Se è corretto terminare le preghiere con “amen”, perché dopo il Padre Nostro nella Messa non si dice?
La parola “amen” è uno dei vocaboli più usati dai cristiani ed è difficilmente traducibile nel suo senso più profondo, per questo è stata mantenuta la forma ebraica originaria, che è quella usata nella relazione con Dio.
Pronunciare questa parola significa che si ritiene vero ciò che si è appena detto, con l’obbiettivo di ratificare una proposta, di unirsi ad essa o a una preghiera.
Per questo, esprimere in gruppo nell’ambito del servizio divino o dell’ufficio religioso, significa “essere d’accordo” con quanto appena detto.
La parola “amen” conclude le preghiere, anche quella del Padre Nostro, ma non il Padre Nostro recitato durante la Messa. (…)
E’ semplice, non si dice “amen” perché la preghiera non è ancora terminata.
Dopo aver pregato il Padre Nostro, alle parole “…ma liberaci dal male”, al posto di “amen”, il sacerdote continua a pregare da solo.
La liturgia definisce questa cosa “embolismo” ovvero la preghiera che il celebrante fa da solo raccoglie e consegna la preghiera precedente.
Il sacerdote sviluppa l’ultima petizione del Padre Nostro (“liberaci dal male”) dicendo:
“Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni, e con l’aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo.”
E il popolo risponde:
“Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli.”
Così il Padre Nostro è totalmente integrato nella liturgia eucaristica, non come un’aggiunta ma come una sua parte fondamentale.
(Tradotto dall’originale portoghese: http://cleofas.com.br/por-que-na-missa-nao-se-diz-amem-no-final-do-pai-nosso/)
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