“Atto di fede”, una canzone di Luciano Ligabue, termina dicendo:
<<Vivere è un atto di fede nello sbattimento.
Questo è il mio atto di fede, questo è un giuramento.>>
Questo è il mio “atto di fede”, la mia famiglia. E’ il mio “giuramento”, il mio impegno, la mia scommessa; anche se spesso è, come dice Ligabue, uno “sbattimento”.
Mi chiamo Daniele, ho diciannove anni e sono il primo di cinque fratelli. Anzi, forse sarebbe più corretto dire che sono stato il fratello maggiore di quindici fratelli.
Perché la mia, oltre ad essere una famiglia numerosa, è anche una famiglia affidataria. Da anni ormai ci prendiamo cura anche di bambini, nella maggior parte dei casi sotto l’anno di età, che non hanno a disposizione una famiglia stabile su cui contare e ci vengono appunto “affidati” temporaneamente.
Diciamo che studio filosofia, gioco a rugby, e nel tempo libero vengo noleggiato come fratello maggiore.
E’ normale che già a questo punto di un racconto che ho già fatto mille volte le persone comincino a darsi pizzicotti o piccoli schiaffi in faccia per assicurarsi che non siano nel bel mezzo di un sogno… Se succede anche a voi non preoccupatevi, è normale.
Ma come ben sapete, i supereroi esistono solo nei film, e la mia famiglia non è certamente quella del “Mulino Bianco”, mia madre non si sveglia truccata e in camicia e mio padre non è proprio di buon umore mentre a colazione mangia le fette biscottate, perché in genere ha dormito un paio di ore grazie al piccolo di turno che lo mantiene in splendida forma durante tutta la notte, ma nonostante tutto mi pare di notare che sismo tutti felici. Stanchi ma felici.
Per questo ritengo che la mia famiglia sia un “atto di fede”, perché mi sto fidando delle scelte dei miei genitori, proprio come noi cattolici ci fidiamo del progetto che Dio pone su di noi. E sappiamo bene che Dio ci chiede di passare per la “porta stretta”, e così hanno scelto di fare i miei genitori: mi chiedono di passare per la porta stretta.
Non è facile, per niente. Non faccio poesia sulla mia vita, e nemmeno ho intenzione di fare quel finto buonismo che spesso mi fa innervosire. Sono sincero quando dico che adoro la mia vita così com’è tanto quanto lo sono nel dire che è una bella salita.
A diciannove anni penso di aver cambiato dieci volte il numero di pannolini che in media ha cambiato un italiano medio a quarant’anni, e a differenza del 90% dei miei coetanei so cucinare discretamente, so fare la lavatrice e me la cavo modestamente come casalingo.
Sono tutte cose utilissime e che sicuramente fanno parte di un bagaglio fondamentale che da adulto potrò aprire facendone grande tesoro, ma non è che siano proprio cose divertenti. Questo è il mio atto di fede nello “sbattimento”. E’ una scommessa che ho accettato.
Ecco, il mio rapporto personale con Dio, estremamente dialogico, è alla base dell’accettazione nei confronti del progetto di vita che i miei genitori hanno scelto per me e peri miei fratelli. Mi dà le risposte che mi servono per aprire gli occhi di fronte alla “particolarità” di questa mia avventura.
Spesso capita qualche litigio con i miei genitori… Quante volte si sono sentiti dire “queste cose i ragazzi della mia età non le faranno mai neanche a trent’anni”, “sono scelte che mi state imponendo”, “date sempre per scontato che debba accettare i vostri progetti”.
Ma sono “accuse” che pongo loro da ragazzo impulsivo, spesso probabilmente accecato da un pomeriggio di cattivo umore, o da qualche fratello che in giornata non si è reso simpatico. Ma capita a tutti, si sa.
Certamente non pretendo di comprendere tutto quello che mi chiedono di fare, come d’altronde è impossibile comprendere sempre la strada che il Signore ci indica; siamo esseri umani, e pertanto, con molte debolezze.
Quasi tutti i giorni mi ripeto “ma chi me lo ha fatto fare?!”. Me lo chiedo quando un bambino che abbiamo in affido finalmente trova una famiglia tutta per sé, ma solo chi lo ha provato sa quanto è doloroso distaccarsi; me lo chiedo quando entro in casa dopo l’allenamento e sento bambini urlanti che non mi permettono proprio di rilassarmi; me lo chiedo quando a quasi vent’anni vorrei avere una camera da letto tutta per me e quando qualche volta non riesco a soddisfare qualche mio “capriccio economico”.
Ma tutto passa in fretta quando vedi crescere quei piccoli bimbi che per qualche tempo sono stati tuoi fratelli, quando la tua sorellina più piccola ti dice che sei il suo fratello preferito, e quando con i sacrifici che fai scopri di essere sempre più felice con sempre di meno. Quando sai innamorarti semplicemente delle piccole cose.
Credo in Dio come credo nella mia famiglia, una scommessa a lunga gittata, che si raccoglie col tempo. E quando mi metto sotto alle coperte alla sera sono felice, le risposte non mi mancano mai; perché sento di costruire la mia vita su delle certezze: Dio, la mia famiglia e un pizzico di sano sacrificio.
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