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Posts Tagged ‘conversioni famose’

Quando i riflettori della grazia furono più potenti di quelli della Warner Bros…

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 28/05/2019

Direste mai che è la frase pronunciata da una delle maggiori star di Hollywood tre volte premio Oscar?

E’ una storia un po’ lunghetta ma che va giù tutta d’un fiato e che ci mostra come, una moglie e due amici cattolici ferventi, che per una vita hanno dato un esempio coerente, abbiano portato Gary Cooper ad abbracciare il cattolicesimo.

Neppure un flash fu scattato  nella piccola chiesa del Buon Pastore a Beverly Hills (Hollywood) quando il 9 aprile del 1959, sul capo ormai argenteo di un distinto signore, scendeva silenziosamente, come la grazia nel suo cuore, l’acqua rigeneratrice del Battesimo.

Migliaia di fotografi sarebbero accorsi per cogliere quel momento se l’avessero saputo: uno degli uomini più in vista d’America, il celeberrimo attore del cinema statunitense, faceva l’abiura della Chiesa Episcopaliana per entrare nella Chiesa Cattolica.

(…) Novanta film e tre premi Oscar ne avevano fatto, dopo 35 anni di carriera ininterrotta, uno dei più popolari attori dello schermo. (…) Dopo essere stato travolto [dal successo holliwoodiano], si era tirato fuori abbastanza presto dal turbine di Hollywood.

Non era tagliato per le sregolatezze e le fasullerie di quel mondo di cartapesta. Non aveva nemmeno imparato a bere. Ballava male, pestando i piedi alla compagna. Una volta li pestò con più insistenza del solito a una ragazza, Veronica Balfe, che resistette meglio delle altre, e Gary la sposò.

Veronica era figlia di industriali, gente solida e timorata, che non videro di buon occhio l’ingresso di un attore, per quanto famoso, nella loro famiglia. Ma dovettero ricredersi perché Gary fu un marito ottimo; infatti il suo è stato l’unico matrimonio (o quasi l’unico) di Hollywood che ha resistito fino in fondo.

Ciò non vuol dire che non abbia avuto scossoni. Dall’avventura con Lupe Velez, Gary uscì disfatto fisicamente e moralmente. Egli ci naufragò perché era disarmato, ma ne uscì secco come una lucertola, pieno di rimorsi puritani e col terrore di essere diventato un «play boy» come ce n’erano tanti in quella specie di Sodoma di celluloide.

Ma la moglie era cattolica, una cattolica convinta e praticante. Non avrebbe mai consentito al divorzio. Di qui il diminutivo di Veronica, Rocky, che vuol dire rocciosa, con cui la chiamava il marito. (…)

Quando si convertì al cattolicesimo (i suoi genitori erano quaccheri), egli era al vertice della sua carriera artistica. È facile immaginare l’impressione suscitata negli ambienti holliwoodiani, ma per quanti lo conoscevano più intimamente, non fu una sorpresa: già da tempo si parlava di questa possibilità.

L’amicizia con altri due notissimi esponenti del cinema americano, Bing Crosby e Irene Dunn, entrambi ferventi cattolici e membri dell’associazione dei Christofers, l’avere egli sempre dimostrato interesse per i problemi religiosi, la delicata e intelligente opera della moglie e il suo esempio di vera cristiana facevano prevedere che un giorno il re dei cow boys avrebbe abbracciato la piena fede nella Chiesa di Roma.

Egli era stato ricevuto una prima volta da Papa Pio XII nel 1953; venne poi ricevuto un’altra volta, con la moglie e con la figlia, nell’anno della conversione che avvenne, come lui stesso confidò a un amico, «dopo avere a lungo riflettuto».

Ai giornalisti, che subito dopo la notizia si precipitarono in folla a chiedergli dichiarazioni sull’avvenimento, Gary rispose molto semplicemente che la cosa riguardava soltanto la sua coscienza e non intendeva farne una speculazione pubblicitaria. Con queste parole rivelava ancora una volta la sua vera personalità. 

Egli non tradì mai il suo «tipo», neppure nell’ultimo periodo della sua vita, quando ebbe a subire la prova del fuoco nella malattia che lo condusse alla tomba il 13 maggio 1961. 

La fede cristiana, accettata nella sua pienezza, era giunta in tempo a sostenere l’eroe candido e gentile, forte e leale, nella battaglia decisiva per la conquista dell’eternità.

La resistenza di Gary [nella malattia] aveva qualcosa di eccezionale. I medici dissero che altri, al suo posto, sarebbero stati vinti dalla malattia molto prima di lui. Guardava serenamente al suo passato e alla morte che si profilava quanto mai vicina. Diceva: «Ho avuto una vita felice. Non potrei chiedere altro che morire serenamente come ho sempre desiderato».

Nel corso della malattia ricevette più volte i sacramenti. Alcuni giorni prima della morte, in occasione del suo compleanno, rifiutò i sedativi per essere pienamente sveglio e consapevole.

La sua fine era imminente quando gli venne l’ultimo riconoscimento dal mondo del cinema, il terzo Oscar. Il volto magro di James Stewart, che ritirò a nome suo l’ambita statuetta d’oro, apparve in primo piano su milioni di teleschermi americani rigato di lacrime quando disse: «Cooper, con questo Oscar ti manifestiamo la nostra amicizia e il nostro affetto, l’ammirazione e il profondo rispetto di noi tutti. Siamo orgogliosi, molto orgogliosi di te.»

Il malato seguiva la trasmissione sul video della sua casa e rispose all?amico: «Ho avuto tante soddisfazioni nella vita, ora vorrei tanto morire bene.» E alla moglie ripeteva: «Voglio morire bene, sia come uomo che come cristiano.»

Tre giorni prima della fine Gary Cooper aveva ricevuto in piena coscienza l’Unzione degli Infermi. Visto il parroco Sullivan accanto al suo letto, gli sorrise con grande dolcezza. La sofferenza scavava un solco inarrestabile sul suo volto; dolori terribili gli mordevano le carni.

Poco prima del trapasso mormorò: «Sia fatta la volontà di Dio.» A un tratto mosse a fatica le labbra e disse a mezza voce: «Signore aiutami a morire senza paura». Poi chiuse gli occhi in un sonno che era già mortale.

I riflettori della grazia hanno battuto quelli della Warner Bros e della Paramount, illuminando la pagina più bella della vita del vecchio e amato cow boy.

(Tratto da «Uomini incontro a Cristo», Edizioni Pro Civitate Christiana, Assisi, a cura di Giovanni Rossi)

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“Se la religione significa qualcosa, l’uomo tutto – mente e corpo – hanno il dovere di adorare.”

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 15/08/2016

Guinness_01

Una scena dei “Racconti di Padre Brown”, film del 1957

Alec Guinnes è considerato uno dei migliori attori del ventesimo secolo, per la sua abilità di interpretare un’ampia gamma di personaggi. Venne acclamato nel suo Amleto teatrale a Londra ed ebbe successo internazionale anche nel cinema.

Nel 1957 gli venne attribuito dall’accademia il premio come migliore attore per “Il ponte sul fiume Kwai; due anni dopo gli venne attribuito il titolo di Cavaliere dell’Ordine dell’Impero Britannico, dalla Regina Elisabetta. Nel 1962 era il primcipe Faiçal in Lawrence d’Arabia e nel 1977 divenne famoso per il ruolo di Ben Kenobi in Guerre Stellari.

Nella sua autobiografia Blessings in Disguise (Akadine Pr, 2001), Guinness attribuisce quasi maggiore importanza alla sua conversione alla Chiesa Cattolica che al suo successo cinematografico.

Ecco la storia della sua conversione fuori dal comune.

Guinnes nacque a Londra nel 1914 da Agnes Cuffe, una ragazza madre che si occupò di lui in modo disordinat; si rifiutò di rivelargli il nome del padre e lui per anni si chiedette il perché di quel nome, Guinness, sul suo certificato di nascita.

A sei anni spesso il bambino veniva lasciato da solo. Sua madre ebbe una relazione con un uomo brutale che Alex odiava e temeva. Il bambino vide un bagliore da quella povertà e negligenza solo con la scuola e, nell’adolescenza quando scoprì la passione per il teatro.

A sedici anni venne confermato nella fede anglicana ma in cuor suo si definiva ateo.

“Certi eventi o parole del Nuovo Testamento – scrirre più tardi – comunque mi imteressavano e, nonostante fossi ignorante di teologia, mantenevo un costante interesse per gli argomenti religiosi. Il più delle volte, però, tutto cedeva sotto al mio cinismo di adolescente”.

Scena tratta dal film "Il ponte sul fiume Kwai"

Scena tratta dal film “Il ponte sul fiume Kwai”

Questo “costante interesse per gli argomenti religiosi” portò il giovane Guinness a frequentare per un po’ i presbiteriani, ma non durò. Scrive nella sua autobiografia che non gli passò mai per la mente la possibilità di entrare nella Chiesa Cattolica. La sua tolleranza nei confronti dei cattolici si limitava a una visione di simpatia”.

A 18b anni lasciò la scuola per un lavoro in un’agenzia di pubblicità. Non pensava più alla religione ritenendo che era tutto sotto a una montagna di immondizia, uno schema maligno dell’establishment per mantenere il lavoratore al suo posto. Flirtò col comunismo, divulgando la letteratura marxista leninista, partecipò alle riunioni dei “quakers”, studiò il buddismo e arrivò a coinvolgersi con la tarologia.

Fallendo nella carriera di redattore tornò al teatro, realizzando un sogno che aveva fin dall’infanzia. Il successo non tardò ad arrivare.

Mentre interpretava Amleto a Londra, un prete anglicano gli fece notare come non facesse bene il segno della Croce mentre era inscena. Quell’incontro fece risvegliare in lui di nuovo l’interesse per il cristianesimo.

In una notte terribile durante la Seconda Guerra Mondiale, quando Londra si trovava sotto l’attacco della forza aerea tedesca (Deutsche Luftwaffe), Guinness si rifugiò nel vicariato del Reverendo Cyril Tomkinson. Era preoccupato per la moglie e per il figlio piccolo che si trovavano in un appartamentino affittato nella città di Stratford-upon-Avon. Tra un bicchiere di vino e un altro, il padre anglicano diede ad Alec una copia dell'”Introduzione alla vita devota” di San Francesco di Sales, avvertendolo di fare sempre una genuflessione davanti all’altare. Guinnes non aveva idea di cosa fosse quella “presenza reale” ma, tra le bombe che gli esplodevano intorno, quella non sembrava essere al momento, la conversazione più urgente da fare.
Guinness tornò alla fede anglicana e andava spesso in bicicletta, nelle buie matine invernali, per ricevere la comunione in una chiesa dell’interiore. La sua amicizia con Tomkinson fece diminuire il suo anticlericalismo, ma non la sua avversione alla Chiesa di Roma. Ma fu proprio Padre Brown a iniziare inlui questo processo.

Guinness_04Padre Brown è il brillante personaggio creato dallo scrittore cattolico G. K. Chesterton. Una delle più memorabili interpretazioni di Guinnes è stata proprio quella di questo umile chierico e detective, nel 1954. Il film veniva girato in un remoto paesino francese. Una notte Guinness, ancora in abito talare, stava tornando al suo alloggio. Un ragazzino, credendolo un vero prete, lo prese per mano fiducioso, facendogli compagnia.

Quell’episodio apparentemente insignificante marcò profondamente l’attore. “Continuando a camminare – disse Guinness – riflettei sul fatto che una Chiesa che riusciva a ispirare una tal fiducia in un bambino, non poteva essere tanto astuta e spaventevole come veniva spesso dipinta. I miei vecchi preconcetti cominciavano a vacillare”.

Poco tempo dopo, Matthew, il figlio undicenne di Guinness venne colpito dalla poliomielite e restò paralizzato dalla vita in giù. Il futuro del ragazzino appariva quantomeno incerto e, alla fine delle riprese quotidiane del film, Guinness cominciò a passare in una piccola chiesa cattolica che incontrava tornando a casa. Fece un patto con Dio: se lo avesse guarito, lui non si sarebbe opposto a che il figlio diventasse cattolico.

Matthew guarì completamente e Guinness e sua moglie lo iscrissero alla scuola dei Gesuiti. A 15 anni il ragazzo annunciò che voleva diventare cattolico. Mantenendo la sua promessa, il padre non si oppose.
Ma Dio voleva molto di più. Guinness cominciò a studiare la religione cattolica e faceva lunghe conversazioni con un sacerdote. Fece un ritiro in un monastero trappista e arrivò persino ad assistere a una messa cattolica con l’attrice Grace Kelly mentre giravano un film a Los Angeles. Certo argomenti come quello delle indulgenze e dell’infallibilità del Papa lo frenavano un apo’ fino a quando, un giorno, finalmente cedette.

“Non ebbi nessun turbamento emotivo, nessuna grande intuizione, nessun particolare interesse alle questioni teologiche; solo un senso della storia e delle proporzioni delle cose”.

Guinness_03Guinness venne accolto nella Chiesa Cattolica dal Vescovo di Porthsmouth e, mentre si trovava in Sri Lanka per girare “Il ponte sul fiume Kwai”, venne piacevolmente sorpreso dalla conversione di sua moglie.

Come spesso capita coi nuovi convertiti, Guinness sperimentò periodi di pace profonda e persino piaceri fisici. Raccontava spesso di come a volte corresse come un pazzo per stare alla presenza del Santissimo Sacramento in una piccola anonima chiesa.

Riflettendo su questi episodi scrisse: “Se la religione significa qualcosa, l’uomo tutto – mente e corpo – hanno il dovere di adorare. Mi sono sentito rassicurato quando venni a sapere che il buono, brillante e acutamente sensato Ronald Knox si era ritrovato come me a correre come un pazzo e in varie occasioni, per visitare il Santissimo Sacramento.”

Sir Alec Guinness mor nel 2000, a 86 anni, ringraziando il Padre Brown di Chesterton, che lo aveva condotto per mano fino alla Chiesa, e grato per il recupero di suo figlio, terminò il suo percorso altamente proficuo come attore, una vita di grazia, preludio dell’eternità.

Fonte: https://padrepauloricardo.org/

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“Questa chiave si chiama Gesù Cristo!”

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 17/02/2016

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Max Daithendey

Lo scrittore bavarese Max Daithendey, era sposato con una svedese. Ambedue erano straordinariamente eruditi. Per il resto, nessuno dei due credeva in Dio, né all’esistenza dell’anima o della vita eterna.

Entrambi però cercavano, senza interruzione, delle risposte ad alcuni assillanti “quesiti” esistenziali. Da dove veniamo noi? Perché viviamo su questa terra? Che senso ha la nostra vita e che cosa ci attende dopo la nostra morte?

I loro cuori erano vuoti e irrequieti.

Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale sorprese Max in Indonesia, dove egli anche morì, nel 1918. Dopo la sua morte venne ritrovata tra le sue cose, una lettera dall’Europa, che gli era stata scritta da sua moglie, lì rimasta intrappolata dalla guerra.

Mio caro Max! Noi abbiamo cercato insieme e dappertutto quella formula, con la quale risolvere i problemi della vita e della morte, senza riuscire a trovarla da nessuna parte!

Spesso abbiamo creduto e sperato che la moderna filosofia e la scienza potessero farci trovare la “formula” o la “chiave” di essa.

Nel frattempo io l’ho trovata! Questa “chiave” si chiama Gesù Cristo!

Egli risolve tutti i problemi legati alla vita e alla morte, al bene e al male, la verità e la menzogna, il tempo finito e l’eternità e tutto questo mediante il “suo” Vangelo!

Per questo, caro Max, leggi con costanza e vera devozione le Sacre Scritture e resta fermamente ancorato a ciò che Gesù ha detto“.

Quello scrittore ascoltò ciò che la moglie gli raccomandava e già un anno dopo morì, nella pace, tenendo un crocefisso nella mano.

(Fonte: “Esempi di vita cristiana” di Padre Petar Ljubcic, Edizioni OCD, pag. 92 e 93)

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“Oggi, io sono pienamente convinto di essere stato per trent’anni nell’errore”

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 08/02/2016

Zola_02Pochi sanno della conversione alla fede cristiana dello scrittore Émile Zola, padre del naturalismo.

Già alcuni suoi romanzi, scritti quando ancora irrideva la fede, rivelano una nascosta nostalgia di una fede perduta.

“Diffida della tua devozione alla vergine”. Diceva così, con voce misteriosamente ammonitrice, frère Archangias a Serge Mouret nel romanzo “La faute de l’abbé Pauret”, scritto da Émile Zola nel 1875.

Di questo scrittore francese (1840-1902) tutti sanno quanto sia stato lontano dalla fede e dalla vita cristiana. Pochi sanno, però, del suo ritorno a Dio e alla Chiesa Cattolica, nel 1896.

Già avanti negli anni, lo scrittore si era frtturato un piede. La ferita continuava ad aggravarsi, si pensava già all’amputazione dell’arto.

Ma ecco che, alla vigilia del Natale 1896, egli si vede in sogno entrare in una chiesa. Sul muro una signora regge in braccio un bambino. Nel sogno intona un canto di chiesa.

L’indomani, quando la moglie gli richiama il canto, egli le chiede di andare in chiesa e accendere una candela dinanzo all’altare della Madre di Dio.

La signora Zola va, ed egli subito avverte insoliti stiramenti al piede malato. Tenta di alzarsi: con grande meraviglia non sente più dolore al piede. Era guarito.

Zola_01Émile Zola non solo mise per iscritto l’avvenuta guarigione, ma insieme si convertì a quella fede che aveva tanto denigrata.

Il 18 aprile 1898 pubblicò un documento, una sorta di confessione pubblica, in cui fra l’altro scrive:

“Oggi, io sono pienamente convinto di essere stato per trent’anni nell’errore.

Conosco bene su quale base poggia tutto il sistema della frammassoneria, di cui ho diffuso la dottrina, inducendo alche altri a diffonderla […]. Di tutto mi pento con sincerità.

Illuminato da Dio, mi rendo conto di tutto il male che ho commesso.

Pertanto, io respingo la frammassoneria e me ne dissocio, confessando i miei errori dinanzi alla Chiesa.

Chiedo perdono a Dio di tutto il male che ho fatto con il mio esempio […]e invoco il perdono dal nostro Sommo Pastore, Sua Santità il Papa Leone XIII”.

[Fonte: La Voce, n. 6 – novembre-dicembre 2015]

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«Il cattolicesimo è la religione in cui muoio»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 15/01/2016

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«Il cattolicesimo è la religione in cui muoio», così disse il celebre poeta e drammaturgo Oscar Wilde poco prima di morire a Parigi, il 30 novembre 1900. Lo scrittore e saggista esperto del mondo britannico Paolo Gulisano si è concentrato anche sulla conversione di Wilde nel suo libro “Ritratto di Oscar Wilde” (Ancora 2009) in cui ha definito «un mistero non ancora pienamente svelato» la sua complessa personalità, arrivando a descrivere il profondo e autentico sentimento religioso del celebre poeta.

Il cammino esistenziale di Oscar Wilde è stato un lungo e difficile itinerario verso il cattolicesimo, una conversione – ha spiegato Gulisano – «di cui nessuno parla, e che fu una scelta meditata a lungo, e a lungo rimandata, anche se – con uno dei paradossi che tanto amava – , Wilde affermò un giorno a chi gli chiedeva se non si stesse avvicinando troppo pericolosamente alla Chiesa Cattolica: “Io non sono un cattolico. Io sono semplicemente un acceso papista”. Dietro la battuta c’è la complessità della vita che può essere vista come una lunga e difficile marcia di avvicinamento al Mistero, a Dio».
Molte le persone che sono entrate in rapporto con lui e si sono convertite, come Robbie Ross, Aubrey Beardsley, e – ha continuato lo scrittore – «addirittura quel John Gray che gli ispirò la figura di Dorian Gray che diventato cattolico entrò anche in Seminario a Roma e divenne un apprezzatissimo sacerdote in Scozia. Infine, anche il figlio minore di Wilde divenne cattolico». Wilde soleva ripetere: «Il cattolicesimo è la sola religione in cui valga la pena di morire» (R. Ellmann, “Oscar Wilde”, Rizzoli, Milano 1991, pag. 669).

Oscar_01Wilde è oggi celebrato sopratutto come “icona gay”, ma Gulisano ha spiegato che «non può essere definito tout court “gay”: aveva amato profondamente sua moglie, dalla quale aveva avuto due figli che aveva sempre amato teneramente e ai quali, da bambini, aveva dedicato alcune tra le più belle fiabe mai scritte, quali “Il Gigante egoista” o “Il Principe Felice”.

Il processo fu un guaio in cui finì per aver querelato per diffamazione il Marchese di Queensberry, padre del suo amico Bosie, che lo aveva accusato di “atteggiarsi a sodomita”. Al processo Wilde si trovò di fronte l’avvocato Carson, che odiava irlandesi e cattolici, e la sua condanna non fu soltanto il risultato dell’omofobia vittoriana».

Tuttavia ebbe contemporaneamente diverse relazioni omosessuali, ma verso l’epilogo della sua vita si pentì del suo comportamento.

Già nel celebre “De profundis”, una lunga lettera all’ex amante Alfred Douglas, scrisse: «Solo nel fango ci incontravamo», gli rinfacciò, e in una confessione autocritica: «ma soprattutto mi rimprovero per la completa depravazione etica a cui ti permisi di trascinarmi» (Ediz. Mondadori, 1988, pag. 17).

Oscar_03Tre settimane prima di morire, dichiarò ad un corrispondente del «Daily Chronicle»: «Buona parte della mia perversione morale è dovuta al fatto che mio padre non mi permise di diventare cattolico. L’aspetto artistico della Chiesa e la fragranza dei suoi insegnamenti mi avrebbero guarito dalle mie degenerazioni. Ho intenzione di esservi accolto al più presto» (R. Ellmann, “Oscar Wilde”, Rizzoli, Milano 1991, pag. 669).

Mentre si trovava in punto di morte, il suo amico Robert Ross condusse presso di lui il reverendo cattolico irlandese Cuthbert Dunne. Wilde rispose con un cenno di volerlo vicino a sé (era impossibilitato a parlare), il sacerdote gli domandò se desiderava convertirsi, e Wilde sollevò la mano. Quindi padre Dunne gli somministrò il battesimo condizionale, lo assolse dai suoi peccati e gli diede l’estrema unzione (R. Ellmann, “Oscar Wilde”, Rizzoli, Milano 1991, pag. 670).

Fonte: http://www.uccronline.it/

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Dio ha fatto un casting e mi ha scelta, non potevo dire di no

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 24/06/2014

Guardate bene questa foto.

Olalla_02

Direste mai che la bella testimonial a sinistra dallo sguardo intenso e ammiccante e la suora dal sorriso luminoso che si vede a destra siano la stessa persona?

E’ Olalla Oliveros, modella e attrice spagnola che è passata con gioia dalle passerelle al convento.

Book fotografici, sfilate, film, spettacoli teatrali e spot di successo non riempivano la sua vita… C’era sempre qualcosa che mancava.

Essere riconosciuta e confermata nel suo talento dai fans era appagante, ma stando da sola davanti a Dio, soprattutto dopo un viaggio a Fatima, non poteva mentire né scappare

Al ritorno dal famoso santuario portoghese non ha potuto più far finta di ascoltare quella pace e quella forza che sentiva e che veniva da Dio,

E così, come lei stess afferma: Dio ha fatto un casting e mi ha scelta. Non potevo dire di no.

Olalla_03

Vivevo in un mondo in cui stavo costruendo quello che gli altri si aspettavano da me.

Mi chiedevo come fosse possibile che, facendo quello che tutto il mondo aspira a fare, non fossi felice

Maria che succede? Perché qui sono felice? Perché qui dove nessuno ti dice quanto sei bella e affascinante sono felice?

Olalla_04Tornata da Fatima mi chiedevo: ma perché sono così felice?

Mi confessai, andai a Messa e non potevo fare altro che arrendermi perché era così tanta la gioia… L’unica cosa che capivo era che ero felice che Gesù mi chiedesse questo (la consacrazione).

Olalla_05Non mi era mai passato per la testa di diventare suora, io volevo essere un’attrice, avevo già una carriera, era tutto perfetto; in un film non mi avrebbero mai preso per un ruolo di suora perché mi prendevano per ruoli più frivoli, vanitosi…

Però Colui che sta lì (nel Tabernacolo) e che parla, che parla qui (nel cuore), e l’anima si libera, e questa gioia, questa felicità non la dà nessuno.

Il mio consiglio è consegnare il cuore a Lui e lasciare la porta aperta…

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