FERMENTI CATTOLICI VIVI

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Posts Tagged ‘Irak’

«No, voglio solo pregare. E mi diedero un minuto per farlo.»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 08/09/2017

Abuna Nirwan è un sacerdote francescano originario dell’Irak. Prima di essere ordinato aveva studiato medicina.

Era in Terra Santa quando il Santo padre approvava il miracolo per la beatificazione della Madre María Alphonsin Ghattas. Si doveva riesumare il corpo della suora, compito del Vescovo locale che di solito affida il compito a dei medici; in quel caso venne designato Abuna Nirwan che si occupò della riesumazione e della redazione di un rapporto medico.

Le religiose donarono a Padre Nirwan una reliquia della santa e un rosario che aveva usato, e il religioso le teneva sempre con sé.

La storia che stiamo raccontando accadde il 14 luglio 2007 quando padre Abuna era in Irak per visitare la famiglia.

Aveva concordato con un tassista il passaggio della frontiera con la Siria, così come da lui stesso raccontato durante l’omelia di una Messa celebrata a Bet Yalla:

«Non potevo andare dalla mia famiglia in aereo, era vietato, l’unico mezzo possibile era l’automobile. Avevo pianificato di arrivare a Bagdad e da lì andare a Mossul dove vivono i miei genitori.

L’autista era spaventato per la situazione che c’era in Irak.

Una famiglia con padre, madre e una bambina chiese se poteva condividere il taxi con noi, erano musulmani, l’autista cristiano, accettammo di ospitarli nel taxi.

Ci fermammo in una stazione di servizio dove un uomo giovane ci chiese di salire fino a Mossul e venne accettato.

La frontiera tra Giordania e Irak non viene aperta se non all’alba, al sorgere del sole la barriera venne aperta e circa cinquanta, sessanta automobili in fila cominciarono ad avanzare lentamente tutte insieme.

Dopo circa un’ora arrivammo a un posto di blocco, preparammo i passaporti, ci fermammo e il tassista ci disse: “Ho paura di questo gruppo”. In passato era un check-point militare ma un’organizzazione islamica aveva ucciso tutti i soldati prendendo il controllo del luogo.

Appena arrivati ci chiesero i passaporti facendoci uscire dall’auto e portando tutti i documenti in un ufficio.

Una persona tornò rivolgendosi a me dicendo: “Padre, continuiamo con l’ispezione, si diriga verso l’ufficio in quella direzione.” Ma in quella direzione era deserto. Mi dissi – Bene, se dobbiamo andare andiamo. Camminammo un quarto d’ora per arrivare a una cabina da loro indicata.

Appena arrivati uscirono due uomini col volto coperto; uno aveva una telecamera in una mano e un coltello nell’altra, l’altro con una lunga barba teneva un Corano. Si avvicinarono e uno di essi mi domandò: “Da dove viene padre? Mi dicono dalla Giordania.” – Poi lo domandò all’autista, in seguito al ragazzo che viaggiava con noi che venne afferrato da dietro e ucciso col coltello.

Mi legarono le mani alle spalle e mi dissero: “Padre, stiamo registrando questo per Al Jazeera, vuole dire alcune parole? Per favore non più di un minuto.” – “E io dissi: no, voglio solo pregare”, e mi diedero un minuto per farlo.

Mi spinsero quindi per le spalle finché non fui costretto a inginocchiarmi, e uno di loro mi disse: “Sei un chierico, non è possibile che il tuo sangue cada in terra, sarebbe un sacrilegio.” – Prese quindi un secchio e torno per decapitarmi.

Non so cosa pregai in quel momento. Provai molta paura, e lo dissi alla Madre María Alphonsin Ghattasnon può essere un caso se ti porto con me. Se è necessario che il Signore mi prenda giovane sono pronto, ma chiedo che non muoia nessun altro.

L’uomo col coltello afferrò la mia testa con le mani, mi strinse la spalla e sollevò il coltello.

Ci furono alcuni momenti di silenzio e all’improvviso disse: “Ma tu chi sei?” – risposi – “Un frate” – Replicò “E perché non riesco ad abbassare il coltello?”. Senza farmi nemmeno rispondere mi disse: “Tu e tutti gli altri, tornate subito in macchina!”, e noi fuggimmo dove avevamo lasciato l’auto.

Da quel momento ho smesso di aver paura della morte. So che un giorno morirò ma adesso ho chiaro che sarà nel momento in cui Dio vorrà. Da allora non ho più paura di niente e di nessuno. Ciò che mi accadrà sarà volontà di Dio, e sarà Lui a darmi la forza per accogliere la Croce. Dio si prende cura di coloro che credono in Lui.»

(Fonte: http://unsacerdoteentierrasanta.blogspot.it/2016/04/el-milagro-al-padre-nirwan.html?m=1)

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«Pregavo che sapesse che stavo bene» . James Foley, martire cristiano.

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 20/08/2014

Aleppo - 07/12Avete presente James Foley, il giornalista americano decapitato dagli jihadisti con tanto di testimonianza video?

Foley era stato catturato nel 2011 dalle forze filo governative libiche. Venne liberato dopo quarantacinique giorni. Scrisse in una lettera in cui queste espressioni molto lasciano intendere della fede che lo sosteneva.

Cattolico, pregava il Rosario. Un martire dei nostri tempi…

Nato in una famiglia cattolica di Boston, Foley raccontò:

«Io e i miei colleghi fummo catturati e detenuti in un centro militare di Tripoli (…) aumentava la preoccupazione per il fatto che le nostre mamme potessero essere in panico».

E anche se «non avevo pienamente ammesso a me stesso che mia mamma fosse a conoscenza di quello che mi era successo», Foley ripeteva a una collega che «mia mamma ha una grande fede» e che «pregavo che sapesse che stavo bene. Pregavo di riuscire a comunicare con lei».

JamesFoley_02Il giornalista raccontò di quando «cominciò a dire il rosario», perché «era come mia madre e mia nonna avrebbero pregato (…). Io e Clare (una collega, ndr) iniziammo a pregare ad alta voce. Mi sentivo rinfrancato nel confessare la mia debolezza e la mia speranza insieme e conversando con Dio, piuttosto che stare solo in silenzio».

I giornalisti poi furono trasferiti in un’altra prigione dove si trovavano i prigionieri politici, «da cui fui accolto e trattato bene».

Dopo 18 giorni accadde un fatto che Foley non si seppe spiegare, fu prelevato dalla cella dalle guardie e portato nell’ufficio del guardiano «dove un uomo distinto e ben vestito mi disse: “Abbiamo pensato che forse volevi chiamare la tua famiglia”.»

«JamesFoley_03Dissi una preghiera e composi il numero». La linea funzionava e la madre del giornalista rispose. «Mamma, mamma sono io, Jim», disse il ragazzo. «Sono ancora in Libia, mamma. Mi dispiace di questo. Perdonami».

La donna incredula rispose al figlio che non doveva dispiacersi e gli chiese come stava: «Le dissi che mi nutrivo, che avevo il letto migliore e che mi trattavano come un ospite».

Foley aggiunse: «Ho pregato perché sapessi che stavo bene. Hai percepito le mie preghiere?». La donna rispose: «Jimmy tante persone stanno pregando per te. Tutti i tuoi amici Donnie, Michael Joyce, Dan Hanrahan, Suree, Tom Durkin, Sarah Fang che ha chiamato. Tuo fratello Michael ti vuole molto bene».

Poi la guardia fece un cenno e il ragazzo dovette salutare la madre.

Continua a leggere su TEMPI.IT (di Benedetta frigerio)

R.I.P. James Foley

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«D’ora in poi reciterò ogni giorno il Padre nostro in aramaico-assiro, la vostra lingua, fino a quando non sarete ritornati a Mosul»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 03/08/2014

nun

Lettera “nun” ovvero N dell’alfabeto arabo, con cui vengono segnate la case dei cristiani in Irak…

Cardinale Philippe Barbarin, Arcivescovo di Lione

In pochi giorni abbiamo imparato a conoscere la ﻥ la lettera nun dell’alfabeto arabo che – impressa sui muri delle case dei cristiani di Mousl per indicare i «nazareni» – è diventato il simbolo della persecuzione contro i cristiani in Iraq. In molti hanno scelto in questi giorni questo simbolo per esprimere pubblicamente la propria vicinanza ai cristiani di Mosul: è diventata una specie di logo.

Dall’Iraq in queste ultime ore è giunta però anche la proposta di un altro gesto che prova a spingersi anccora un passo più avanti in questa vicinanza. A lanciarla è stato il cardinale arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin, che si è recato in visita proprio ai cristiani iracheni esuli nelle città del Kurdistan. Dopo aver ascoltato le loro sofferenze ha fatto un promessa: «D’ora in poi reciterò ogni giorno il Padre nostro in aramaico-assiro, la vostra lingua, fino a quando non sarete ritornati a Mosul», ha detto.

Ieri anche l’Oeuvre d’Orient – una storica ong francese che sostiene le comunità cristiane d’Oriente – ha fatto proprio questo gesto. E ha proposto sul proprio profilo Facebook una traslitterazione del Padre nostro del messale della liturgia caldea. Questo per permettere a tutti quelli che lo desiderano di pregare con le stesse parole dei cristiani di Mosul, anche senza essere in grado di leggere i testi assiri.

Rilanciamo anche noi questa stessa traslitterazione invitando chi lo desidera a unirsi a questo gesto molto bello, che non si limita a sbandierare un logo ma prova a condividere davvero anche una storia:

padrenostrocaldeo

Padre Nostro in caldeo, la lingua con cui pregano i nostri fratelli perseguitati in Irak

A’oun D’ouashmaya nethqaddash shmakh
téthé malkouthakh
nehoué seouyanakh a’iykanna d’ouashmaya ap b’ar’a.
Haoulan lahma d’sounqanan yaoumana
ouashwoklan houba’in ouahtaha’in
a’iykanna d’ap hnan shouaqa’in lhayaoua’in.
Ou la ta’lan lnessyona
ella passan men bisha
mettol dilakhi malkoutha
haïla outheshbota
l’alam almin
amen.

[Fonte: http://www.missionline.org/%5D

Difficile da leggere anche traslitterato?

Ecco un video suggestivo che ci potrà aiutare a pregare il Padre Nostro in aramaico assiro, in comunione coi cristiani perseguitati in Irak, e non solo…

Non è che un segno di comunione, per stringerci ai nostri fratelli perseguitati… ma a me piace e tocca il cuore

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Kapolavori a Karakosh

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 18/06/2014

papa_francesco_angelus--400x300Il Papa all’Angelus di domenica 15 Giugno ha invitato tutti a pregare per l’Irak con parole semplici quanto toccanti:

“Cari fratelli e sorelle, sto seguendo con viva preoccupazione gli avvenimenti di questi ultimi giorni in Iraq. Invito tutti voi ad unirvi alla mia preghiera per la cara nazione irachena, soprattutto per le vittime e per chi soffre maggiormente le conseguenze dell’accrescersi della violenza, in particolare per le molte persone, tra cui tanti cristiani, che hanno dovuto lasciare la propria casa. Auspico per tutta la popolazione la sicurezza e la pace ed un futuro di riconciliazione e di giustizia dove tutti gli iracheni, qualunque sia la loro appartenenza religiosa, possano costruire insieme la loro patria, facendone un modello di convivenza. Preghiamo la Madonna, tutti insieme per il popolo iracheno.

Ave Maria, piena di Grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta tra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi, peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte.

A te che leggi, adesso, chiedo di unirti alla mia preghiera con un’Ave Maria, un Padre Nostro, se non sei Cattolico, con la preghiera che ti viene dal cuore, ma ti chiedo di farlo ora, per la nazione irachena e per tutte le terre devastate dalla guerra.

Se sei di Roma, o se passi per la Capitale, ti segnalo Kapolavori a Karakosh una bella mostra al Centro Culturale JPII, vicolo del Grottino, 3B (Roma Centro Storico) dal 17 al 20 giugno 2014.

Mostra la vita difficile e pericolosa dei nostri fratelli cristiani in Irak che rischiano la vita per una Messa e che vivono con un fervore e un coraggio che può venire solo dalla grazia di Dio accolta da cuori generosi.

Mostra una comunità di vecchi, giovani e bambini, che hanno perso i propri cari sotto le bombe dei terroristi, senza aver perso la fede e la capacità di perdonare.

Ecco un breve video di presentazione che vale la pena vedere. Accogliamo l’accorata richiesta del Vescovo di Karakosh che confida nelle preghiere di noi cristiani d’Occidente.

Vivere la vita ogni giorno tenendo fra le mani la croce con lo sguardo fisso alla risurrezione. Questo dicono al mondo i cristiani dell’Iraq, minoranza fra fazioni in lotta.

In primo piano ci stanno le croci o le macerie della guerra, ma sullo sfondo si delinea la vita che rinasce dal desiderio profondo di pace e collaborazione fra popoli, culture e religioni diverse.

Questo è il messaggio che i cristiani di Karakosh, dal quartiere ghetto di Shikak, comunicano a tutti gli uomini e donne di buona volontà, perché non lasciandosi vivere ma prendendo nelle mani la propria vita, si decidano di farne “un autentico e personale capolavoro”. (Fonte di quanto riportato nel video e nel riquadro dopo il video: http://www.oltreilnaso.it/mostraIRAQ.php)

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