FERMENTI CATTOLICI VIVI

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«Ero apostata, perseguitavo i cristiani, io ero la più anticlericale che si possa essere, femminista e pro-aborto.»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 21/10/2019

Infermiera abortista, anticlericale e femminista: si converte grazie all’incontro con le suore di Madre Teresa

Un articolo un po’ lunghetto che però vale davvero la pena di legger fino in fondo. Consiglio anche la visione del video alla fine.

Maria è il nuovo nome che questa donna ha voluto per sé, dopo la sua conversione e rinascita spirituale e fisica. Quando viveva nel buio più profondo (era arrivata ad ammalarsi e a tentare il suicidio), si chiamava Amaia, e ora a 45 anni racconta l’incontro inaspettato e prodigioso con Dio, che l’ha guarita e riportata in vita.

Questa infermiera di Bilbao praticava aborti in quantità ogni giorno: oggi è una fervente cattolica che ha incontrato GESU’ durante la Santa Messa, a cui non voleva partecipare, ma “per caso” si trovò in quella chiesa, in quel giorno, in un angolo sperduto del mondo, a Kathmandu, in Nepal, grazie ad alcune suore Missionarie della Carità di Madre Teresa.

In una testimonianza dettagliata che ha raccontato durante la Settimana della Famiglia 2019 nella diocesi di San Sebastian, Maria Martinez ha ricordato che “ero apostata, perseguitavo i cristiani, io ero la più anticlericale che si possa essere, femminista e pro-aborto…”.

Ma soprattutto, questa donna ha spiegato il fatto che ha segnato profondamente la sua vita. “Queste mani”, sottolineò, “erano macchiate di sangue innocente. Ho lavorato in una clinica per aborti per anni praticando l’aborto come infermiera “.

All’inizio, Maria (il suo nome era Amaia) lavorava come infermiera in una clinica, conosciuta con il nome di “Pianta del cielo”, in cui doveva accompagnare e seguire le coppie con donne incinte. Ma poi dovette scendere alla “pianta dell’inferno”, in cui venivano praticati gli aborti.

Lei era quella che per anni ogni mattina, dal lunedì al giovedì, aiutava il ginecologo a compiere centinaia di aborti. “Ogni mattina ricevevo donne incinte e le mandavo via senza il loro bambino”. – “La cosa fondamentale era far sì che le donne non dessero problemi, questo era il mio lavoro”, ha spiegato Maria. E ogni 15 minuti una donna andava in sala operatoria. Prima, ha aggiunto, “il mio compito era quello di isolare la donna in modo che non cambiasse idea, la toglievamo dalla realtà”.

Una volta arrivati in sala operatoria, molti tremavano, ma non a causa del freddo ma a causa della paura. “Si doveva procedere con il massacro”, ha sottolineato l’infermiera, “era una vera e propria caccia al bambino, al suo smembramento. Prima viene rotta la placenta in modo da far fuoriuscire il liquido amniotico, poi vengono introdotti i dilatatori per distruggere la vita all’interno, la gabbia toracica, il cranio, le braccia, le gambe vengono rotte, tutto deve essere annullato per essere risucchiato nel vuoto e poi cadere in un secchio.”

A volte ritornava a casa con la mano violacea, a causa della forza della sua presa, dato che lei doveva essere il sostegno delle donne che avevano abortito.

Ma Maria oggi rivela che “quelle donne non erano consapevoli che avevano scelto la strada dell’omicidio e del male totale. La mia coscienza era sonnecchiante sotto uno strato di menzogne, credendo che stavo facendo la cosa giusta e che stavo facendo il bene quella donna. “

Un giorno Maria si paralizzò, quando vide il piede di uno dei bambini abortiti nel secchio, perché fino ad allora cercava di convincersi che erano solo grumi di cellule. ” Ma quando vivi nelle tenebre, il tuo cuore diventa molto duro. Il mio era già molto impietrito. I miei capelli hanno iniziato a cadere e in quel periodo ho avuto anche la calvizie “.

Per provare a scrollarsi di dosso il male che stava facendo, Maria cominciò a correre perché ” quando sei sopraffatto dal disgusto per il male che hai fatto, provi a fare qualcosa per scacciarlo da te stesso, cercando di dimenticare, ma lui continua a perseguitarti”.

Aveva 27 anni e si sposò quando decise che voleva continuare a fare progressi e andò a studiare Fisioterapia a Barcellona. A Bilbao lasciò alle spalle l’aborto, cercando di scrollarselo di dosso, ma poi si trovò di fronte alla rovina del suo matrimonio. Tre anni dopo le nozze, suo marito era molto cambiato, da quando aveva aperto un consultorio con grande successo. La fama e i soldi lo avevano portato a cambiare amicizie e a passare da una festa all’altra.

Maria di nuovo tentò la fuga dal dolore e dai problemi, continuando a scappare e a correre: così ha cominciato a viaggiare per il mondo, facendo escursioni in foreste e arrampicandosi sulle montagne più impervie, cercando l’adrenalina nello sfidare il limite della morte. Ma poi un giorno, l’11 gennaio 2017, suo marito le disse che voleva lasciarla e la abbandonò andandosene di casa.

Pochi giorni dopo, Maria tentò il suicidio: “Quando ti trovi nel vuoto, senti solo un sussurro e chi sussurra dentro di te ti dice che non c’è speranza”. Ma in quel momento ricevette una telefonata. Era una guida nepalese con la quale stava facendo una rotta sull’Himalaya. Dopo il terremoto, c’era bisogno di personale sanitario che fosse anche disposto a muoversi sulla montagna. C’era bisogno di lei perché aveva tutti i requisiti necessari.

Anticattolica com’era, Maria si fece coinvolgere molto dalla spiritualità buddhista. Dopo un periodo di permanenza nel paese, si verificò un evento che sarebbe diventato provvidenziale per lei. Il monsone stava avanzando e, a causa delle valanghe di pietra che si riversavano sulle strade, Maria fu costretta a rimanere nella capitale nepalese e non in montagna come era il suo obiettivo iniziale.

Recandosi in visita ad alcuni spagnoli in viaggio in Nepal, un giorno si rese conto che accanto ad un tempio buddista c’era una casetta da cui provenivano dei forti gemiti. Le spiegarono che era un posto dove morivano i più poveri e solo le suore Missionarie della Carità di Madre Teresa potevano entrare in quel luogo. “Odiavo Madre Teresa perché ero un dottore e ricordavo come lei lavorava e per me era il contrario”, ha ricordato nella sua testimonianza.

Pochi giorni dopo, a un bivio, si imbatté in due di queste suore di Madre Teresa. Maria ha raccontato: “Sono venute direttamente da me. Una mi ha afferrato per un braccio, un’altra mi ha bloccata e mi ha detto che dovevo andare con loro da qualche parte per aiutarle”. Maria non voleva sapere nulla delle suore cattoliche e disse loro di lasciarla in pace, così le suore salirono su un autobus e se ne andarono. Tuttavia, quella notte “lo Spirito Santo non mi ha permesso di dormire”. Si svegliò all’alba e con la guida tornò all’incrocio dove le aveva incontrate.

La conversione totale durante la Santa Messa

Alla fine trovò la casa delle Missionarie e alla porta le venne incontro la suora conosciuta il giorno precedente: “Era ora!”, fu la prima cosa che le disse la suora Missionaria della Carità. Ma con sua sorpresa, Maria quel giorno non poteva essere ricevuta per un colloquio, ma solo il giorno dopo alle sei del mattino, dopo la Santa Messa, a cui doveva partecipare.

Maria molto infastidita, non poteva credere a quello che le avevano detto. Ma la mattina dopo era lì mezz’ora prima dell’appuntamento in programma. Nella cappella vide le nove suore inginocchiate ed un sacerdote. Maria non parlava inglese quindi non capiva nulla, ma poi arrivò il momento fulminante che avrebbe provocato la sua conversione. Non sarebbero trascorsi cinque minuti dall’inizio della celebrazione dell’Eucaristia, quando: “Sentivo un’emozione nel mio cuore, una voce che mi diceva: ‘Benvenuta a casa’.

Quando l’ho sentito, ho cercato intorno a me chi poteva aver parlato e mi dicevo che forse ero sconvolta, a causa dell’altitudine. Ma poi ho sentito di nuovo: “Benvenuta a casa, quanto tempo ci hai messo ad amarMI !”.

A quel punto capii da dove proveniva quella Voce e a Chi dovevo guardare: la Croce. Caddi in ginocchio a terra e potei solo piangere, piangere e piangere. Stavo piangendo a causa di quella immensa e profonda tristezza dentro di me, causata dall’aver preso le distanze dall’Amore. Ho anche gridato di immensa gioia perché stavo vivendo la misericordia di Dio “.

Maria ricordò come in quel momento “c’era grande pace nel mio cuore. Mi sono sentita perdonata, mi sono sentito amata, benedetta, resuscitata… ” Senza rendersene conto, erano passate tre ore, anche se a lei erano sembrati solo secondi. Alzando gli occhi, notò che tutte le suore erano al suo fianco in preghiera, consapevoli del miracolo che stava avvenendo.

“Dio mi ha restituito alla terra dei viventi”

“Quando alzai la fronte il mio sorriso, i miei occhi, la mia pelle, tutto in me era ritornato in vita, perché Dio mi aveva restituito alla terra dei viventi. Poi le suore che avevano pregato, mi hanno detto che da quel momento mi sarei chiamata Maria“, ha raccontato questa donna, spiegando perché aveva deciso di non chiamarsi più Amaia.

Solo allora poteva comprendere perché quelle suore le erano andate incontro a quell’incrocio e la avevano fermata. Le Missionarie della Carità lo avevano chiamato il “miracolo di Maria”. L’intera comunità aveva pregato la Madonna per un anno affinché arrivasse un volontario che fosse anche un fisioterapista. ” Lo Spirito Santo, quando ti ho vista quel giorno, mi ha detto: ‘E’ Lei ‘,” le rivelò la suora che quel giorno per strada la aveva trattenuta per un braccio.Risultato dell’immagine dei missionari del nepal di beneficenza

È rimasta con loro per quattro mesi e con queste suore Maria è stata in grado di capire veramente a quale dignità Dio la aveva chiamata e con quanto Amore la aveva aspettata. Poi le suore di Madre Teresa hanno detto a Maria che doveva tornare in Spagna, perché lì Dio aveva una missione per lei.

Maria doveva consolidare questa conversione e recuperare il suo matrimonio.

A Medina de Pomar ha incontrato altre suore di Madre Teresa che sono diventate il suo sostegno nel cammino di fede e di recupero della sua vita. Con loro, Maria ha cominciato un percorso di preghiera per suo marito e per recuperare il suo matrimonio, il prossimo passo di questa donna completamente rinnovata e finalmente felice.

(Fonte https://www.religionenlibertad.com/personajes/875809213/Practicaba-abortos-era-anticlerical-y-feminista-pero-en-una-misa-con-unas-monjas-cayo-fulminada.html?fbclid=IwAR2mWtqteWneKSbqdujaOnkmABuFayZHJ9XQHDovD2zQf8V4CzFW_zvnDmI)

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«Lo spilungone innamorato»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 01/04/2019

Una scena dolcissima. Un ragazzo, alto, capelli lunghi e biondi, tiene la mano agganciata a quella della sua ragazza. Avanzano dondolandosi, quasi danzando. Scherzano, si fanno le coccole. Ogni tanto si fermano, si guardano negli occhi, si abbracciano. Poi riprendono a saltellare, a correre, a rincorrersi. A fare girotondi. C’è poco da fare, le persone innamorate fanno più bello il mondo. Guardo meglio, mi sembra di riconoscere il giovanotto. E’ lui, è proprio lui, Alberto. Il mio Alberto.

La mente allora inizia a galoppare, va indietro nel tempo. Era una mattina di primavera, bella e luminosa. Me ne stavo seduto sul sagrato di una chiesa ad aspettare un amico. Una donna che non conoscevo, passando, mi salutò con cordialità. Fece pochi passi, poi ritornò indietro: «Padre, mi scusi – disse – sento il dovere di dirle una cosa importante. Sara, la figlia di un’amica è rimasta incinta. Il fidanzato, appena saputo la notizia, ha messo le ali e non si è fatto più vedere. Sara ha deciso di abortire. Se può, cerchi di aiutarla». Annotai nome e indirizzo.

Un’ora dopo bussai alla porta di Sara. Mi presentai, ma mi accorsi che sia lei che la sua famiglia mi conoscevano già. Spiegai loro il motivo della mia visita. Rimasero meravigliati ma accettarono di parlare. Sara era distrutta. Un mare di lacrime e di amarezza. All’improvviso le era caduto il mondo addosso. Portava in grembo un figlio, suo figlio, che avrebbe potuto essere la sua gioia ma che adesso rappresentava il suo tormento. Non era facile per lei accettare quella gravidanza inaspettata. Michele, il fidanzato, aveva fatto perdere le sue tracce e lei era tanto giovane.

“Come faccio, padre? Se ci fosse anche lui sarebbe diverso, insieme avremmo affrontato i problemi, ma da sola come faccio?” Povera figlia, aveva ragione da vendere. Non è facile a 20 anni diventare mamma senza il sostegno di chi, fino al giorno prima, giurava di amarti. “Hai ragione, Sara; ricordati però che noi ci siamo e non ti abbandoneremo. Se avrai il coraggio di far nascere il bambino che porti in grembo, ti assicuro che non te ne pentirai. Fidati. La vita è troppo bella, unica, preziosa per gettarla via. Con il tempo le cose cambieranno, solo se decidi di abortire non potrai più tornare indietro”.

Sara passava da uno stato d’animo a un altro alla velocità del lampo. A momenti di ansia e depressione ne alternava altri di speranza e di fede. Mille dubbi le schiacciavano il cuore. La paura era tanta. Povera ragazza. Aveva riposto fiducia nel suo Michele, gli aveva concesso tutto, e lui, nel momento più delicato, l’aveva abbandonata. Alla delusione per l’amore perduto si aggiungeva adesso la paura di diventare una ragazza madre.

La sua mamma in un angolo piangeva. “La vita è tua, Sara. Devi decidere tu che cosa fare. Sappi che noi, qualsiasi sia la tua scelta, non ti abbandoneremo”. Che fare? Guardavo Sara con tenerezza immensa. In cuor mio pregavo. Il pensiero correva a tutte le ragazze come lei ingannate, deluse e abbandonate. Povere ragazze sulle quali cade tutto il peso della gravidanza, della maternità o la lacerante scelta di eliminare il bambino.

Sara era credente anche se con la chiesa e i sacramenti non aveva troppa confidenza. Però pregava. Si, sapeva bene che l’aborto era un delitto. Sapeva che anche suo figlio aveva il diritto di nascere. Sapeva tutto, ma era decisa a tutto. L’aborto in quelle ore le sembrava l’unica soluzione per uscire da quel labirinto in cui era finita. Sembrava proprio che lo spazio per la speranza andasse scemando. Ci incontrammo ancora.

Dopo i giorni dell’incertezza e dell’angoscia, dopo le lacrime versate e le preghiere innalzate al Signore della vita, Sara prese la sua decisione. Suo figlio sarebbe nato. “In questo mondo tanto grande ci sarà posto anche per lui”, disse.

Da quel giorno, come per incanto, divenne più serena. Alberto nacque. Ebbi la gioia di battezzarlo. Mantenemmo la promessa fatta. Gli anni iniziarono a volare. Una domenica mattina, con il giglio in mano, elegante nel suo vestitino bianco, emozionato, ricevette per la prima volta Gesù nell’Eucarestia. In seguito la sua famiglia cambiò casa e non ebbi più modo di vederlo.

L’ho incontrato l’altro giorno. Uno spilungone innamorato e felice. Luminoso e bello come quella mattina di tanti anni prima, quando, senza saperlo, la Provvidenza mi aveva dato appuntamento sul sagrato di una chiesa. Sii felice, Alberto, figlio mio. Padre Maurizio Patriciello.

(Dall’Account Facebook di padre Maurizio)

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«Il problema è che lo vuole morto…»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 31/01/2019

La Dottoressa De Mari con la sua solita chiarezza e con coraggio, illustra i “progressi” statunitensi nell’ambito dei diritti umani.

Ascoltiamola attentamente e sosteniamola con la preghiera!

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