi , guardarsi dentro. Ma veramente ho tutto o qualcosa mi manca? Ce l’hai il gusto della vita? La gioia profonda del cuore? La pace? Il Sapore? E’ importante dire: no, non ce l’ho del tutto, perché è lì che arriva l’incontro col Signore di nuovo, Colui che hai già incontrato.
Gesù ti dice di gettare le reti a destra. Chi conosce le tecniche di pesca sa che è sbagliato. Gesù ci dice: «Resta nella vita in un altro modo!»
Perdonare non è giusto, servire ci sembra innaturale, avere pazienza va contro la nostra pancia. Ecco, Gesù ci reinsegna come si sta nella vita. Un altro modo di guardare alle persone, non come ti verrebbe di pancia, un altro modo di stare dentro la pandemia.
Come il discepolo amato, poiché è amato riconosce, anche tu oggi prova a guardare i fatti della vita, le cose che ti capitano e dire – è il Signore!
(Commento alla Parole del Giorno di venerdì 9 aprile 2021 di don Mauro Bozzola)
Un giovane sacerdote spiega in modo scherzoso ma reale gli elementi essenziali del Sacramento della Confessione per i bambini (e non…) che devono prepararsi.
Sai cosa significa il versetto del Salmo 23: “cospargi di olio il mio capo”?
Mi sono sempre chiesto cosa significasse quel versetto del Salmo 23. Pensavo che fosse un linguaggio figurato e che significasse che Dio manteneva sano il salmista, ma non sapevo una cosa.
Cospargi di olio il mio capo.
Spesso le pecore rimangono con le teste intrappolate nei rovi e muoiono cercando di liberarsene.
Ci sono mosche terribili che amano tormentare le pecore deponendo le loro uova nelle narici che spesso si trasformano in larve che spingono le pecore a colpire la testa contro le rocce, a volte fino alla morte.
Anche gli occhi e le orecchie vengono tormentati da quegli insetti. Il pastore quindi unge tutta la testa della pecora con olio. In questo modo la pecora può avere sollievo e pace. Quest’olio forma una barriera di protezione contro il male che tenta di distruggerle.
Hai momenti di tormento mentale?
Pensieri preoccupanti ti invadono la mente un’altra volta
Sbatti la testa al muro tentando di fermarli?
Hai mai chiesto a Dio di ungerti la testa con olio?
Ne ha una fornitura infinita.
Il suo olio protegge e ti rende capace di cambiare il cuore, la mente e gli occhi, fissandoli in Lui, oggi, sempre.
C’è pace adesso nella “valle oscura”.
Che il nostro Padre buono unga la tua testa con olio oggi affinché la tua coppa trabocchi di benedizioni! Dio è buono e fedele.
Giorgia Petrini, racconta la sua vita, il lavoro, il successo, l’autodeterminazione, prima e dopo la conversione.
«Ero molto convinta che la ricerca dell’autonomia economico finanziaria, dell’indipendenza, della lontananza dalla famiglia d’origine, fossero tutti elementi che in qualche modo determinassero l’individuo.
Questa vita lavorativa che mi portava fuori di casa dalle 15 alle 18 ore al giorno, vitata al lavoro, alla carriera…, mi sono trovata nella convinzione che la vita fosse quello.
All’apice del successo, in quell’esatto momento, è arrivata la batosta, rispetto alla quale non ho saputo cosa fare…
Ho cominciato a seguire queste catechesi come uno che andava al cinema la domenica sera. Andavo, seguivo ma aspettavo sempre il momento buono per dire che nessuno ci aveva capito nulla.
Per me quella è stata la via che ha risolto, o per lo meno che risolve ogni giorno della mia esistenza.
Avere quella serenità che ti consente di vivere ogni giorno della vita secondo quello che ti succede, non con intento fatalista ma come un Dono di Dio.»
Don Maurizio Mirilli ci spiega la virtù della temperanza.
«La virtù che ci permette di moderare le passioni. Le passioni sono cose positive, (…) ma quando non sono più libero, quando divento schiavo…
Devo passare dal “mi piace” al “mi fa bene”.
Il confine di una passione è proprio il criterio del bene. Questa cosa la sto facendo solo perché mi piace o anche perché mi fa bene e fa del bene anche agli altri?»
Andate controcorrente: non ascoltate le voci interessate e suadenti che oggi da molte parti propagandano modelli di vita improntati all’arroganza e alla violenza, alla prepotenza e al successo ad ogni costo, all’apparire e all’avere, a scapito dell’essere.
Di quanti messaggi, che vi giungono soprattutto attraverso i mass media, voi siete destinatari!
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