FERMENTI CATTOLICI VIVI

"Andate controcorrente. Di quanti messaggi, soprattutto attraverso i mass media, voi siete destinatari! Siate vigilanti! Siate critici!" Benedetto XVI

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Archive for the ‘Chiesa’ Category

“Signore, ti voglio bene come so voler bene”

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 17/01/2023

Da quando ho aperto questo blog non faccio altro che condividere quanto di edificante incontro nella Chiesa Cattolica. In essa, ciò che mi edifica a Cristo, lo condivido, e questo è l’unico criterio che seguo per decidere cosa pubblicare e come.

Ieri mi sono felicemente imbattuto in un commento illuminato e illuminante di Benedetto XVI al passo del Vangelo in cui Gesù chiede a Pietro: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”

Non riesco a smettere di leggerlo (il Vangelo e il commento) e di sentire quella domanda posta a me e alla mia fragile umanità. Lo condivido così come l’ho incontrato sperando che scaldi e sciolga altri cuori così come sta facendo col mio.

[15] Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”.

[16] Gli disse di nuovo: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”.

[17] Gli disse per la terza volta: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecorelle.

[18] In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”.

[19] Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi”. (Gv 21,15-19)

Dal sito della Santa Sede:

In un mattino di primavera questa missione gli sarà affidata da Gesù risorto. L’incontro avverrà sulle sponde del lago di Tiberiade. E’ l’evangelista Giovanni a riferirci il dialogo che in quella circostanza ha luogo tra Gesù e Pietro.

Vi si rileva un gioco di verbi molto significativo. In greco il verbo “filéo” esprime l’amore di amicizia, tenero ma non totalizzante, mentre il verbo “agapáo” significa l’amore senza riserve, totale ed incondizionato.

Gesù domanda a Pietro la prima volta: «Simone… mi ami tu (agapâs-me)” con questo amore totale e incondizionato (cfr Gv 21,15)? Prima dell’esperienza del tradimento l’Apostolo avrebbe certamente detto: “Ti amo (agapô-se) incondizionatamente”. Ora che ha conosciuto l’amara tristezza dell’infedeltà, il dramma della propria debolezza, dice con umiltà: “Signore, ti voglio bene (filô-se)”, cioè “ti amo del mio povero amore umano”.

Il Cristo insiste: “Simone, mi ami tu con questo amore totale che io voglio?”. E Pietro ripete la risposta del suo umile amore umano: “Kyrie, filô-se”, “Signore, ti voglio bene come so voler bene”.

Alla terza volta Gesù dice a Simone soltanto: “Fileîs-me?”, “mi vuoi bene?”. Simone comprende che a Gesù basta il suo povero amore, l’unico di cui è capace, e tuttavia è rattristato che il Signore gli abbia dovuto dire così. Gli risponde perciò: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene (filô-se)”.

Verrebbe da dire che Gesù si è adeguato a Pietro, piuttosto che Pietro a Gesù! E’ proprio questo adeguamento divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell’infedeltà. Da qui nasce la fiducia che lo rende capace della sequela fino alla fine: «Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi”» (Gv 21,19).

Da quel giorno Pietro ha “seguito” il Maestro con la precisa consapevolezza della propria fragilità; ma questa consapevolezza non l’ha scoraggiato. Egli sapeva infatti di poter contare sulla presenza accanto a sé del Risorto.

Dagli ingenui entusiasmi dell’adesione iniziale, passando attraverso l’esperienza dolorosa del rinnegamento ed il pianto della conversione, Pietro è giunto ad affidarsi a quel Gesù che si è adattato alla sua povera capacità d’amore. E mostra così anche a noi la via, nonostante tutta la nostra debolezza. Sappiamo che Gesù si adegua a questa nostra debolezza. Noi lo seguiamo, con la nostra povera capacità di amore e sappiamo che Gesù è buono e ci accetta.

E’ stato per Pietro un lungo cammino che lo ha reso un testimone affidabile, “pietra” della Chiesa, perché costantemente aperto all’azione dello Spirito di Gesù. Pietro stesso si qualificherà come “testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi” (1 Pt 5,1).

Quando scriverà queste parole sarà ormai anziano, avviato verso la conclusione della sua vita che sigillerà con il martirio. Sarà in grado, allora, di descrivere la gioia vera e di indicare dove essa può essere attinta: la sorgente è Cristo creduto e amato con la nostra debole ma sincera fede, nonostante la nostra fragilità. Perciò scriverà ai cristiani della sua comunità, e lo dice anche a noi: “Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime” (1 Pt 1,8-9).

(Benedetto XVI)

[Fonte del commento del Papa Emerito: Sito della Santa Sede]

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«Non è un no all’amore ma un sì più grande!»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 31/01/2022

Frati e suore: non c’è un sacramento a parte per questa scelta di vita, ma cos’è allora che li distingue?

Don Tommaso della parrocchia Natività NSGC di Roma, cerca di spiegare le caratteristiche della vita consacrata prendendo spunto dalla festa del 2 febbraio, la Presentazione di Gesù al Tempio.

Vale la pena guardare tutti i quattro minuti e ventisei secondi di video…

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«La fede mi fa godere di più la mia vita. Per questo ne parlo. W la fede!»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 02/11/2021

Ricordate don Alberto Ravagnani? Il giovane sacerdote che affermava che il Rosario non è roba da vecchiette ma una cosa molto cool?

Don Alberto Ravagnani, Busto Arsizio, 28 anni, detto anche Don Rava, vive in oratorio, insegna a scuola, ogni tanto fa cose sul web e sui social media. Sua madre pensava che avrebbe fatto il cuoco, perché da piccolo amava giocare con le pentole, in realtà ha fatto tutt’altro.

In questo video racconta la sua storia e com’è nata la sua vocazione.

Vale la pena guardarlo e ascoltarlo fino in fondo, soprattutto alla fine.

«I giovani non vanno in chiesa perché siamo troppo noiosi secondo me; non sappiamo intercettare il loro vissuto.»

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«Ci può essere un ideale che non passa, che nessuna bomba (virus) può far crollare?»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 12/06/2021

Le bombe della Seconda Guerra Mondiale fecero capire a Chiara Lubich quale fosse l’unico ideale che non passa.

Il virus, la pandemia, il crollo delle certezze a cui ci aggrappavamo prima del 10 marzo 2020… Siamo davanti a un bivio anche noi, soccombere o chiederci quale sia l’unico vero ideale che niente e nessuno può far crollare.

Ascoltiamo le parole di Chiara.

«Il movimento è iniziato molto semplicemente nella città di Trento, nell’Alta Italia, nel 1943.

Allora a Trento imperversava la guerra, io mi trovavo con alcune mie compagne nella città, eravamo molto giovani, ognuno di noi aveva un proprio ideale come tutte le giovani, da voler raggiungere nella vita.

Chi aveva come ideale lo studio, e questo era il caso mio, chi invece formarsi una bella famiglia, chi invece costruirsi una bella casa.

Ebbene, proprio la guerra con le sue bombe, faceva crollare un po’ tutte le cose, per cui noi non potevamo raggiungere lo scopo della nostra vita. Sembrava proprio che le circostanze ci dessero una grande lezione, ci facessero una predica e che tutto ci dicesse che tutto è vanità delle vanità, che tutto passa.

Contemporaneamente a questa visione drammatica delle cose, dentro di noi si faceva strada un’idea, che pensiamo un’ispirazione: ci può essere un ideale che non passa, che nessuna bomba può far crollare? E capimmo immediatamente che, sì, c’era un ideale. Quest’ideale era…, Dio!

Eravamo sorpresi, incantati; dicevamo: oh! L’unità, che divina bellezza! Non abbiamo parole per cosa dire, non si può spiegare, è Gesù!

Si vede, si sente, si gode con i sensi dell’anima, ma non si può dire, è ineffabile come Dio. Ci si accorge soprattutto quando manca, è come se il sole tramontasse.

E l’unità, che è la presenza di Gesù in mezzo a noi, porta il suo Spirito, lo Spirito di Cristo con tutti i suoi frutti, che sono: pace, gioia, voglia di amare, spirito di eroismo, illuminazione: fa capire, fa comprendere meglio le Scritture, interpretare meglio gli avvenimenti, è lo Spirito che guida, è lo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù!»

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«Da tutta la Chiesa saliva incessantemente la preghiera a Dio.»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 28/04/2021

«Saranno trenta Santuari, rappresentativi di tutto il mondo, a guidare la recita del Rosario ogni giorno del mese di maggio in una maratona di preghiera dal tema: “Da tutta la Chiesa saliva incessantemente la preghiera a Dio”, per invocare la fine della pandemia.

L’iniziativa, nata per vivo desiderio di Papa Francesco e promossa dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, coinvolgerà in modo speciale tutti gli altri santuari del mondo, perché si facciano promotori presso i fedeli, le famiglie e le comunità della recita del Rosario.

La preghiera sarà aperta da Papa Francesco il primo maggio e sarà conclusa da lui stesso il 31 maggio.

La recita del Rosario sarà trasmessa in diretta sui canali ufficiali della Santa Sede alle ore 18.00 ogni giorno.»

(Fonte: https://www.vaticannews.va/)

Pregare  quando una catastrofe incombe, cantare inni a Dio chiedendogli protezione e forza, affrontare l’epidemia con preghiera, prudenza e carità come proponeva don Bosco ai suoi ragazzi, è la cosa più ragionevole per chi crede.

Anche a chi ha messo la fede nel cassetto, mi sento di dire dal cuore, che la preghiera è l’unica arma che ci può fortificare in questo clima di paura e di depressione che la fa da padrone in questi tempi. Prova e vedrai.

«Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui.» (At 1, 14)

Era ciò che facevano i primi cristiani prima della Pentecoste. E’ ciò che ci chiede Papa Francesco invitandoci tutti a pregare il Rosario ogni giorno per implorare la fine di questa pandemia.

“Da tutta la Chiesa saliva incessantemente la preghiera a Dio.”

Forse non è vero che la nostra preghiera sale incessantemente a Dio, forse ci sono troppi cristiani dormienti, forse siamo proprio noi. Perché allora non cogliere l’invito del papa e darci una mossa?

Io ci sto, e tu?

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«Teniamo la porta aperta a tutti. Invece doveva essere al contrario.»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 03/02/2021

A distanza di sei anni, la sua tomba è meta di un pellegrinaggio ininterrotto: non solo di parenti e conoscenti, ma anche di chi ha scoperto la sua “fama di santità” attraverso amicizie in comune, un libro a lui dedicato, testimonianze di “aiuti” celesti.

Era il 21 agosto 2014 quando a Perugia moriva Giampiero Morettini, il seminarista del sorriso. Aveva 37 anni e il suo calvario in ospedale era iniziato a luglio, dopo una delicata operazione al cuore. Aveva avuto un malore in Seminario che aveva rivelato una grave malformazione congenita che necessitava di un intervento chirurgico urgente.

Grazie e guarigioni sulla tomba

«Molti chiedono la sua preghiera per la guarigione di bambini ammalati o anche per avere un figlio, altri riconoscono che la preghiera alla tomba di Giampiero è per loro fonte di profonda pace interiore, altri raccontano di grazie ricevute come il sollievo da un tormento, l’accompagnamento a una buona morte, la guarigione di un figlio, la conversione di una persona amata», scrive il postulatore e parroco di Castel del Piano (la parrocchia di Giampiero), don Francesco Buono, nel libello consegnato all’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, per chiedere l’apertura della causa di beatificazione del giovane che sognava di essere prete.

Lontano dalla fede

La sua è una vita lontana dalla fede. Finché il 13 marzo 2006 entra nel negozio una suora per la benedizione pasquale. E lei chiede a Giampiero di pregare. Con poca convinzione, il giovane dice sì. E la religiosa pronuncia una brevissima preghiera posandogli la mano sulla fronte e segnandolo con la croce. Un gesto che lo marcherà per sempre e che confiderà con pudore a pochi intimi. Dirà di aver sentito un fuoco interiore.

Allora ecco il riavvicinamento al confessionale, gli incontri di catechesi, la partecipazione assidua all’adorazione eucaristica. E nel 2010 il Seminario «per essere un buon sacerdote», si legge nel libello.

I funerali festosi

Al termine del terzo anno la scoperta della malattia, il ricovero, l’intervento, il peggioramento delle condizioni che Giampiero affronta «con il sorriso» e «sempre con serenità, totalmente offerto alla volontà di Dio» e «nonostante le grandi sofferenze infonde pace e speranza a coloro che lo visitano».

Ai funerali partecipa «una moltitudine di persone, giovani in particolare, molti che non avevano conosciuto in vita Giampiero».

«Giampiero – ha detto don Francesco Buono – era consapevole del rischio dell’operazione e mi ha lasciato un suo scritto nel quale diceva che se si fosse dovuto celebrare il suo funerale avrebbe voluto una messa mariana che fosse una festa». E così fu.

Le riconciliazioni spontanee

«I sacerdoti che in quelle ore prestarono il servizio del sacramento della riconciliazione ricordano di aver confessato molti giovani e di aver constatato quanto l’abbandono a Dio di Giampiero durante la malattia avesse profondamente colpito tanti e fatti decidere per un ritorno al sacramento della penitenza e un riavvicinamento alla Chiesa», sottolinea il libello (Avvenire, 20 agosto).

La conversione dei genitori

Il giovane seminarista, quando era ancora in vita, ha portato alla conversione anche i suoi genitori, Caterina e Mario.

«Giampiero mi ha aiutata a pregare, perché prima non pregavo – racconta mamma Caterina– trascuravo la mia fede perché veniva prima il lavoro. Passavano anche due, tre anni prima di confessarmi e di fare la comunione. Adesso ho questa “grazia della preghiera” e senza la messa la domenica non posso stare. Con Giampiero ci siamo avvicinati molto alla Chiesa, al Signore, anche se con Lui, in realtà, io dovrei essere arrabbiatissima per avermelo strappato. Nei giorni della sua malattia ho tanto pregato il Signore e con me tante persone in tutt’Italia, ma Dio non ci ascoltava. Mi sono rimessa a alla sua decisione, anche se perdere un figlio è un dolore che solo chi ci passa può capirlo, gli altri possono immaginarlo».

“Teniamo la porta aperta a tutti”

Giampiero, ricorda ancora sua madre, «anche se stava in Seminario, non mi ha mai “obbligata” ad andare a messa, a fare la comunione, forse perché pensava che piano piano mi sarei avvicinata da sola. Invece c’è voluta la sua morte per capire che se uno “accetta” è solo per la fede che si ottiene qualcosa. Faccio il paragone con altre mamme che come me non hanno più i figli, sono arrabbiate, non vogliono vedere nessuno. Mentre con Mario, mio marito, teniamo sempre le porte aperte a tutti. Invece doveva essere al contrario».

Le ultime volontà di Giampiero

Caterina ricorda anche le ultime ore, vissute con dolore e lucidità da Giampiero. «Qualche giorno prima della forte emorragia, una dottoressa mi chiese: “Signora, come le sembra suo figlio?”. Le risposi: “Sembra un pochino meglio”. Non volevo dire davanti a Giampiero che non c’era più niente da fare. Non era una domanda da farsi da parte della dottoressa. Giampiero stava malissimo e lei lo sapeva meglio di me. Dal 17 agosto, per me, Giampiero già non c’era più. Il giorno prima la caposala mi disse che se volevo potevo riprendere i suoi oggetti: c’era il breviario di Giampiero …, perché tanto era finita. Per me, da quella data, era già in Cielo e alle sorelle che erano fuori dalla stanza ho fatto un gesto come a dire: “Non c’è più niente da fare”. Quel giorno è stato come se “lo avessi riconsegnato”, “donato”»

(Fonte della parte scritta: La Voce.it, 2016).

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«Affrettatevi, l’offerta è valida solo fino alla fine del mondo!»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 19/01/2021

La confessione in 5 minuti!

Un giovane sacerdote spiega in modo scherzoso ma reale gli elementi essenziali del Sacramento della Confessione per i bambini (e non…) che devono prepararsi.

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«L’Eucarestia, soprattutto in questo periodo così difficile, non può essere lasciata ai margini delle nostre esistenze.»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 10/11/2020

Messaggio scritto dal Cardinal Bassetti, arcivescovo di Perugia ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi, alle consacrate, a tutti i fedeli di Cristo.

L’Eucarestia al centro della vita dei cristiani

«O Dio, Tu sei il mio Dio! All’aurora ti cerco! Di Te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne come terra deserta, arida e senz’acqua.» (Sal 62).

Questa notte, in sogno, mi sono ritrovato nel tempo in cui, in Seminario, avevo come Padre spirituale don Divo Barsotti. Egli mi insegnava a rivolgermi all’Onnipotente con queste parole fin dal mattino: «O Dio, Tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco».

Da quando sono in isolamento per la positività al Covid-19, ho la possibilità di comunicarmi ogni giorno nella mia camera, avendo portato una piccola pisside vicino alla porta della stanza.

Era necessaria questa esperienza di malattia per rendermi conto di quanto siano vere le parole dell’Apocalisse in cui Gesù dice all’angelo della Chiesa di Laodicèa: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20).

L’Eucarestia, soprattutto in questo periodo così difficile, non può essere lasciata ai margini delle nostre esistenze ma dev’essere rimessa, con ancora più forza, al centro della vita dei cristiani.

L’Eucarestia non è soltanto il Sacramento in cui Cristo si riceve – l’anima è piena di grazia e a noi è dato il pegno della gloria futura – ma è l’anima del mondo ed è il fulcro in cui converge tutto l’universo. In definitiva, l’Eucarestia è pro mundi salute, ovvero per la salvezza del mondo, e pro mundi vita, per la vita del mondo (Gv 6, 51).

Nell’Eucarestia Gesù rinnova e riattualizza il suo sacrificio pasquale di morte e resurrezione, ma la Sua presenza non si limita a un piccolo pezzo di pane consacrato. Quel pane consacrato trascende dallo stesso altare, abbraccia tutto l’universo e stringe a sé tutti i problemi dell’umanità, perché il corpo di Gesù è strettamente unito al corpo mistico che è tutta la Chiesa. Non c’è situazione umana a cui non possa essere ricondotta l’Eucarestia.

Anche le vicende drammatiche che stiamo vivendo in questi giorni in Italia – come l’aumento della diffusione dell’epidemia, la grave crisi economica per molti lavoratori e per tante imprese, l’incertezza per i nostri giovani della scuola – non sono al di fuori della Santissima Eucarestia.

Mi ricordo che Padre Turoldo ci insegnava queste cose con grande chiarezza. E più vado avanti negli anni, più cerco di sperimentarle e più le sento vere. Non c’è consolazione, non c’è conforto, non c’è assenza di lacrime che non abbia il suo riferimento a Gesù Eucarestia.

Questo è un piccolo messaggio che voglio indirizzare ai miei preti, ai consacrati, ai giovani, alle famiglie e ai bambini dell’Archidiocesi.

Vorrei che in questo periodo di così grave sofferenza non sentissimo la croce come un peso insopportabile ma come una croce gloriosa.

Perché la Sua dolce presenza e la Sua carezza nell’Eucarestia fanno sì che le braccia della croce diventino due ali, come diceva don Tonino Bello, che ci portano a Gesù.

Ritengo infatti, come scriveva Paolo, «che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi».

Con «impazienza» noi aspettiamo di contemplare il volto di Dio poiché «nella speranza noi siamo stati salvati» (Rom 8, 18.24).
Pertanto, è assolutamente necessario sperare contro ogni speranza, «Spes contra spem». Perché, come ha scritto Charles Péguy, la Speranza è una bambina «irriducibile». Rispetto alla Fede che «è una sposa fedele» e alla Carità che «è una Madre», la Speranza sembra, in prima battuta, che non valga nulla. E invece è esattamente il contrario: sarà proprio la Speranza, scrive Péguy, «che è venuta al mondo il giorno di Natale» e che «portando le altre, traverserà i mondi».

Perugia, 30 ottobre 2020

Gualtiero Card. Bassetti

(Fonte: http://diocesi.perugia.it/)

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«Siamo arrivate il 24 dicembre 2011, c’erano 30 gradi sotto zero. Ho subito capito che era lì che dovevo essere»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 24/10/2020

Storia di un monastero oltre il circolo polare artico.

Lannavaara, cento abitanti nella Lapponia svedese, 250 chilometri oltre il Circolo polare artico. Da due anni suor Amada e suor Karla vivono qui per pregare, nel silenzio di questo “deserto”. «Presto saremo tre, perché una nuova sorella sta per arrivare dalla Norvegia», è la prima cosa che racconta entusiasta Amada Mobergh, svedese, 56 anni.

Una storia carica di amore per Dio, scoperto a vent’anni. «Sono una convertita, cresciuta a Stoccolma, una vita estremamente secolarizzata. Quando ho trovato Gesù ho anche scoperto la mia vocazione». Nei trent’anni vissuti nel Regno Unito, nella congregazione delle Missionarie della carità, il desiderio di una vita più contemplativa diventa irresistibile. «Avevo molta paura ed ero triste perché amavo la mia congregazione, ero grata per tutti gli anni vissuti insieme. Ma dovevo capire se quel desiderio fosse volontà di Dio, un capriccio, una tentazione».

Miracoli. È il 2011. «Quando il vescovo di Stoccolma mi ha dato il permesso di tornare in Svezia per cominciare questa nuova vita, mi ha detto che era contento, ma che non avrebbe potuto sostenermi in nulla», perché la chiesa svedese è piccola e povera. Così suor Amada passa un mese a visitare quattro monasteri del sud della Svezia per capire come muoversi, «senza soldi, né casa, senza conoscere più niente».

Per quelle casualità che la religiosa chiama «miracoli», una telefonata arriva dal profondo nord proprio alla fine di quel soggiorno: c’era una casa in affitto. «Le sorelle mi diedero i soldi per il treno e partii subito per il nord». La casa in realtà si rivelò non adatta, ma i miracoli si inanellarono fino a portare suor Amada a trovare una prima sistemazione per sé e suor Karla.

«Siamo arrivate il 24 dicembre 2011, c’erano 30 gradi sotto zero. Ho subito capito che era lì che dovevo essere». Dopo qualche mese vedono la vecchia scuola di Lannavaara, «immersa nella natura più selvaggia», perfetta, inutilizzata da anni, costosa. Altri prodigi: «Ci siamo trasferite lì, anche se non avevamo i soldi per comprarla; abbiamo lavorato giorno e notte per renderla vivibile. Un giorno è passato un signore dalla Norvegia, entusiasta della nostra esperienza, perché non si era mai sentito parlare di un monastero così al nord». E dopo poche settimane è arrivata la cifra esatta per comprare la scuola. «Ogni giorno Dio ci aiuta ad andare avanti con la sua provvidenza, il suo miracolo quotidiano, ciò che ci basta per continuare».

Vite per Dio. «Silenzio, solitudine, preghiera» scandiscono le giornate di Amada e Karla. «Preghiamo insieme e poi al pasto serale ci parliamo. Sarà così anche quando saremo tre». «La mia sofferenza è vedere che in Svezia non ci sono sacramenti, c’è povertà spirituale, lontananza da Dio e dalla chiesa». E questo è il senso della vita qui al monastero San Giuseppe: «Pregare e offrire la vita a Dio, seguendo l’esempio di Maria, per la conversione delle anime, soprattutto degli scandinavi e la chiesa cattolica in Svezia». L’esperienza del buio che qui dura quasi per sette mesi l’anno aiuta a «pregare meglio per chi vive il buio dentro di sé, perché trovi la luce di Gesù».

Il quotidiano. Oltre alla preghiera ci sono il lavoro e l’accoglienza. Suor Karla è straordinaria nello scolpire il legno; le suore coltivano e vendono anche erbe aromatiche e candele. «Non usciamo mai», ma la notizia che lì abitano due suore gira di bocca in bocca. Solo per il primo Natale a Lannavaara «abbiamo fatto dei piccoli presepi e siamo passati in ogni casa del villaggio per regalarli e far vedere che siamo esseri umani, cristiani».

L’accoglienza è stata ottima e adesso sono le persone che vanno al monastero, per bere un caffè, pregare, meditare la Parola. Un altro grande dono di Dio è il prete inglese che vive sei mesi l’anno nel monastero. Quando lui non c’è, viene un sacerdote della parrocchia a celebrare l’eucarestia, oppure sono le suore ad andare là: 430 chilometri di strada. «D’inverno è buissimo, ghiacciato, c’è neve, vento e renne, daini, ogni genere di animali ti attraversa la strada. È molto rischioso, ma ti abitui. Devi solo pregare e andare».

Futuro. Il 1° maggio 2015 le suore hanno ottenuto il riconoscimento diocesano come Congregazione degli Agnelli di Maria. Difficoltà? Solitudine? «Sì, a volte sentiamo che forse nessuno si preoccupa se siamo vive o morte, ma non c’è scoraggiamento». La solitudine è parte dell’esperienza umana, «ovunque siamo nel mondo, dentro o fuori la chiesa». Del resto «ho ricevuto tantissime grazie da Dio e dalla chiesa per potermi lamentare o sentirmi scoraggiata. E voglio offrire la mia vita in ringraziamento per questo». Ora il desiderio è di rendere la vecchia scuola un vero e proprio monastero. Un architetto inglese ha regalato il progetto; il comune l’ha approvato. Un nuovo miracolo arriverà.

(Fonte: https://www.difesapopolo.it/Archivio/Speciali/L-anno-della-vita-consacrata/Oltre-il-Circolo-polare-artico-vita-da-suora-fra-preghiera-e-lavoro)

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«Allora vuoi fare il ‘mariuolo e o buciard’»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 22/10/2020

L’avvocato Antonio Pandiscia, storico legale dell’Ordine nazionale dei giornalisti, popolare e amato volto della trasmissione televisiva ”I fatti vostri”, così raccontava uno dei suoi incontri con San Pio da Pietrelcina:

L’Avv. Pandiscia con San Pio

“All’inizio mi faceva quasi paura, aveva un fare un po’ burbero che infondeva timore. Ma poi ci capimmo a vicenda. Tra i tanti aneddoti, ricordo che, finito il liceo, mi chiese: ‘Che vuoi fare da grande’? Io gli risposi: ‘l’avvocato e il giornalista.’ E lui sapete cosa mi disse? ‘Allora vuoi fare il ‘mariuolo (ladro, ndr) e o buciard’“.

Questo aneddoto, letto qualche anno fa in un libro del celebre avvocato, mi è venuto in mente dopo aver letto tutto il putiferio suscitato da una serie di articoli di giornale che hanno preso un’intervista di Papa Francesco dello scorso anno, ne hanno estrapolato alcune frasi a effetto, ne hanno scelta una tagliandola ad arte e ne hanno fatto un titolo che ha fatto il giro del mondo.

Come nota il mio amico P. Cordova, «l’intervista è del 2019, ed è stata di fatto manipolata con taglia e incolla mirati (il video integrale è disponibile su YouTube). Nelle parti tagliate il Papa ribadisce ciò che ha sempre detto, ossia che di matrimonio e famiglia si può parlare solo tra uomo e donna.

Tuttavia, ed è giusto, precisa che gli omosessuali sono fratelli, che hanno diritto ad essere amati e tutelati se vogliono essere assistiti in ospedale da chi vogliono o lasciare i propri beni a chi vogliono. Ma non di più.

Ha ribadito con forza di custodire la dottrina cattolica. Parlando di «famiglia» si riferiva alla famiglia d’origine di un omosessuale e al diritto di essere in essa amato . Lo stesso Papa pare che non avesse comunque dato l’autorizzazione a diffondere alcune parti dell’intervista, proprio perché consapevole che potevano ingenerare confusione.

Addolora veramente come ieri TROPPI cattolici abbiano dato eco a chi ha tradito il Papa e diffuso falsità, credendo a quelle stesse testate accusate di parzialità su altri temi (ad esempio Covid). E’ questo un evidente ed oscuro segno di una grave (più o meno) latente divisione nella Chiesa, così come nella società. In questo periodo critico è ancora più grave.» (Pierluigi Cordova, dal suo account Facebook, col suo gentile permesso).

Come scrivevo in un post qualche tempo fa, non mi riconosco nei progressisti e nei tradizionalisti che litigano in rete, ma punto timidamente a far parte di quel piccolo resto che ama nella verità, pregando ogni giorno di non andare mai a ingrossare né le sue file, né quelle degli indifferenti. Che Dio mi aiuti!

Da quanto è accaduto ho capito che dovremmo pregare di più e meglio e riflettere tutti qualche minuto, prima di parlare e soprattutto di pubblicare post “di pancia” il cui frutto è solo scompiglio e divisione.

Per chi volesse approfondire consiglio questo articolo di Aleteia: La fake news sul Papa che giustifica le unioni civili

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