Domenica 21 maggio papa Francesco ha riconosciuto le virtù eroiche di otto nuovi venerabili tra cui Maria Cristina Ogier, morta l’8 gennaio 1974 a soli diciannove anni.
Nata a Firenze nel 1955, a quattro anni le viene diagnosticato un tumore al cervello. La bambina, poi la ragazza, vivrà questa malattia senza nasconderla né ostentarla, ma vivendo la sua vita con un’intensità non comune.
Nel suo traboccamento di carità, arriva persino ad allestire un battello fluviale attrezzato come medicheria e dispensario farmaceutico con funzioni di vero e proprio mini ospedale, da inviare al Rio delle Amazzoni. Per raggiungere il suo scopo sollecitò l’aiuto dei portuali di Livorno che, colpiti dalla sua determinazione e semplicità, l’aiutarono al meglio delle loro possibilità.
Si iscrive a medicina senza poter frequentare ed entrò nel Terz’Ordine Francescano. Durante un viaggio a Lourdes – dove accompagnava i malati con l’Unitalsi – si consacra a Maria.
Semplice, genuina, nel 1971 ascoltando a scuola discorsi e pensieri sull’aborto, esortò il papà Enrico, primario di Ostetricia e Ginecologia all’ospedale Careggi, a fare qualcosa in merito.
Il risultato di questa esortazione ispirò la nascita del primo Centro d’Italia di “Aiuto alla vita”, che ispirerà il Movimento per la Vita, che si batte per i diritti del concepito e del nascituro.
Muore a diciannove anni l’8 gennaio 1974
Il suo corpo giace al cimitero delle Porte Sante a San Miniato al Monte (Firenze).
Maria Cristina ha tracciato la strada a molti che oggi difendono la vita dagli attacchi che le arrivano da più fronti.
Con coraggio non ha avuto paura di esortare, di insistere, per aprire vie al bene dove sembra che non ve ne siano.
Una giovane che non ha perso tempo e che ha vissuto con intensità la sua breve vita su questa terra e che ora dal Cielo continuerà, a suo modo, l’opera iniziata qui.
Archive for the ‘Santi dei giorni nostri’ Category
Una giovane semplice con l’audacia di insistere per fare il bene, che non ha perso tempo…
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 22/05/2023
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Il miracolo di Benedetto XVI
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 03/01/2023
E’ un bel mattino di maggio quando Peter Srsich si trova con la madre Laura tra la folla assiepata in Piazza S. Pietro per assistere all’Angelus di Papa Benedetto XVI. Peter è un bel diciottenne al quale, un anno prima, è stato diagnosticato un cancro molto impegnativo da combattere, un linfoma non-Hodgkin al quarto stadio, ed ora è in cura presso il Children Hospital di Colorado.
Dopo vari cicli di chemioterapia il giovane è molto prostrato psicologicamente, perciò gli è venuta in aiuto la Fondazione internazionale Realizza un sogno che gli ha offerto la possibilità di concretare un desiderio altrimenti impossibile.
La famiglia Srsich è cattolica e Petar esprime subito il desiderio di recarsi a Roma per incontrare il Pontefice. Detto fatto ed eccolo nel caldo sole primaverile pronto per raccontare a Benedetto XVI la sua malattia e i suoi sogni di ragazzo.
Il Papa gli si ferma accanto, lo interroga e lo ascolta con attenzione premurosa e carica d’affetto. Petar resta talmente stupito dalla sua umiltà e dalla sua sorridente dolcezza da regalargli confidenzialmente un braccialetto verde lime con la scritta Pregare per Petar, che i suoi amici hanno realizzato per donarlo a chiunque possa pregare Gesù per lui.
Benedetto XVI di fronte a tanta fede e a tanta confidente speranza lo benedice e poi, inaspettatamente, gli pone una mano sul torace, proprio lì dov’è annidato il tumore, una formazione sferica di circa dieci centimetri di diametro. Ma il prodigioso è che Petar non gli ha raccontato che da lì era partito il tutto.
Pieno di gioia per quell’incontro, Petar comincia ad avvertire immediatamente un nuovo senso di benessere che aumenta di giorno in giorno, finché i medici del Children Hospital lo dichiarano completamente guarito.
Ora questo miracolato di Benedetto XVI ha diciannove anni, frequenta il secondo anno della Regis University di Denver, in Colorado, e ha deciso che dopo la laurea inizierà il cammino per il sacerdozio.
[Fonte: http://www.lamadredellachiesa.it, col gentile permesso della moderatrice]
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«Nessuno muore, quando è con Gesù»
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 22/11/2022
Fortunata, la nipote di Natuzza Evolo, racconta a Bel tempo si spera, il soprannaturale e la normalità di una santa dei giorni nostri.
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«Giulia c’insegna che non è possibile vivere una vita veramente appassionata se non spendendola per Cristo.»
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 09/12/2021
La storia della piccola Giulia Zedda, innamorata di Gesù e Maria.
«Voleva vivere a colori, e abbiamo sempre vissuto a colori.»
«Non dire – non ho tempo – il tempo si trova se vuoi, per pregare, per vivere…»
«Mamma, io ringrazio Gesù perché fino a sei anni mi ha fatto vivere sana.»
«Prima di andar via ci ha chiesto di dare tutte le sue cose ai bambini meno fortunati di lei, lei che aveva dieci metastasi cerebrali…»
«Le persone con un figlio in cielo sentiranno sempre quell’oscurità che gli altri no conosceranno.»
«Lei è in Cielo, Giulia c’è, e noi dobbiamo sostenere i genitori che hanno perso un figlio.»
Dobbiamo imparare da Giulia, c’insegna che non è possibile vivere una vita veramente appassionata se non spendendola per Cristo.»
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«Teniamo la porta aperta a tutti. Invece doveva essere al contrario.»
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 03/02/2021
A distanza di sei anni, la sua tomba è meta di un pellegrinaggio ininterrotto: non solo di parenti e conoscenti, ma anche di chi ha scoperto la sua “fama di santità” attraverso amicizie in comune, un libro a lui dedicato, testimonianze di “aiuti” celesti.
Era il 21 agosto 2014 quando a Perugia moriva Giampiero Morettini, il seminarista del sorriso. Aveva 37 anni e il suo calvario in ospedale era iniziato a luglio, dopo una delicata operazione al cuore. Aveva avuto un malore in Seminario che aveva rivelato una grave malformazione congenita che necessitava di un intervento chirurgico urgente.
Grazie e guarigioni sulla tomba
«Molti chiedono la sua preghiera per la guarigione di bambini ammalati o anche per avere un figlio, altri riconoscono che la preghiera alla tomba di Giampiero è per loro fonte di profonda pace interiore, altri raccontano di grazie ricevute come il sollievo da un tormento, l’accompagnamento a una buona morte, la guarigione di un figlio, la conversione di una persona amata», scrive il postulatore e parroco di Castel del Piano (la parrocchia di Giampiero), don Francesco Buono, nel libello consegnato all’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, per chiedere l’apertura della causa di beatificazione del giovane che sognava di essere prete.
Lontano dalla fede
La sua è una vita lontana dalla fede. Finché il 13 marzo 2006 entra nel negozio una suora per la benedizione pasquale. E lei chiede a Giampiero di pregare. Con poca convinzione, il giovane dice sì. E la religiosa pronuncia una brevissima preghiera posandogli la mano sulla fronte e segnandolo con la croce. Un gesto che lo marcherà per sempre e che confiderà con pudore a pochi intimi. Dirà di aver sentito un fuoco interiore.
Allora ecco il riavvicinamento al confessionale, gli incontri di catechesi, la partecipazione assidua all’adorazione eucaristica. E nel 2010 il Seminario «per essere un buon sacerdote», si legge nel libello.
I funerali festosi
Al termine del terzo anno la scoperta della malattia, il ricovero, l’intervento, il peggioramento delle condizioni che Giampiero affronta «con il sorriso» e «sempre con serenità, totalmente offerto alla volontà di Dio» e «nonostante le grandi sofferenze infonde pace e speranza a coloro che lo visitano».
Ai funerali partecipa «una moltitudine di persone, giovani in particolare, molti che non avevano conosciuto in vita Giampiero».
«Giampiero – ha detto don Francesco Buono – era consapevole del rischio dell’operazione e mi ha lasciato un suo scritto nel quale diceva che se si fosse dovuto celebrare il suo funerale avrebbe voluto una messa mariana che fosse una festa». E così fu.
Le riconciliazioni spontanee
«I sacerdoti che in quelle ore prestarono il servizio del sacramento della riconciliazione ricordano di aver confessato molti giovani e di aver constatato quanto l’abbandono a Dio di Giampiero durante la malattia avesse profondamente colpito tanti e fatti decidere per un ritorno al sacramento della penitenza e un riavvicinamento alla Chiesa», sottolinea il libello (Avvenire, 20 agosto).
La conversione dei genitori
Il giovane seminarista, quando era ancora in vita, ha portato alla conversione anche i suoi genitori, Caterina e Mario.
«Giampiero mi ha aiutata a pregare, perché prima non pregavo – racconta mamma Caterina– trascuravo la mia fede perché veniva prima il lavoro. Passavano anche due, tre anni prima di confessarmi e di fare la comunione. Adesso ho questa “grazia della preghiera” e senza la messa la domenica non posso stare. Con Giampiero ci siamo avvicinati molto alla Chiesa, al Signore, anche se con Lui, in realtà, io dovrei essere arrabbiatissima per avermelo strappato. Nei giorni della sua malattia ho tanto pregato il Signore e con me tante persone in tutt’Italia, ma Dio non ci ascoltava. Mi sono rimessa a alla sua decisione, anche se perdere un figlio è un dolore che solo chi ci passa può capirlo, gli altri possono immaginarlo».
“Teniamo la porta aperta a tutti”
Giampiero, ricorda ancora sua madre, «anche se stava in Seminario, non mi ha mai “obbligata” ad andare a messa, a fare la comunione, forse perché pensava che piano piano mi sarei avvicinata da sola. Invece c’è voluta la sua morte per capire che se uno “accetta” è solo per la fede che si ottiene qualcosa. Faccio il paragone con altre mamme che come me non hanno più i figli, sono arrabbiate, non vogliono vedere nessuno. Mentre con Mario, mio marito, teniamo sempre le porte aperte a tutti. Invece doveva essere al contrario».
Le ultime volontà di Giampiero
Caterina ricorda anche le ultime ore, vissute con dolore e lucidità da Giampiero. «Qualche giorno prima della forte emorragia, una dottoressa mi chiese: “Signora, come le sembra suo figlio?”. Le risposi: “Sembra un pochino meglio”. Non volevo dire davanti a Giampiero che non c’era più niente da fare. Non era una domanda da farsi da parte della dottoressa. Giampiero stava malissimo e lei lo sapeva meglio di me. Dal 17 agosto, per me, Giampiero già non c’era più. Il giorno prima la caposala mi disse che se volevo potevo riprendere i suoi oggetti: c’era il breviario di Giampiero …, perché tanto era finita. Per me, da quella data, era già in Cielo e alle sorelle che erano fuori dalla stanza ho fatto un gesto come a dire: “Non c’è più niente da fare”. Quel giorno è stato come se “lo avessi riconsegnato”, “donato”»
(Fonte della parte scritta: La Voce.it, 2016).
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Fratelli maggiori che ci prendono per mano e…
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 31/10/2020
La comunione dei santi spiegata ai bambini.
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«Come ce l’hanno fatta loro ce la possiamo fare pure noi.»
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 03/10/2020
Messaggio da parte della mamma di Carlo Acutis per tutti noi.
«Questo è quello che vuole Carlo da tutti noi, che ognuno di noi diventi santo, riesca a realizzare quel progetto unico e irripetibile che sin dall’eternità Gesù ha pensato per ognuno di noi, perché ognuno di noi è speciale.
Dobbiamo impegnarci in questo cammino perché la vita è un dono.
Carlo diceva che dobbiamo impegnarci ogni minuto perché ogni minuto che passa è un minuto in meno per santificarci.
Come ce l’hanno fatta loro ce la possiamo fare pure noi.
Abbiamo i sacramenti che la Chiesa ci dispensa come tesori, dobbiamo affidarci a loro…»
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«Tutti nasciamo come degli originali, ma molti muoiono come fotocopie.»
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 02/10/2020
Nel 2013 vi presentavo Carlo Acutis, un ragazzo innamorato dell’Eucaristia, e dell’adorazione eucaristica, morto in odore di santità.
Tra qualche giorno sarà proclamato beato e, in questa occasione, il 1° ottobre 2020 è stata riaperta la tomba. Il suo corpo, trattato in occasione dell’esposizione, conserva tutti gli organi interni – soprattutto il cuore – incorrotti.
Ecco il momento dell’apertura della tomba.
Chi era Carlo Acutis? Un ragazzo che avrebbe potuto fare tutto nella vita ma Dio aveva per lui un piano diverso.
Lui stesso, un giorno, scrisse questa frase: «Tutti nasciamo come degli originali, ma molti muoiono come fotocopie.»
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«Padre Pio era un’istituzione di “pronto intervento”»
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 22/09/2020
Mons. Pierino Galeone, fondatore dei Servi della Sofferenza e figlio spirituale di Padre Pio racconta la sua esperienza diretta col santo del Gargano.
Padre Pio aveva il dono di sanare gli inguaribili e di convertire i peccatori, di prorogare il tempo della morte e di conoscerne perfettamente il giorno, di sapere il luogo dove si trovavano le anime dei defunti e, addirittura, di accompagnarle egli stesso in Paradiso.
Lottava con Satana e cacciava i demoni, scrutava i cuori, scrutava gli animi e illuminava le menti più con la testimonianza che con i discorsi.
Conosceva la vita di tanti, la storia della Chiesa e dell’umanità. A molti prediceva il futuro. Seguiva i buoni e i cattivi, i vicini e i lontani, i sani e i malati.
Stava a fianco dei moribondi, come è avvenuto per mia madre, e al capezzale di innumerevoli ammalati: negli ospedali, nelle case private, nei campi di concentramento e nei luoghi più impensabili.
Padre Pio era un’istituzione di “pronto intervento”. Guidava al posto di un autista addormentato, come accadde a un amico, e liberava da grossi imbarazzi l’automobilista distratto e imprudente.
Incidenti decisamente mortali, con l’intervento del Padre, si risolvevano in scontri arcanamente pilotati e senza conseguenze.
Tante volte ero presente anch’io quando gli interessati, illesi per miracolo, venivano a ringraziare il Padre che, con tanta semplicità, raccomandava: «E figlio mio, stai un poco più attento quando viaggi!».
A un impiegato di Casa Sollievo, vivo per miracolo, disse_ «Per prenderti da sotto la macchina, porto ancora le costole rotte!»
A un acerrimo comunista convertito, che veniva sabotato e minacciato dai compagni, perché ogni settimana portava, per voto, A San Giovanni Rotondo, i suoi vecchi amici, Padre Pio, con tono severo, disse: «Riferisci a chi ti minaccia che, se non la smettono, ho il potere di far ribaltare la loro macchina, anziché la tua».
Col profumo riusciva a far avvertire la sua presenza anche ai missionari di ogni continente della terra, come mi capitò di sentire da un gruppo di missionari in arrivo e in partenza per terre lontane.
«Fa tutto lui», dicevano nella veranda, davanti a padre Pio che ascoltava: «Egli ci protegge, ci conforta, ci apre le strade, ci libera dai pericoli e benedice il nostro lavoro. Senza di lui, oramai, non sapremmo vivere più».
Come i discepoli riferirono di Gesù a Giovanni, così anch’io di padre Pio alla Chiesa. Ho presentato i fatti.»
(Fonte: Mons. Pierino Galeone, Padre Pio, mio padre, San Paolo, 2005, pag. 82 e 83)
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«Non ho paura della morte… Vado a vedere il volto di Gesù…»
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 31/08/2020
Si chiamava Graziella. Come Anna, la profetessa del vangelo, passava le sue giornate in chiesa. Signorina, aveva sposato un giovane, vedovo con 4 figli per i quali fu mamma premurosa e attenta. Presto Antonio, il marito, fu colpito da una malattia rara e gravissima che lo costrinse per il resto della vita sulla sedia a rotelle. Graziella fu il suo angelo custode. Lo accompagnò, lo curò, lo amò fino alla morte.
Era devotissima del “Volto Santo”, la cui icona si venera a Napoli, nel santuario di Capodimonte. Il giorno 10 di ogni mese partiva con un pullman carico di pellegrini per portarli ai piedi di Gesù. A Caivano, il paese in provincia di Napoli dove viveva, dopo il terremoto del 1980, sorse un quartiere nuovo per dare una casa ai senzatetto. Graziella comprese che quella nuova parrocchia necessitava di essere aiutata e cominciò a frequentarla assiduamente assieme a qualche amica.
Poco tempo dopo fui mandato dal vescovo come parroco. La conobbi che era già anziana. “Che aiuto, potrà darmi questa vecchietta buona e semplice?” pensai. Mi sbagliavo di grosso. Presto Graziella divenne l’anima della parrocchia, la nonnina di tutti. La sua borsa sembrava il cappello del pifferaio, sempre piena di caramelle, oggetti religiosi e il thermos con il caffè per il parroco. Era proprio una di quelle persone belle che tutti vorrebbero incontrare nella vita. Innamorata di Gesù, della Madonna, del Papa, dei sacerdoti.
A volte arrivava piagnucolando. “Che c’è?” le chiedevo. E lei: “Padre Maurizio, Gesù non è amato. Bisogna salvare le anime”. Come i santi mistici soffriva – anche fisicamente – nel constatare che “l’Amore non è amato”. E si dava da fare. Le famiglie la chiamavano al capezzale dei moribondi e dei defunti per essere aiutate a pregare. Gli studenti la cercavano per chiederle preghiere nei tempi degli esami. Morivo dalle risate quando la sentivo pronunciare – era semianalfabeta – il nome dell’esame per cui stava pregando.
In parrocchia presto trovò la sua vera vocazione: la buona stampa. Era lei che si faceva carico della vendita di Famiglia Cristiana e Avvenire. Si metteva all’ultimo banco con il suo carico di giornali. Ogni domenica, tenace, gioiosa, partecipava a quattro Messe e quando non poteva affidava a qualche amica i suoi giornali. Ogni persona che entrava in chiesa era da lei innanzitutto accolta con il sorriso della nonna buona. Poi subito: «Prendete Avvenire, Famiglia Cristiana. Leggete, è importante, dice padre Maurizio».
Gli anni che passavano la invecchiavano nel corpo, ma indomito lasciava il suo animo sempre di più innamorato di Gesù. Una fede granitica. Spesso la prendevo in giro: «Graziella si avvicina l’ora della resa…». E lei: «Non ho paura della morte… Vado a vedere il volto di Gesù…».
Sabato mattina si è sentita male. Prima di essere trasportata in ospedale ha consegnato a qualcuno il ricavato dei giornali venduti pregandolo di farli avere al parroco. Nel giro di poche ore si è aggravata. Don Adriano è corso a darle l’Olio degli Infermi; lei ha partecipato al rito, ha aperto le mani, ha fatto per l’ultima volta il segno della croce. Al termine, mentre recitava l’Ave Maria, ha perso conoscenza. Trasportata a casa gli angeli le hanno messo un bellissimo paio di ali ed è volata via.
Al suo funerale ha preso parte tutto il paese. La Chiesa era strapiena come la notte di Natale. A volte, scherzando, le dicevo: « Graziella, guarda che non sarò io a celebrare il tuo funerale. Ti voglio troppo bene, sono certo che non ce la farei…». E così è stato. Il giorno in cui si è sentita male stavo a letto con febbre, tosse e senza voce. Una grazia. Un sacerdote, figlio della nostra parrocchia, don Adriano appunto, ha celebrato il rito.
E ha voluto ricordare quel lontano giorno del marzo del 1992, quando per la prima volta mise piedi in chiesa. Graziella lo guardò e gli disse: « Giovanotto come sei bello, sei un seminarista?» «Che cos’è un seminarista?» le chiese don Adriano. Talenti. A tutti sono stati dati. Io non so quanti talenti Graziella abbia ricevuto in dono. Una cosa posso dire con certezza: li ha spesi tutti, fino all’ultimo centesimo, per la gloria di Dio e la salvezza del mondo.
Quante “Grazielle” ci sono nelle nostre chiese? A quante di queste persone, semplici, nascoste, umili, abbiamo il dovere di dire grazie?
La comunione nella chiesa non è facoltativa. Al contrario, è alla base del nostro essere cristiani e della efficacia della nostra testimonianza. Nel campo di Dio c’è chi semina e chi raccoglie; chi innaffia e chi concima. Ma è il Signore che fa crescere. Graziella è stata una apostola della stampa cattolica a pieno titolo. Ha reso un servizio alla nostra comunità e alla Chiesa. Gratuitamente e nel nascondimento. È passata nella nostra vita e ci ha fatto tanto bene.
Adesso, ne sono certo, sta pregando per noi e per i giornali che ha venduto per tanti anni. Mi sembra di sentirla ancora: «Prendete Avvenire, Famiglia Cristiana. Leggete, è importante, ha detto padre Maurizio…».
Dall’account Facebook di Padre Maurizio Patriciello
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