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Posts Tagged ‘Andrea Torquato Giovanoli’

Così, oggi, ‘uccidono’ il padre

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 17/10/2016

Ho appena finito di leggere un libro. E’ un libro particolare, dall’andamento deliziosamente a singhiozzo, nel senso che in un capitolo sorridi, in un altro rifletti un po’, poi sorridi e poi rifletti ancora e poi ridi a crepapelle e poi ti commuovi. Mai banale, non ti annoia mai, e alla fine ne resti edificato.

Condivido qua uno dei capitoli che mi ha toccato di più.

la_sindrome_del_panda_02

<<Se fossi costretto a scegliere uno tra i quarti d’ora più brutti della mia vita, pur avendo una vasta scelta di attimi funesti, non avrei nessun dubbio, poiché tra tutti ce n’è uno che di gran lunga supera tutti gli altri per essere il peggiore.

Si tratta di un episodio particolarissimo, mimetizzato in un periodo già di per sé particolarmente buio: una di quelle mezze stagioni dell’ersistenza in cui le circostanze mordaci del vivere ti stringono d’assedio, mettendoti a dura prova, ma forse proprio per questro lasciando d’altro canto che la pellicola che separa l’immanente dal trascendente si assottigli e facendoti sbirciare in trasparenza quella Luce che illumina la Creazione e ti raggiunge, se vocata nella preghiera.

Il mio secondo figlio si trovava nella fase finale della malattia che gli ha poi aperto in via anticipata le porte del Cielo, mentre mia moglie custodiva nel grembo quello che sarebbe diventato il nostro terzogenito, e ci trovavamo in ospedale, al capezzale del nostro bimbo, nel reparto di terapia intensiva, quando ci raggiunse il giro di controllo dei medici ci turno.

la_sindrome_del_panda_01Dopo che i dottori ci ebbero aggiornati sullo stato fisico di nostro figlio, ci chiesero delucidazioni sulla sua malattia e, quando comunicammo loro che anche per il bambino in arrivo ci sarebbe stata la possibilità che avrebbe potuto essere affetto dalla medesima malattia che stava consumando il fratello maggiore, fummo testimoni di quella che, secondo gli standard mondani, viene considerata una “soluzione” per casi di questo tipo.

Con il tatto e la sensibilità di un pachiderma in carica, prese la parola la guida della combriccola in camice bianco, la quale, rivolgendosi esclusivamente a mia moglie, come se io fossi invisibile al suo fianco, le comunicò: “Signora, guardi che lei è ancora in tempo per terminare questa gravidanza…” e lo dichiarò con la naturalezza di chi, dall’alto della sua illuminata sapienza, propone la soluzione più ovvia a coloro i quali, evidentemente, ritiene essere di intelligenza inferiore.

Il nugolo di medici e specializzandi che l’attorniavano si accodarono assenzienti alla brillante uscita, mentre io guardavo la mia sposa ammutolita e subito cercai di abortire l’argomento dichiarando a mia volta che all’interno della nostra coppia non era contemplata nessuna soluzione diversa dall’accoglienza di quel bimbo così come Dio ce lo avrebbe dato.

La reazione mi disarmò: fu come se fossi stato totalmente decontestualizzato, le mie parola caddero aliene nel vuoto assoluto, nemmeno uno sguardo si voltò verso di me, che pure ero lì accanto a mia moglie, ma imperterriti i medici iniziarono a declamare alla mia consorte quelli che secondo loro sarebbero stati i “vantaggi” di quella scelta.

la_sindrome_del_panda_03In pratica le stavano proponendo di uccidere subito quel bambino che portava in grembo per evitare che potesse nascere anche lui malato e quindi morire dopo pochi mesi: come se quel quarto di probabilità nefasta giustificasse la soppressione di una vita prima ancora che venisse al mondo, così, tanto per risparmiarsi inutili perdite di tempo.

Capii in quel momento, davanti all’impassibilità dei medici ed al silenzio indecifrabile di mia moglie, che io in quell’eventuale scelta, non avevo alcuna voce in capitolo. Mi ritrovai così del tutto impotente verso quella che sarebbe stata la sorte di quel figlio che, seppur nascosto nel ventre di sua madre, era e restava comunque anche mio.

Fu questa consapevolezza che mi gettò nel panico profondo, lasciandomi preda indifesa di sconfortante frustrazione ed angoscia disperata insieme, poiché ogni fibra del mio cuore si opponeva anche solo al pensiero di sopprimere la vita di quel bimbo, eppure per la sua salvezza non potevo far nulla, poiché per un’iniqua legge, solo la madre può decidere sul destino del figlio che porta in grembo, mentre il padre, che pur ne rimane il genitore, nulla può per salvare la sua vita.

la_sindrome_del_panda_04Una volta che riuscii a rimanere solo con la mia consorte, ella mi rassicurò sulla sua ferma volontà d’impedire a chiunque di far del male a nostro figlio, tant’è che quel bambino è oggi qui con noi.

Nondimeno, ogni volta che ripenso a quell’episodio, un brivido gelido mi percorre la spina dorsale, ma subito dopo ringrazio Dio: perché in quel momento ebbi l’occasione di sperimentare un attimo di profonda comunione con quel Padre, il quale si ritrova anch’Egli col cuore straziato davanti ad ogni figlio ucciso nel grembo materno e che per quell’Amore che si autolimita nel rispetto della libertà della creatura amata, pur potendo Egli ogni cosa, si rende impotente e solo spera, fino all’ultimo istante, che una mamma non uccida il suo bambino.>>

(Tratto da “La sindrome del panda”, di Andrea Torquato Giovanoli, pagg. 109-111; titolo originale del capitolo: “La paternità negata)

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Eri già donna… e come tale di una cosa avevi bisogno prima di tutto: lo sguardo di due occhi che ti fissassero con amore

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 01/11/2015

Non_piu_due_01Ho appena finito di leggere “Non più due”  di Andrea Torquato Giovanoli.

Seguo con piacere Andrea sui social da un po’ ma devo confessare di aver acquistato il libro per la copertina: quel Cristo che teneva unite le due fedi era proprio l’immagine del matrimonio cristiano come lo concepisco e come, mia moglie e io cerchiamo di vivere giorno dopo giorno.

Come nella copertina, Cristo ci aiuta ad accogliere la diversità dell’altro come ricchezza, le tiene insieme e quando ci riusciamo, ad accogliere la diversità dell’altro, tutto funziona alla grande.

In quest’ottica Andrea scrive alla figlia per parlarle degli uomini, da uomo, da padre e con una scrittura gradevolissima, qua e là parla anche del Padre, quello con la “p” maiuscola.

Ma lascio (col suo permesso appena accordato) la parola a lui.

Era mezzogiorno e mi trovavo una volta tanto da solo a casa con te, che avevi solo un anno.

Così ti ho preparato la tua pappa (abbondando con il condimento, come mio standard), ti ho apparecchiata sul tuo seggiolone, ti ho messo il tuo bavaglino (quello rosa, con il tuo nome ricamato dalla tua mamma) ed ho cominciato a darti da mangiare.

Nulla: non mi aprivi neanche la bocca.

Allora ho provato a darti uno dei giochini del tuo campionario: me lo hai scaraventato a terra.

Te ne ho passato un altro: stessa fine.

Ed a quel punto ho iniziato a sentire le mie budella aggrovigliarsi, ma ho sorriso e ho cambiato strategia: magari avevi sete, così ti ho passato il biberon, dal quale effettivamente hai iniziato a sorseggiare con bramosia.

PNon_piu_due_02erciò mi son detto: “Ecco vedi: voleva bere. Adesso mangerà”.

Allora ti porto ilcucchiaio pieno di anellini stracotti nel brodo preparato la sera prima da tua madre e insaporiti con un gustoso formaggino (roba buona, insomma, per aver la quale inalcune parti del globo si arriverebbe anche ad uccidere): niente, neanche unboccone.

A quel punto stavo già per arrendermi (perché lo sai che sono uno di quelli che starebbe ore a giocare coi bimbi, ma se devo dar loro da mangiare la mia pazienza si riduce a cifre prossime allo zero) e stavo seriamente pensando di riparare su uno Yogurt alla banana: buono, nutriente, già pronto e facile da somministrare, tanto più che fresco com’è avrebbe potuto pore darti sollievo ai dentini (hai visto mai)…

Poi però ho deciso di provarci un’ultima volta: ti ho preso il visino nella mano, ti ho guardata dritto negli occhi e ti ho porto il cucchiaino col boccone.

E lì è successa una cosa straordinaria: tu mi hai sorriso, hai aperto la bocca ed hai cominciato a mangiare.

Così abbiamo iniziato una specie di gioco ripetuto: mi bastava incrociare il tuo sguardo un momento prima di darti ilboccone per ottenere il tuo sorriso e che mi aprissi la bocca per mangiare.

E’ stato in quel preciso istante che ho capito, come una sorta di illuminazione: perché tu, bambina mia, eri figlia femmina, a te non bastava (come per i pirlotti dei tuoi fratelli) darti in mano un giochino per condirti via nello sfamarti, tu esigevi di metterti in relazione, e nello specifico pretendevi l’attenzione del tuo uomo, che per allora (e spero ancora per qualche anno) ero io, interamente su di te.

Non_piu_due_03Eri già donna, non c’era nulla da fare.

E come tale di una cosa avevi bisogno prima di tutto: lo sguardo di due occhi che ti fissassero con amore, facendoti sentire parte di un rapporto esclusivo.

Oggi sono i miei, domani saranno quelli di tuo marito, ma in realtà l’unico sguardo che davvero potrà saziare questa tua innata fame di relazione è quello del Padre, di cui io ora sono rifrangenza, così come poi lo sarà (dovrà esserlo!) il tuo sposo.

Perché guarda, piccola mia, che i figli non basta nutrirli nel corpo e nella mente, ma poiché appartenenti a quell’umanità fatta a immagine di Dio, hanno la primaria necessitàd’essere saziati nello spirito, con una relazione d’amore che abbia origina, si alimenti a sua volta e abbia come scopo e meta Colui che solo è Amore.

Altrimenti, di quella fame, muoiono.

(“Non più Due” di Andrea Torquato Giovanoli, Gribaudi, Milano 2015, pag- 61-63)

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