FERMENTI CATTOLICI VIVI

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Posts Tagged ‘Epidemia’

Quando don Bosco affrontò l’epidemia con preghiera, prudenza e carità

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 21/03/2021

Nel 1854 una nave salpata dall’India portò il colera in Inghilterra, scoppiò così una violenta epidemia. Da Londra il contagio arrivò a Parigi e Marsiglia. La leggerezza delle autorità sanitarie locali permise lo sbarco anche di navi che avevano a bordo uomini infetti. L’epidemia arrivò al sud della Francia e così anche in Italia (…).

A Torino l’allarme fu dato il 21 luglio: un manifesto del sindaco annunciava le precauzioni igieniche da prendere nelle case, nelle officine e nei negozi. La città creò dei “lazzaretti” per isolare i contaminati. (…)

Le autorità religiose diedero istruzioni per mobilitare il clero: misure profilattiche e igieniche, strutture per l’esercizio del ministero ai malati e ai moribondi, come anche la proibizione di lasciare la città. I cristiani furono incoraggiati a implorare l’aiuto della Vergine “Consolata” protettrice della città. Bisognava anche evitare qualsiasi raduno straordinario. Fu abolita la solenne processione del Corpus Domini.

Fin dal primo allarme, don Bosco aveva allestito il suo oratorio per affrontare il contagio. Fece fare dei lavori nei dormitori, dove erano ammassati un centinaio di giovani, per distanziare le file di letti. Si indebitò per aumentare la sua fornitura di biancheria, lenzuola e coperte. Si assicurò che tutti i locali fossero puliti e igienizzati.

Ma don Bosco credeva anche nell’efficacia dei mezzi soprannaturali: la preghiera a Maria e la conversione del cuore, evitando il peccato. A quel tempo la medicina non conosceva ancora le cause e i rimedi per quella piaga; bisognava contare soprattutto con Dio.

La città di Torino registrò più di duemila morti. L’area di Valdocco fu particolarmente colpita, con la popolazione decimata. (…) Don Bosco pensava di non aver fatto abbastanza garantendo la sicurezza della sua casa. Si appellò ai suoi ragazzi con l’approvazione delle autorità. Ci fu un primo gruppo di 14 volontari. Erano giovani: 17, 16, 14 anni. Provenivano da varie “compagnie”, i gruppi educativi creati da don Bosco coi giovani per animare l’oratorio. L’obiettivo era quello di “praticare la carità”. (…)

Quei giovani dimostravano una grande forza per sopportare il vomito, la dissenteria, gli odori, il soffocamento, i volti emaciati e pallidi, i corpi torturati. I pazienti terrorizzati dovevano essere convinti a lasciarsi condurre al lazzaretto, che percepivamo come anticamera della morte. Dopo pochi giorni, una trentina di giovani si unirono alla prima squadra di volontari. Tra essi c’era anche Domenico Savio, arrivato da poco nell’oratorio.

Per i loro pazienti, prendevano in prestito dall’oratorio biancheria, lenzuola e coperte. L’aneddoto di madre Margherita che dona la tovaglia dell’altare, resto del suo corredo di nozze, come lenzuolo non è certo una leggenda.

[Don Bosco] non dimenticava mai di chiedere prudenza e rispetto per le disposizioni dell’autorità.

Il colera scomparve nel 1884. Ancora una volta don Bosco sorprese tutti con la sua certezza che le opere salesiane sarebbero state salvate, a patto che avessero fiducia in Maria Ausiliatrice.

In agosto, rivolse le sue raccomandazioni a tutte le case salesiane in Europa e in America. Si potevano riassumere in tre punti: la preghiera, la prudenza e la carità. Alla fine dell’allarme, ebbe la soddisfazione di dichiarare che nessuna casa salesiana, nessun benefattore dei giovani, nessun fedele di Maria Ausiliatrice era stato colpito.

(Fonte: Il bollettino salesiano, rivista fondata da don Bosco nel 1877, anno CXLV, , 2 febbraio 2021)

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«Davanti a uno schermo tutto il giorno, in attesa di una parola…»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 04/04/2020

«Siamo uomini, abbiamo bisogno di una parola come il pane.SDove possiamo trovare parole di vita eterna che siano capaci di nutrire la nostra vita?

La quarantena ci ha già fatto cambiare tutte le nostre abitudini. E se decidessimo di prendere in mano il Vangelo e iniziare a leggerlo sul serio?

Basta una pagina al giorno…»

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Nel calice del Signore

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 08/03/2020

«Una mia cara amica, ora clarissa, mi diceva sempre di mettere nel calice del Signore tutte le persone che più avevano bisogno di Lui.

Chi di noi può andare ancora a Messa (nel rispetto delle regole) può farlo. 🙂

A distanza di un metro, in quarantena, isolati nelle zone rosse o nei reparti, nei letti di tutti o malati (non c’è solo il virus…), lì, nel calice del Signore, alle porte del Cielo che Lui spalanca con l’offerta di Sé, siamo tutti uniti, tutti insieme.

A Dio piacendo lo farò anch’io per voi.
Forza, la paura è umana, l’angoscia la provò anche Cristo, ma la disperazione no, mai può appartenere ad un figlio di Dio.

Comunque vada, c’è un lieto fine. 🙂
Buonanotte.»

(Dall’account Facebook dell’amico Pierluigi Cordova)

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E se ci stesse chiedendo di tirare fuori la parte migliore di noi?

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 29/02/2020

In questi giorni di emergenza per il Coronavirus non riesco a non guardarmi attorno e a osservare come, in situazioni come queste, ognuno reagisca col patrimonio interiore che si ritrova in dotazione.

C’è chi va nel panico e chi minimizza, atteggiamenti entrambi incoscienti che penso non portino a nulla di buono. Ma c’è anche chi cerca di vivere seguendo le disposizioni delle autorità e il buon senso. Molti si chiedono dove sia Dio in tutto ciò. Altri si chiedono perché Dio permetta questo.

Non ho risposte, a queste domande, ma ne sto trovando, giorno dopo giorno, a un’altra di domanda che da giorni mi urge dentro: cosa ci vuole dire Dio permettendo tutto questo? E se fosse questa l’unica domanda che ci porti a qualcosa di veramente sensato?

Vedo infatti tanta disperazione, lamentele, reazioni da ansia e stress, ma si cominciano a intravvedere anche lampi di quella umanità che sembrava essere un ricordo di altri tempi.

Parlo di medici e infermieri che si spendono con abnegazione non comune in turni massacranti esponendosi al rischio del contagio.

O della solidarietà nel mio posto di lavoro – quel turismo che ora è in ginocchio – tra categorie che prima si consideravano concorrenti e adesso collaborano in maniera solidale, umana.

E allora, sebbene continui a non sapere il perché Dio permetta tutto questo (ma poi saperlo farebbe qualche differenza?), mi chiedo se non ci stia chiedendo di tirare fuori la parte migliore di noi.

Stiamo vivendo una circostanza in cui possiamo esprimere il peggio o il meglio di noi, senza mezze misure. Sta a noi decidere cosa fare.

Sta a noi decidere anche cosa chiederci. Ho fatto queste riflessioni leggendo questo post del blog di una cara amica. “Diciamo sempre ascoltaci Signore e mai fa’ che ti ascoltiamo”, scrive l’autrice citando l’esegeta Silvano Fausti.

E conclude dicendo: «A noi spetta mettere i piedi nelle impronte delle Due Persone della Trinità. “Signore fa’ che io Ti ascolti.”»

Non è facile, ma sono convinto che ponendoci le domande giuste possiamo metterci davvero in ascolto di Colui che ci può guidare in questi giorni difficili e mettere davvero i nostri piedi nelle impronte di Dio, vivendo nella pace anche nelle conseguenze del Coronavirus.

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«Coraggio. Se l’economia deve girare, a maggior ragione deve girare la fede.»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 23/02/2020

Ci sta qualche misura di sicurezza, via il segno della pace, via l’acquasantiera. Va benissimo. Sono comunque “orpelli”. Ma sospendere la Messa per una minaccia che per ora non è oggettivamente gravissima, è un oscuro segno dei tempi.
Tenendo conto peraltro che in alcune aree del mondo andare a Messa significa rischiare ogni volta di essere uccisi, oppure percorrere chilometri a piedi con ogni condizione meteorologica.
Citando Sant’Agostino, un angelo conta tutti passi che queste persone mettono l’uno dopo l’altro per andare in chiesa. E qui da noi, mentre le chiese vengono chiuse per paura, I CENTRI COMMERCIALI RESTANO APERTI.
Allora, se neanche noi cristiani crediamo che la Messa sia importante ALMENO (sic!) quanto l’economia che «deve girare» (comandamento del capitalismo terminale), allora cosa resta della nostra fede?
Fosse la peste, non scriverei questo post. Ma la Messa non fu sospesa neppure durante l’epidemia di colera nella Torino di don Bosco.
Se i cristiani, appena un po’ più degli altri non mostrano meno ansia davanti alla morte, non sono forse il sale che ha perduto il suo sapore?
Coraggio. Se l’economia deve girare, a maggior ragione deve girare la fede. Con le giuste precauzioni, certo, ma senza panico.
«Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla Terra?».
N.B. L’aumento delle distribuzioni della Comunione sulla mano (che è un indulto e non un’alternativa, come pochi sanno) aumenta il rischio di profanazioni e furti, perciò VIGILARE.
(Dall’account Facebook dell’amico Pierluigi Cordova, col suo gentile permesso)
La mia esperienza personale nella malattia mi ha insegnato che il miglior atteggiamento da tenere in casi come questi che stiamo vivendo in questo periodo, sia quello proposto dalla Sacra Scrittura. Dove potremmo trovare luce migliore se non lì?
«Figlio, non avvilirti nella malattia,
ma prega il Signore ed egli ti guarirà.

Purìficati, lavati le mani;
monda il cuore da ogni peccato.

Offri incenso e un memoriale di fior di farina
e sacrifici pingui secondo le tue possibilità.

Fà poi passare il medico
– il Signore ha creato anche lui –
non stia lontano da te, poiché ne hai bisogno.

Ci sono casi in cui il successo è nelle loro mani.»

(Sir 38)
La traduzione letterale ebraica dell’ultimo versetto suona più o meno così: “Pecca di fronte al Creatore chi fa il forte davanti al medico.”
La Parola di Dio, che compone scienza e fede, natura e grazia, ci insegna a rispettare e a seguire il medico e la preghiera, affidandoci a lui per quando umanamente possibile e a Dio per quello che non lo è.
Chiediamo a Dio di vincere tutte le nostre paure e gli eventuali comportamenti che da queste potrebbero scaturire, e – perché no? – dopo aver usato serenamente tutte le giuste precauzioni, di proteggerci dal contagio.

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