Ricevuto da una cara sorella, condivido con gioia!
«A volte ci si mette in un angolo, si guarda la realtà, si guardano gli altri dall’esterno senza sentirsi implicati. Si vede tutto ciò che non va, che si identifica spesso soltanto con ciò che non corrisponde ai propri desideri, alle proprie aspettative.
E sorge la critica deresponsabilizzata nella quale una sola cosa è certa: che comunque ciò che “gli altri” fanno non va bene. Non è detto che la critica sia necessariamente errata, a volte coglie nel segno; ciò che è profondamente errato è porsi quali spettatori che giudicano e condannano senza sporcarsi le mani.
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto” (v. 17): non si entra nella danza della vita quotidiana accordando il passo su quello del vicino; non si condivide il dolore di chi soffre o piange il proprio peccato, non ci si fa carico di “ciò che non va”…
È una reazione di insoddisfazione profonda a priori, ben diversa da quel riconoscimento della mancanza che segna ogni vita, di quello scarto tra la realtà e i desideri e i sogni buoni che ci spingono a camminare, a cercare, a impegnarci in vista del Regno. Il non voler entrare nella danza della vita rende incapaci anche di gioire di ciò che vi è di bello e di buono, in un capriccioso rifiuto che, alla fin fine, altro non è se non un alibi per non rispondere alla chiamata di Gesù a seguirlo ora, in questo mondo, dentro questa storia ferita e lacerata dal peccato.
Gesù non ha avuto paura di lasciarsi giudicare “mangione e beone, amico di pubblicani e peccatori” (v. 19); di molti di costoro è stato amico a tal punto che hanno lasciato tutto per seguirlo e condividere il suo cammino. Si pensi a Levi Matteo, redattore di questo passo evangelico.
Gesù non ha avuto paura di contaminarsi con donne impure e malati di lebbra. Ha seminato il grano buono del vangelo, semi di compassione, di bontà, di misericordia; sapeva che nel campo accanto al grano cresce anche la zizzania (cf. Mt 13,24-30), sapeva che la sua fedeltà all’amore fino alla fine l’avrebbe condotto alla croce, ma questo non gli ha impedito di gioire, di godere dell’amicizia di Lazzaro, Marta, Maria e tanti altri, di vivere pasti a tavola nella condivisione, in uno spirito di ascolto e rispetto reciproco che anticipavano quell’ultimo pasto prima della sua passione e morte.
Gesù ha posto dei segni forti, potenti (in greco: dynámeis): molti non hanno voluto riconoscerli. Gesù pone dei segni forti, potenti, ora in questa nostra realtà a volte così povera, in queste nostre storie collettive e personali ferite e distorte, ma non vogliamo riconoscerli. Affetti da lamentosi cronica diventiamo incapaci di gioire dei segni del Regno che già ora possono rallegrare le nostre vite.
E Gesù paragona le città in cui ha operato molti dei suoi segni a città pagane, a Tiro e Sidone, o addirittura a Sodoma, la città inospitale per eccellenza (cf. Gen 18,17-19,29). Non accada anche a noi di non saper ospitare quei momenti belli e buoni che ci aiutano a danzare nell’amore la danza della vita.»
sorella Lisa
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