FERMENTI CATTOLICI VIVI

"Andate controcorrente. Di quanti messaggi, soprattutto attraverso i mass media, voi siete destinatari! Siate vigilanti! Siate critici!" Benedetto XVI

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Posts Tagged ‘dipendenza da Smartphone’

Osiamo chiedere a Dio di rivelarci chi siamo

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 01/01/2020

In questo periodo stiamo vivendo una rinnovata consapevolezza della necessità di curare di più l’ambiente in cui viviamo. 

Stiamo attenti a non inquinare, ad acquistare in maniera consapevole, a far bene la differenziata e a smettere di usare la plastica. È giusto, doveroso direi, per fare la nostra parte e cercare di mantenere il pianeta più pulito e bello possibile. 

man-using-phone_8096b29c-a734-11e9-bdb2-acd0277ecbefMa abbiamo la stessa attenzione per l’inquinamento acustico che ogni giorno intasa le nostre orecchie e per l’overdose di immagini che tengono il nostro sguardo perennemente rapito da uno schermo da cinque pollici?

Dobbiamo essere costantemente intrattenuti e distratti da qualcosa. Dalla tv perennemente accesa, da musica, radio, cuffie tre alle orecchie mentre magari controlliamo le notifiche di Whatsapp, Instagram, Facebook, Twitter, e gli status e… E se Dio parlasse nel silenzio?

Dio, che ci ha pensati per primo, che ci ha amati prima ancora di tesserci nel grembo di nostra madre, è l’unico che conosce la verità di noi stessi, e il senso vero della nostra vita. Ed è l’unico che possa comunicarcela nel silenzio della preghiera e della meditazione. 

Le poche volte che sono riuscito a far tacere le distrazioni e a mettermi in silenzio alla presenza di Dio, ho sperimentato questa meravigliosa realtà. 

Anche il profeta Elia fece questa esperienza.

untitled“Gli fu detto: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore». Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: «Che fai qui, Elia?».” (1 Re 19,11-13)

Pensate a quanto ci perdiamo per colpa di questi aggeggi che ci fanno vivere perennemente distratti, perennemente intrattenuti a fare aria fritta che percepiamo come urgente e improcrastinabile. Ma lo è davvero?

Chi sta dietro tutto ciò ha l’unico interesse di guadagnare con la pubblicità che ci arriva – mirata in base a come usiamo le app – e che non aspetta altro che un nostro click o uno sguardo distratto di due o tre secondi. Ma il danno vero è proprio quello di non permetterci di pensare e di curare quell’unica dimensione in cui possiamo davvero trovare noi stessi, il silenzio. 

50962-will-van-wingerden-man-unsplash.1200w.tnDio sussurra in un mormorio di vento leggero. Dio ha oggi, per me, per te che leggi, un messaggio che può arrivare dritto al cuore, dare alla tua giornata quel senso che cerchiamo invano sui social. 

Dio, oggi, può sussurrarci la verità su noi stessi e se ci mettiamo alla sua presenza in silenzio, vero silenzio, con cellulare e tv spenti, (si, proprio spenti) può vincere quell’angoscia che sembra non andarsene mai, quella solitudine che non sarà mai riempita da una storia di Instagram o da uno status di Whatsapp. 

Oggi è il primo giorno dell’anno, molti di noi avranno fatto i soliti buoni propositi che verranno disattesi subito dopo l’Epifania. Se proprio dobbiamo farne uno, osiamo spegnere le moderne distrazioni di massa, osiamo prenderci dei minuti di silenzio (magari che ne so… nella trasgressiva location di una chiesa…) e chiediamo a Dio di rivelarci veramente chi siamo. 

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Un esercito di automi con la testa bassa e il cuore diviso

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 28/06/2019

Salgo in macchina, mi infilo nel solito guazzabuglio di mezzi che intoppano ogni giorno la mia città tanto bella quanto trascurata, continuo coi riti automobilistici mattutini; il solito tragitto, la mano destra impegnata col cambio, col Rosario che scorre tra le dita, il solito stop sistematicamente ignorato che mi spinge a fermarmi pur avendo il diritto di precedenza, il solito insulto non detto, domato (non soffocato) dal fluire delle Avemarie che mi accompagna quasi fino al lavoro, la corona riposta nel cassettino, il semaforo davanti al negozio di abbigliamento e la mano parte automaticamente alla ricerca del cellulare che… non c’è!

Cerco nell’altra tasca, nel taschino, nelle tasche interne della giacca, persino in quelle dei pantaloni sapendo benissimo di non trovarlo perché la mia ipocondria mi spinge a tenerlo sempre a qualche centimetro dal corpo. In maniera del tutto irrazionale ripeto la ricerca nelle tasche, piene di tutto tranne che del mio cellulare.

“E adesso?”, mi chiedo, con un sussulto di preoccupazione e di ansia che comincia a scemare non appena salta fuori da qualche cassettino della mia memoria, rimasto chiuso per troppo tempo, il numero di telefono del fisso di casa.

Comincio a organizzare le idee: “Dunque, chiamo casa e poi mia figlia che è al mare e…”, scopro di non sapere a memoria il suo numero. “Ok”, penso, “lo chiederò a mia moglie non appena arriverò in ufficio”.

Nel frattempo entro nel solito bar ordinando il solito latte macchiato senza lattosio. Non potendo soddisfare il riflesso incondizionato di ‘spippolare’ lo smartphone, mi scopro in atteggiamenti a cui mi sto sempre più disabituando come, guardarmi intorno, chiacchierare del più e del meno col barista, pianificare la giornata, la settimana facendo a meno dell’inseparabile app “Pro Memoria”, oppure ascoltare due giovani signore sedute al tavolino alle mie spalle, che si raccontano le loro cose. “Aò, so annata dar dermatologo pe’ sta cosa”, si lamenta una delle due mostrando all’amica il polpaccio grassottello, “e dice che ch’ho ‘na “terenestasia” [forse intendeva una teleangectasia], ma pe’ mme manco esiste, l’ho cercata su Google e nun ce sta!”.

E certo, perché se una cosa non sta su Internet non esiste, se una persona non sta su di un social non esiste, se non aggiorni il tuo status di Whatsapp sei fuori…, e all’improvviso mi sento pervadere da un piacevole e discreto senso di liberazione. Realizzo pian pianino che senza il cellulare posso comunque restare in contatto con le persone che amo, posso programmare di contattare in un secondo momento tutte le altre a cui tengo, e posso tornare a fare cose che tendo a non fare più: guardarmi attorno, ascoltare, parlare, riflettere, progettare, il tutto con un maggiore contatto con me stesso e con l’ambiente che mi circonda “hic et nunc”.

Se oggi ho potuto riappropriarmi di queste dimensioni (con beneficio anche dell’umore), significa che col cellulare sempre in tasca, queste vengono sistematicamente mortificate, quotidianamente soffocate con l’esigenza indotta di essere qui, ma tutto sommato sempre da un’altra parte, divisi tra il “qui” di cui non riusciamo più a godere, e “l’altrove” che urge con le sue notifiche che ci sembrano prioritarie ma che, alla fine, danno solo l’illusione di un mondo che non c’è o che è come ce lo rappresentiamo.

Siamo diventati un esercito di automi con la testa bassa e il cuore diviso tra il “qui” con cui stiamo disimparando a interagire, e un “altrove” fatto di aria fritta che ci appare tanto urgente ma di cui possiamo fare a meno.

Non posso non ricordare, a tal fine, le catechesi che ascoltavo da un caro sacerdote brasiliano che, parlando di vita consacrata, la definiva – citando san Giovanni Paolo II – come una continua tensione a vivere con un cuore indiviso.

Sicuramente non siamo chiamati tutti a una vita di speciale consacrazione ma col Battesimo, che ci riveste di Cristo (cfr. CCC 1243) siamo tutti chiamati a metterlo al centro della nostra vita. E come fare se qualcosa, o qualcuno, ci distoglie quotidianamente dal qui ed ora? E se questo meccanismo che ci tiene con la testa bassa su queste tavolette incantate fosse volto proprio a privarci della possibilità di fare un capolavoro delle nostre vite?

Diceva madre Teresa di Calcutta: “Ieri è passato, domani non so se arriverà, ho solo l’oggi per fare il bene.” Ma se l’oggi lo trascorriamo sempre altrove?

Perché non dimenticare il cellulare a casa ogni tanto correndo il rischio di vivere per davvero?

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«Stiamo riprogrammando il cervello delle persone…»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 18/03/2019

Ieri ho ricevuto un video da una cara amica che spesso collabora col blog, video che non riesco a smettere di guardare tanto è vitale oggi l’argomento che affronta.

Il video è questo, prima guardatelo.

L’autore afferma che i social fanno «leva sulle emozioni di base: la paura, l’eccitamento sessale, la noia, e questo ti rende incapace di star fermo a pensare per esempio.»

A un certo punto mi si è accesa come una lampadina e ho pensato, al netto di ciò che dicono i detrattori della Chiesa, che questa da secoli afferma e insegna a vivere esattamente il contrario di queste tendenze osservate dall’autore del video.

Nella Bibbia ricorre per be 366 volte l’espressione – NON ABBIATE PAURA – e Gesù risorto che appare a porte chiuse agli apostoli rintanati nel cenacolo per paura, dice (mentre alita su di loro lo Spirito Santo): “Non abbiate Paura!”.

E il sesso? Quello che propone la Chiesa non è la sua negazione ma un rapporto dignitoso, armonioso, bello col proprio corpo e quello degli altri. Se solo lo vivessimo davvero saremmo tutti più felici.

E la preghiera? Quando è fatta nello Spirito e in maniera profonda, non è quella meraviglia che ci permette di stare davvero in contatto con noi stessi e con Dio? E allora sparisce la noia.

Vuoi vedere che quello che insegna la Chiesa Cattolica da più di duemila anni è proprio tutto vero, e che lo dimostra l’infelicità degli eredi ddi chi anni fa cominciò l’abbandono di massa che continua ancora oggi?

«È come se tutti avessimo il deficit dell’attenzione. – Continua l’autore del video –  Stiamo riprogrammando il cervello delle persone, in particolare dei ragazzini e delle ragazzine; è un fiume di stimoli costanti per cui se ti fermi a pensare sei finito.

I ragazzi che usano social media per più di due ore al giorno sono più infelici, più depressi, tentano di più il suicidio e si sentono più soli. Si sta perdendo completamente questa skill e i ragazzini e la ragazzine giovani non l’hanno mai sviluppata.»

Questo è il risultato di anni di liberazione e di illusione di libertà che ci offre l’era dei social?

E se il segreto della felicità fosse nella semplicità di una vita con meno rete e più Dio?

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Come uscire dall’incantesimo

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 05/05/2018

 

Oggi ho preso la metropolitana, per tre fermate, un breve tragitto, ma mi è bastato per capire due cose.

All’andata ero seduto su un sedile di una fila di quattro e avevo di fronte a me altre quattro persone. Un gruppetto di otto viaggiatori ed ero l’unico che non aveva uno smartphone tra le mani, l’unico.

Ero un alieno, anzi, un alieno tra gli alieni visto che non leggevo un libro ma ero così “sovversivo” da sgranare un Rosario.

Qualunque cosa facessero quei passeggeri, era probabilmente buona, ma in un attimo mi sono sembrati tutti, come se fossero vittime di un incantesimo che dà l’illusione di una libertà fittizia, incantesimo in cui sono preso anch’io, ma in quelle tre fermate, avevo deciso di starne fuori.

Nel tragitto di ritorno la scena era simile, solo che appena entrato nel vagone, tra tanti passeggeri, tutti da un’altra parte grazie al immancabile smartphone, uno ha attirato la mia attenzione.

Un uomo tra i 45 e i 50 anni, con un caschetto brizzolato, vestito casual, dignitoso, suonava benissimo e cantava ancora meglio canzoni di De Gregori, Bennato, Venditti.

Di musica me ne intendo quantomeno per capire se un musicista è bravo e questo manifestava talento, curato con una certa tecnica, risultando gradevole e simpatico. Non chiedeva nulla ma ogni tanto qualcuno usciva dal torpore dell’incantesimo che ci tiene incollati ai nostri “device” per premiare i due minuti di gioia donata facendo cadere una moneta nel fodero rigido della bella chitarra acustica dell’artista.

La massa continuava indifferente (o fingeva di esserlo perché era davvero bravo); ma vedere che almeno tre o quattro persone avevano messo lo smartphone in tasca mi ha fatto capire due cose.

Condividere sul serio, soluzione alla solitudine di questi tempi.

La prima. Siamo tutti vittime di un incantesimo che, illudendoci di essere liberi permettendoci comunicazioni un tempo impensabili, alla fine ci rende dipendenti da una tavoletta che ha il potere di alienarci dall’ambiente circostante (che senza di noi peggiora, si svuota di noi) e gli uni dagli altri (che solitudine…).

La seconda. Se ne esce condividendo, come ha fatto oggi il musicista col caschetto brizzolato. Lo osservavo e, senza cellulare, facendo ciò che amava in libertà, riceveva il giusto compenso per averlo condiviso, ed era decisamente la persona più libera in quel vagone, insieme a chi si era lasciato catturare dalle sue canzoni.

Quel cantante condivideva il suo talento. Faceva quello che oggi non facciamo più.

E se ogni tanto spegnessimo il cellulare per condividere sul serio quello che siamo e che abbiamo? Oppure – e azzardo l’«eresia» – per pregare?

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Chi ci “rimette al nostro posto”…

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 27/07/2017

Oggi ho capito che quello di cui abbiamo più bisogno in questi tempi è il silenzio, quel silenzio pieno, in cui imparare di nuovo a stare con noi stessi e a partire da lì, incontrare anche quel gentile Creatore che è solito non urlare.

Ho avuto chiara questa percezione oggi, osservando un’adolescente durante il mio lavoro in cui sono quotidianamente a contatto con turisti da tutto il mondo.

Una ragazza sui quindici anni, capelli mesciati, unghie lunghissime e laccate da leonessa, scollatura mozzafiato, atteggiamento apparentemente disinvolto, era alla febbrile ricerca del segnale col suo cellulare straniero e, ovviamente, non lo trovava.

Al mio – Sorry, we don’t have Wi-Fi – ha messo via il telefonino con un grugnito di rabbia, per cominciare a giocherellare in maniera compulsiva con un fidget spinner, quelle rotelle che vanno tanto di moda adesso, e mentre faceva ruotare il gadget dell’estate come se non aspettasse altro da ore, cercava con lo sguardo e cercava e cercava intorno a sé Dio-solo-sa-cosa, ma più che cercare, sembrava che scappasse da qualcosa.

Era forse un caso limite di una ragazza con problemi a gestire l’ansia dei momenti d’attesa, ma non stiamo un po’ diventando tutti come lei?

Non c’è una fila, una fermata del bus, una sala d’attesa, una pubblicità alla TV, addirittura un semaforo in cui non approfittiamo per controllare le notifiche di qualche cosa che percepiamo come urgente ma di cui possiamo tranquillamente fare a meno.

Per quanto mi riguarda mi sto accorgendo che nella misura in cui permetto a questo atteggiamento “controlla-notifiche” di avere voce tutto il giorno, mi scappano vie intere giornate in cui ho perso la feconda opportunità di parlare, di leggere e – perché no? – di pregare.

Oggi leggevo una riflessione del Cardinal Betori in cui affermava “(…)la salvezza non è la soppressione, bensì il ristabilimento della frontiera tra Dio e gli uomini. L’uomo redento è messo al suo vero posto“.

Quella ragazza inquieta non era forse un’anima che si sentiva fuori posto? Quando spippoliamo di continuo il nostro smartphone, non stiamo forse cercando qualcosa che ci distragga dal disagio di non sentirci al nostro posto?

Dio ci rimette al nostro posto, ma non come farebbero gli uomini, Dio lo fa nella verità e nell’amore.

Pregare, per me, è stare alla presenza di Dio, quel Dio che ci rimette al nostro posto nel senso migliore del termine: Lui il Creatore, io la creatura, Lui che ama per primo, io che devo solo lasciarmi amare, solo Lui che avendomi pensato sin dall’eternità, è l’Unico che possa dirmi realmente chi sono.

L’ansia passa e non abbiamo più bisogno di cercarci “fidget spinner” con cui intrattenerci o sfogarci perché inadeguati o fuori posto.

(Una riflessione personale estiva)

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Caffè amaro

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 28/04/2017

Ho finalmente cominciato una dieta dimagrante che, tra le tante cose, mi impone di eliminare del tutto lo zucchero. Come fare coi tre, quattro caffè al giorno che prendo con la discutibile e insana abitudine di dolcificare ogni caffè con ben tre cucchiaini di zucchero?

Non riuscendo a berlo amaro, all’inizio ho provato ad eliminare il caffè, ma le botte di sonno violento che mi stendevano soprattutto dopo pranzo imponevano un ripristino della preziosa bevanda.

Mi sono imposto di berlo amaro. I primi giorni era un supplizio, sentivo solo l’amaro e continuava a non piacermi per niente.

Col tempo ho cominciato a sentire gli aromi e gli odori se lo pasteggiavo lentamente, riconoscendo che in alcuni bar il caffè fosse veramente buono, in altri così così, in altri ancora riconoscevo quello cha a Roma definiamo col termine intraducibile di “ciofèca”. Prima mi sembravano tutti più o meno uguali.

Adesso, tra i caffè buoni riconosco le sfumature che prima non coglievo perché lo zucchero dolcificava sì, ma copriva tutta quella gamma di sapori che ho scoperto solo eliminandolo.

Non posso fare a meno di pensare che nella vita spirituale sia lo stesso. Ci nutriamo di tante cose che non ci servono più di tanto e ci fanno anche male e abbiamo disimparato a gustarci i sapori delle cose dello spirito come la preghiera, la meditazione della parola di Dio, del tempo passato davanti al Santissimo Sacramento, e così tante altre realtà che nemmeno immaginiamo…

Tutte queste cose ci sembrano impegnative solo perché siamo abituati a lasciarci nutrire da altre che ne coprono il sapore.

Possono essere tante queste cose buone come lo zucchero che però coprono un’infinita gamma di sapori spirituali: ore perse davanti alla TV a guardare tutto e niente, o a scorrere e scorrere col pollice sul cellulare riempiendo attese, momenti morti e di riposo con Facebook, Twitter, Instagram, Whatsapp e…

Ognuno sa qual è il suo “zucchero”.

Ogni uomo si ritrova periodicamente a fare i conti con questi zuccherini che intrattengono e rilassano ma disabituano al meglio.

Ci proviamo a ridimensionarli correndo il rischio di assaporare meglio le infinite sfumature di fragranti “caffè” che il Cielo ha già preparato per noi?

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“…E la gente (importante) a volte viene trasformata in lucine di Natale a intermittenza”

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 23/12/2016

natale_01

Basterebbe fermarsi un attimo per comprendere quante lacune spesso tra noi e chi amiamo. È sempre tutto di corsa… è sempre una corsa, studio, lavoro, casa, commissioni.

I ritmi decisamente frenetici, il tempo che manca, attenzioni che spesso “doniamo” a gente sconosciuta perché tanto, chi ci ama c’è sempre e può aspettare.

Tutte queste corse, a volte tutta questa “poca attenzione” ha contribuito ad un lento e impercettibile abbandono dei rapporti umani fra le persone, e chi ci rimette sono spesso le persone a noi care. Esiste un bisogno naturale di ricevere attenzioni, attraverso uno sguardo complice, un abbraccio, un bacio o una semplice carezza o una telefonata.

La vita è una, e replay non ne ha…, e a volte è troppo tardi. Ma siamo sicuri che ne valga davvero la pena?

natale_02Tutto questo è giusto? Io sinceramente dico NO!! Siamo “intrappolati” dentro uno schermo. Uno schermo che brucia gli occhi e atrofizza il cuore… Ci stiamo mettendo in croce da soli. Assediati da tutto quello che non è Amore. Brutta storia.

Per questo Natale, dedichiamo PRESENZE reali e non virtuali, dedichiamo più tempo alle persone che amiamo, dedichiamo più tempo a noi stessi. Ovviamente non solo a Natale.

Evitiamo messaggi copia incolla, dove si selezionano sulla rubrica telefonica i nomi e invece di metterci il cuore, clicchiamo solo invia tutti. siete distanti?

TELEFONATE se avete voglia di vera condivisione.

Definiamo “Amico” chi non abbiamo mai visto in faccia, dispensiamo “tvb” senza emozione. Ormai, possiamo capire l’importanza di chi abbiamo davanti, dalla durata della batteria del cellulare. Se stai bene, resta quasi intatta, altrimenti…

Evitiamo il TAG di MASSA virtuale per sentirci tranquilli e sereni (che poi, ammettiamolo, è veramente fastidioso).

natale_03Chiudiamo gli occhi e pensiamo al tempo. Già … IL TEMPO! Dobbiamo in tutti i modi cercare di trasformare il nostro tempo da “limite” in vera risorsa. Dedicare del tempo a loro significa anche dedicare del tempo a noi stessi.

Fëdor Dostoevskij ha dato una definizione dell’essere umano tanto triste quanto vera : “Un essere che si abitua a tutto. Ecco, credo, la migliore definizione dell’uomo”

Ci “accomodiamo” con chi amiamo ci “accomodiamo” con la fede; il processo è molto simile, tutto diviene banale e scontato. Ma la prima vera missione è questa, quella “ordinaria”.

No, tutto deve essere sempre vissuto con vero entusiasmo. Amore e fede, linfa vitale per la nostra anima!

“Percorriamo soltanto una volta la strada della vita e tutto quello che possiamo fare di bello e di vero non può essere rimandato perché da queste parti non passeremo mai più.

natale_04Abbiamo una vita sola. Nessuno ci offre una seconda occasione. Se ci si lascia sfuggire qualcosa tra le dita, è perduta per sempre. E poi si passa il resto della vita a cercare di ritrovarla…infelici! E la gente (importante) a volte viene trasformata in lucine di natale ad intermittenza. Vogliamo bene, ma le consideriamo solo quando “noi” ne abbiamo voglia, errando! E con il rischio di FULMINARLE E PERDERLE!

Dove c’è Amore, Dio si rallegra, Dio soffia sui cuori che si amano, realmente e non virtualmente.

Fermiamoci e facciamo con CORAGGIO una vera escursione nella nostra anima (eh no, lì non si possono fare fotografie da mostrare in rete e non esistono i mi piace) e forse capiremo davvero le cose “essenziali” che stiamo smarrendo.

Buon Natale!

(Fonte: http://www.cavalieridellaluce.net/sud/2015/12/22/uno-schermo-che-brucia-gli-occhi-e-atrofizza-il-cuore/)

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