Nel maggio-giugno 1844 si trovava ricoverata all’ospedale di S. Giovanni una povera donna tisica all’ultimo stadio. La sua vita era stata deplorevole, e si temeva che finisse con una morte disperata.
Invischiata in mille tresche, da molto tempo non si era più accostata ai Sacramenti, e dava in alte smanie quando il cappellano o le suore l’invitavano a confessarsi. Anche don Giuseppe Cafasso era stato respinto, e questi pregò don Bosco di interessarsene lui.
Egli accorre; si mette a parlare di cose indifferenti, e infine le fa questa dichiarazione:
– A nome di Dio, vi dico che, nella sua misericordia, Egli vi concede ancora poche ore di vita perché possiate pensare all’anima vostra. Fate presto a confessarvi e ricevere gli altri sacramenti. Domani sarete all’eternità.
Queste parole riempirono di tanto terrore l’anima di quella infelice, che, richiamato il Santo, si confessò in quella stessa sera, morì rassegnata e convertita.
Erano passati pochi giorni dal fatto suddetto, quando una ricca signora, moglie dell’ambasciatore del Portogallo in Torino, dovendo mettersi in viaggio, pensò di sistemare prima le cose dell’anima sua, e si recò a tal fine nella chiesa di S. Francesco d’Assisi, dove don Bosco era vicecurato.
Ella non conosceva il Santo, e neppure don Bosco si era mai incontrato con lei. Veduto un prete che, inginocchiato presso un confessionale, pregava con aria molto raccolta, si presentò a confessarsi da lui.
Don Bosco l’ascoltò, e le consigliò una certa elemosina da farsi in quello stesso giorno.
– Padre, non posso!
– E come non può, dal momento che possiede tante ricchezze?
La signora rimase sbalordita nel sentire come quel sacerdote avesse conosciuto la sua posizione sociale, mentre era certa di non essersi data in nessun modo a conoscere, e rispose: – Padre, non posso farla questa penitenza, perché sto per mettermi in viaggio.
– Ebbene, faccia quest’altra: preghi il suo Angelo Custode che la preservi da ogni male in ciò che le accadrà quest’oggi.
La signora restò ancora più colpita. Ritornata a casa, raccontò la cosa ai familiari; fece con loro la preghiera all’Angelo Custode, e salì in vettura con la figlia e con una cameriera.
Fatta poca strada, ecco che i cavalli si adombrano e si slanciano a corsa sfrenata. Il cocchiere è sbalzato di cassetta; la carrozza ribalta, e la signora si trova col capo a terra, mentre i cavalli continuano a precipizio.
In un attimo di lucidità, ella invoca ad alta voce il suo Angelo Custode, ed i cavalli s’arrestano nell’istante. Accorre gente a sollevare i caduti, e con meraviglia grande, trovano che nessuno s’era fatto il più piccolo male.
La nobile signora, ritornata a Torino, si recò nuovamente alla chiesa di S. Francesco d’Assisi; volle sapere chi era quel prete, lo volle ringraziare, e da quel momento divenne fervente cooperatrice salesiana.
(Fonte: http://www.preghiereagesuemaria.it/)
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