<<Io lasciavo la campagna di Miano, sempre periferia nord di Napoli, dove tenevo dietro al gregge di mio padre, facevo il pastore delle pecore di mio padre. Da questa pace, da questa tranquillità, da questa natura, nel 1980 vengo trasferito alle vele di Scampia, avevo solo sei anni, il comune ci dava il nuovo alloggio.

Ali Bruciate, il libro che Davide ha scritto con Alessandro Pronzato
Trovarmi di fronte questi grossi palazzoni di cemento è stato veramente avvilente, però non c’è voluto tanto per diventare una cosa, quasi un legame di sangue con questo cemento e quindi cresceva sempre di più in me la voglia, quasi il piacere per il crimine, era una cosa che pian piano mi piaceva proprio e mi era sempre più chiaro che io dovevo fare quello, che io dovevo far parte di quell’ingranaggio criminoso.
Già a dieci anni, i grandi, gli adulti sbagliati diciamo così, si servivano di me, mi facevano trasportare, per dire, delle armi da un quartiere all’altro, si servivano di me perché non davo nell’occhio, allora.
Assisto in televisione all’arresto di mia mamma e questo mi ha segnato tantissimo, Quando vedo questo, ovviamente piango però sento anche dentro di me, prepotente, la voglia e la scelta di ritornare e andare a occupare quel posto che lasciava vuoto da mia mamma, parliamo di andare a occupare il posto di una gestione di una piazza, di una delle piazze di spaccio.
E quindi a quattordici anni mi sono trovato arruolato guadagnando 800.000 lire al giorno. La mia identità io l’ho ritrovata in questo ruolo. Tanti dei miei amici che hanno voluto occupare un gradino più alto, hanno perso la vita, molti sono in carcere. Ecco, vedi la malavita cosa ti riserva? Questo.
Poi subentra la droga, cioè stordirsi, non capire. Fare il camorrista è uno schifo. Poi la camorra è qualcosa di sporco, molto sporco, ha sempre giocato sporco la camorra, che attira soprattutto i giovani. Il vero oro della camorra sono soprattutto i giovani, i ragazzini. Come se li compra? Con il denaro, l’estetismo, la macchina, il motorino, gli orologi, e poi e poi tanti, tanti soldi. non è la vita però a loro basta.
Conta più il boss. Prende posto nelle propria esistenza il capo e per lui si dà anche la vita. E’ quel desiderio che ho provato io nei confronti di chi mi teneva sotto il giogo. Uccidere una persona per il proprio capo è una gratificazione immensa, perché poi il capo te lo fa sapere: “Sei stato bravo, sei stato coraggioso! Che grandezza, che spettacolo! Pensa! Questa è la vita!”, quando loro stanno in disparte, non fanno reati perché vogliono godersi quei tantissimi soldi che hanno guadagnato e fanno fare i reati agli altri, ai ragazzini molto giovani.
Però ti posso dire che è stata veramente una brutta cosa, anche perché poi c’è stato l’arresto a sedici anni, con tre giorni, anche perché poi c’è stato l’avvocato “del sistema” che mi ha fatto uscire, e sono ritornato nella vita di sempre, non è cambiato niente, neppure la morte di un ragazzo che avevo conosciuto in questi tre giorni di carcere minorile, a lui la camorra aveva ucciso il padre, lui sapeva chi lo aveva ucciso, voleva vendicare suo padre e dopo una settimana che eravamo usciti insieme dal carcere, la mamma ne denunciava la scomparsa, lupara bianca. Mi ritrovavo davanti a questo circolo ricreativo per anziani, sono arrivate queste due persone, io ero con un altro ragazzo, hanno tirato fuori le pistole e hanno cominciato a sparare.
A quello che puntava a me si è inceppata la pistola, io ho riportato il braccio alla schiena perché c’era la porta, mi sono buttato dentro, ho chiuso, hanno cominciato a sparare ai vetri di questa porta, hanno sfondato la porta, sono entrati tutti ie due, uni di loro ha detto – Spariamolo a questo che è un infame – si sono avvicinati, io mi sono adagiato per terra, mi hanno appoggiato proprio le canne delle pistole sulle gambe e mi hanno sparato.
Il capo di Secondigliano, mi ha mandato a chiamare, sono andato a casa sua, si era blindato, sono andato a casa, mi ha chiamato nella sua stanza, mi ha abbracciato e mi ha dato un bacio come si fa con un proprio figlio. Ha aperto il cassetto, ha preso una sua pistola personale, mi ha alzato il giubbotto e me l’ha messo nella cintura. Mi ha detto – dobbiamo andare in un posto – Io portavo quella pistola perché nel caso di un fermo della Polizia me la dovevo accusare io, ma nel caso ci fosse stato un agguato da parte dei killer, lui me l’avrebbe sfilata dalla cintura – è questo che devono capire i ragazzi – voi magari date la vostra vita per loro ma loro non la daranno mai per voi.
Sono cosa veramente brutte che non dovrebbero esistere, stare in una camera, riscaldare dei coltelli per tagliare i panetti di fumo, tutta robaccia, non so come dirti, e non mi interessa neanche cercare kle parole per spiegarlo. A 18 anni e un giorno mi hanno arrestato perché si aspettava che diventassi maggiorenne per darmi una punizione forte e non che uscivo sempre. Mi hanno portato al carcere di Poggio Reale dove ho visto inferno, dove molte notti stringevo le mani sulle orecchie per non sentire le urla dei ragazzi che venivano presi a botte nelle celle di punizione chiamate “zero”. “Abbascio o zero! Scendi giù allo zero!” – Cioè eri zero!
Quando arrivari a Poggio Reale, le guardie carcerarie, per farmi capire dove stavo mi mandarono su tutto gonfio, mi diedero un sacco di botte. Tornando dall’ora d’aria un giorno, dopo aver letto una poesia di padre Davide Maria Turoldo… sulla mia branda c’era un piccolo Vangelo. Vinsi la vergogna di farmi giudicare male dai miei compagni di stanza, salii su questa branda e aprii questo libriccino.
Apro questo libriccino e nelle penultime pagine c’era scritto per tre volte il mio nome. Nel carcere di Poggio Reale c’è un Vangelo con due pagine mancanti, l’autore di quel furto sono io. Ho strappato queste pagine, probabilmente lì per lì non era successo niente però questa cosa mi ha affascinato tantissimo.
Pensa che un mio familiare quando gli feci capire che non volevo più accettare quella vita di morte, mi disse – Ma tu si’ pazz’ – io non ero pazzo quando stavo nella malavita ma quando volevo uscirne dalla malavita, ma ci pensi? E allora – mamma mia – è stata una conquista straordinaria, importante e lì ho cominciato a toccare con mano e a convincermi che la vita è una cosa seria e che vale la pena veramente viverla tutta.>>
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