FERMENTI CATTOLICI VIVI

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Posts Tagged ‘morte’

“Il mio cuore batteva, ma io non ero vivo”

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 30/10/2018

 

La vita del dottor John Morrissey ha avuto un capitolo oscuro dal quale è uscito grazie al sacramento della confessione, secondo un suo racconto pubblicato dal britannico The Catholic Herald.

Dopo essere arrivato alla depressione a causa del continuo contatto con la morte in un contesto di allontanamento da Dio, il medico ha ricordato la consolazione offerta dal sacramento e vi si è accostato urgentemente.

“Il mio stato spirituale era quello di un allegro pagano, un Bacco in un camice bianco sporco e con un’aureola falsa”, ha ammesso il dottor Morrissey. “Nonostante una profonda esperienza religiosa due anni fa, la mia vita morale presentava ancora varie sfumature di nero, e la mia testa era piena di un sincretismo confuso, nonsenso del New Age”.

In questo stato affrontava ogni giorno una realtà drammatica: l’assistenza ai malati terminali di cancro nel suo ospedale, un lavoro che ha svolto per un anno.

Dopo un anno senza praticare la propria fede, il suo ritorno incompleto si limitava ad alcune preghiere “chiedendo che i miei pazienti si riprendessero, o che io non fossi di turno quando avessero avuto bisogno di essere ricoverati”, ha ricordato. “Le mie preghiere non hanno ottenuto risposta. Le morti continuavano senza sosta. Una grande sensazione di mancanza di senso e di disperazione ha riempito il mio cuore”.

L’impatto della necessità della conversione

Il medico non solo attraversava una crisi spirituale e professionale, ma viveva in solitudine e non aveva amici, e quindi è caduto nell’alcool. “Il mio cuore batteva, ma io non ero vivo”, ha riassunto. Il momento più basso della sua crisi è stato raggiunto mentre rivedeva i dati relativi a un giovane paziente morto da poco e ha sentito di affondare nella depressione. Davanti alla sua espressione, una paziente gli ha chiesto se si sentiva bene. Con le lacrime agli occhi ha risposto: “Mi dispiace, sto lottando per vedere qualcosa di buono in questo posto. C’è troppa morte qui”.

Una sera, mentre beveva in un bar, ha sentito la necessità impellente di uscire dal locale. “Era come se vedessi quel luogo per la prima volta per com’era realmente”, ha confessato, riferendo che vedeva tutti i presenti come perdenti e che ciascuno dei loro sguardi sembrava essere macchiato di malizia. “Mi sono sentito molto solo, e ho iniziato a cercare una via d’uscita”.

La sensazione è stata accompagnata dalla certezza della propria condanna e dalla necessità urgente di ricorrere alla confessione.

“Non ero estraneo al peccato, ma fino a quel momento non ero mai stato consapevole degli effetti della sua presa letale sulla mia anima”, ha dichiarato. Non appartenendo a una parrocchia, ha cercato sull’elenco telefonico e ha trovato una comunità gesuita che ha chiamato e alla quale si è diretto immediatamente in taxi.

L’impulso del cambiamento

Al suo arrivo è stato accolto dai religiosi e ha atteso un sacerdote che ha dovuto svegliarsi nel cuore della notte per assisterlo. “Ha fatto capire chiaramente che era tutto irregolare, ma l’ho supplicato a tal punto di ascoltare la mia confessione che ha acconsentito con misericordia”, ha raccontato il dottor Morrissey.

Dopo più di 10 anni senza confessione, l’uomo è stato guidato dal sacerdote ed è riuscito a ricordare l’atto di dolore che aveva imparato nell’infanzia. “Con le parole finali di assoluzione, mentre stavo ad occhi chiusi, la paura è scomparsa completamente. Non sono mai stato tanto grato quanto in quel momento. Ho chiesto perdono per la mia incursione e ho lasciato quella casa in pace”.

“Nulla di ciò che era all’esterno era cambiato, ma ero cambiato io, ero stato riconciliato”, ha ricordato il medico. “Mi sono reso conto che solo i miei peccati potevano ferirmi davvero, e che se spezzavo i miei legami con loro avrei perso la paura della morte”.

Nell’esercizio della sua professione, i pazienti continuavano a morire, ma questa volta pregava perché, come lui, potessero trovare la grazia della misericordia che egli stesso aveva sperimentato.

Il dottor Morrissey ha descritto come le persone non siano debitamente consapevoli dei limiti della medicina e del dovere di prepararsi adeguatamente al momento della morte. Ha anche riflettuto sulle similitudini del peccato con la malattia del cancro e su come i pazienti soccombano di fronte al male perché il trattamento con le radiazioni influisce sul midollo osseo e li lascia senza difese.

I cattolici ricevono un “trapianto” di vita spirituale attraverso l’Eucaristia direttamente da Gesù Cristo, il “donatore universale”, che insegna anche all’uomo a impiegare la sofferenza per la propria salvezza. Tutte queste ragioni lo portano a ringraziare ancor di più per la drammatica esperienza in cui ha percepito la necessità di chiedere perdono e di ricevere la misericordia di Dio.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti; fonte: http://www.it.aleteia.com]

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Non aspettiamo gli ultimi quattro minuti…

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 28/11/2017

«Quando l’Inghilterra decise di costruire un enorme radar, che consente di conoscere con quattro minuti di anticipo l’arrivo di un missile balistico intercontinentale, venne indetta un’inchiesta presso i lettori dei giornali Dailiy Express e Star, sulla domanda: Come impieghereste i vostri ultimi quattro minuti di vita? Ecco alcune risposte:

“Trascorrerei i miei ultimi quattro minuti odiando tutto e tutti. Non avrei più alcuna ragione, infatti, per nutrire amore per l’umanità”.

C’è chi ha dichiarato candidamente: “Berrei l’ultima tazza di the”. E chi: “Prenderei il mio cane e mi metterei a giocare con lui in giardino”.

Una signorina sentimentale: “Danzerei per ricordare il giorno più bello della mia vita, quando debuttai in un balletto.”

Un buon padre di famiglia: “Se mi trovassi fuori cercherei di rientrare in casa per trascorrere gli ultimi quattro minuti insieme a mia moglie e ai miei bambini”.

Buona parte dei cittadini britannici ha dichiarato: “Mi inginocchierei e pregherei Dio”.» (Tratto dalla rivista “Papa Giovanni”, n. 15, Ottobre 1990)

«Non si vive che una sola volta, e com’è grande il numero di quelli che al mondo non vivono neppure una volta!» (Ruckert).

«L’uso migliore della vita è di spenderla per qualcosa che duri più della vita stessa.» (William James).

Non aspettiamo gli ultimi quattro minuti per inginocchiarci, pregare Dio, e trasformare la nostra vita – liberi da ogni paura – in qualcosa di meraviglioso.

Pensare alla morte non significa essere pessimisti e tetri ma significa prepararsi, dando alla nostra esistenza terrena quell’orientamento, quel senso e quel criterio che sviluppi e perfezioni quella vita divina di cui siamo già partecipi e che diverrà vita di gloria-senza-fine quando abbandoneremo la condizione di vita mortale.

E la gioia vera arriverà come balsamo, sin da questa, di vita…

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“Sara mi cantava: nascerà, nascerà”

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 04/02/2017

In un post di qualche anno fa raccontavo l’incredibile morte di Sara Mariucci, tre anni e mezzo, morta folgorata da una scossa elettrica in una giostra, il 5 Agosto 2006.

Nel video la mamma raccontava di come, il luogo dove ritrovasse la figlia, fosse solo la santa Messa, l’unico luogo di vera comunione con lei e con tutti gli abitanti del cielo.

La tragedia. Il 5 agosto 2006 in uno stabilimento balneare di Villapiana, in Calabria, la piccola moriva, folgorata da una scarica elettrica. La sera prima di salire in cielo Sara aveva raccontato alla madre Anna dell’esistenza di un’altra mamma ancora più buona, mamma Morena, e del desiderio di ricongiungersi con lei. Dopo la morte della bimba, la famiglia ha saputo che proprio il 5 agosto in Bolivia a Copacabana c’è un grande santuario dove si festeggia la Madonna Morena.

Nel ricordino della bimba c’è riportata la conversazione con la madre la sera del 4 agosto: “Quando ero piccola piccola, ero in posto lontano, lontano, meraviglioso, su una nuvoletta”.

mamma_morena_01Con chi eri?

“Con Mamma Morena”.

E chi è Mamma Morena?

“L’altra mia mamma”.

Ma com’è questa Mamma Morena?

“E’ buonissima”.

Più buona di Mamma Anna?

“Sì”.

Davvero, sei sicura?

“Sì”.

E di che colore ha i capelli? E gli occhi?

“Castani come i miei”.

Ma lasceresti mamma Anna per andare da Mamma Morena? Mi ha risposto:

“Sì”.

Da allora si sono ripetuti tanti fatti inspiegabili.

Dal cimitero di Gubbio per volonta’ del vescovo Ceccobelli la salma di Sara Mariucci, dal cimitero comunale è stata trasportata nella Chiesa di San Martino in Colle. Una folla incredibile, con gente proveniente da tutta Italia e anche dall’estero, visita questa tomba sotto il controllo di padre Francesco Ferrari, il parroco, incaricato anni fa dal vescovo di raccogliere tutte le testimonianze sui “fatti strani”, tra cui guarigioni miracolose, verificatisi dopo la morte della piccola Mariucci.

mamma_morena_02La cappella dedicata alla Madonna Morena, realizzata nella sacrestia, e dove l’artista eugubino Luca Grilli ha scolpito un bellissimo sarcofago di pietra dove riposerà Sara.

Infine l’ultimo fatto strano, che è stato rivelato da Palmiro, il nonno di Sara: “Qualche settimana dopo la morte di mia nipote, eravamo alla fine di agosto, mi sono accorto che nel mio uliveto era nato uno strano fiore di colore bianco. Di una specie rara, mai visto prima. L’ho fatto analizzare all’istituto di botanica dell’università di Perugia: è risultato che era uno stramonio, fiore originaro del Sudamerica, molto comune in Bolivia dove si venera la Madonna Morena, la mamma ritenuta più buona di tutte dalla nostra Sara. Da quel giorno ogni anno il fiore bianco di Sara ritorna puntuale a fiorire in agosto”.

Tanti sono i “fatti strani” accaduti, come quello di Luana Cavazza, la donna di Latina che sostiene di essere guarita di tumore dopo aver pregato sulla tomba della piccola Sara Mariucci nel cimitero di San Martino in Colle, ha portato la sua testimonianza a “La vita in diretta” su Rai Uno. Il “caso” relativo alla guarigione dal cancro al midollo spinale della casalinga di Latina che – come hanno scritto in maniera inequivocabile i medici dopo che la risonanza magnetica che ha dato risposta negativa – non trova una spiegazione scientifica.

I “fatti strani”, intanto, gli episodi inspiegabili, quelli che alcuni chiamano “miracoli” e che altri invece etichettano come “coincidenze”, continuano a riemergere, dopo essere stati coperti per anni da una cortina di silenzio e di riservatezza voluta dalla famiglia Mariucci proprio per non correre il rischio di spettacolarizzare quel dolore così atroce.

Ecco allora che padre Francesco venerdì mattina ha rivelato due fatti molto simili, accaduti uno a Gubbio e l’altro a Padova. Entrambi vedono protagoniste due mamme malate e in stato interessante. A una donna di Gubbio con una grave malattia ai reni e costretta ad assumere farmaci molto forti, era stato quasi ordinato di effettuare l’aborto terapeutico.

La donna però non ha voluto rinunciare alla sua maternità e si è opposta fino al momento in cui ha rivelato: “Nessun aborto, ho avvertito dietro di me la presenza della piccola Sara che cantava: nascerà, nascerà”. E così ha portato a termine la gravidanza dando alla luce una bellissima bambina, sana e piena di voglia di vivere.

Fatto analogo per una coppia padovana. In questo caso la mamma era afflitta da un tumore che la stava uccidendo. Per curarsi avrebbe dovuto sottoporsi a cure con tutta probabilità fatali per il bimbo che aveva in grembo, per cui i medici l’hanno esortata a praticare l’aborto. Ma anche a lei, in un momento di profondo dolore, è accaduto di avvertire una presenza strana e più tardi dirà: “Sara mi cantava: nascerà, nascerà”. E anche in questo caso la gravidanza è giunta al termine nel modo più bello.

(Fonte di gran parte del post: http://www.lalucedimaria.it/)

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…E aspetto il “grande evento”

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 04/02/2015

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Questa bella signora non è l’autrice del commento né del post…

Il 31 gennaio scorso è stato pubblicato sul blog di Costanza Miriano un post bellissimo su due questioni poco popolari, la vecchiaia e la morte.

Innocenza Laguri, autrice dello scritto e collaboratrice del noto blog, ne parlava col coraggio, la lealtà, la chiarezza e la serenità di chi si fa delle domande senza tabù, condividendo le risposte trovate nella fede in Cristo che salva.

Vi invito a leggerlo tutto, qua.

Bello vero?

Quello che mi ha toccato particolarmente il cuore, però è stato il commento di una lettrice, “Franca35”, che vi propongo senza commenti se non il pensiero che vorrei invecchiare proprio come lei.

“Sto vivendo il mio ottantesimo anno: la prima cosa da dire a questo proposito è “grazie”!

Ho appena finito il mio lavoro in parrocchia, quando il 30 novembre scorso il gruppo dei miei ragazzi hanno ricevuto la Cresima.

Ho voluto resistere per portare a termine l’impegno che avevo preso cinque anni fa.

Ora mi sto preparando a un intervento al ginocchio, la cui attesa si è protratta troppo a lungo, diventando difficile da sopportare. Non ne ho troppa voglia, ma lo devo fare.

Vivo i miei giorni facendo quello che posso, non pretendendo troppo da me stessa, godendo delle piccole cose quotidiane con la grazia del Signore nel cuore.

E aspetto il “grande evento”.

Non mi faccio più tante domande, vivo il mio tempo come ho sempre fatto, mi interesso del mondo, che è dono di Dio e del quale facciamo parte anche se non siamo “di questo mondo”.

E prego molto, la mia preghiera spesso non è fatta di parole, ma sono cosciente che tutto il mio essere prega, in qualsiasi momento del giorno e della notte.

morte01

Libro che ho letto anch’io e che consiglio di cuore

Non ho paura, almeno non mi sembra, piuttosto sono curiosa e la mia speranza è piena di gioia, di vera gioia tranquilla, serena, interiore, perché so a Chi ho dato la mia vita.

Gli errori del passato li ho gettati nel cuore dell’Agnello che mi ha perdonato, e ora capisco che niente è stato vano, mi sento circondata dall’Amore che muove il mondo e quando vengono pensieri tristi semplicemente li caccio via. Perché non è lecito essere tristi quando si è di Cristo Signore.

Il dolore fisico spesso debilita, ma dove posso ricorro alla medicina, o porto pazienza in attesa che passi. E ne faccio offerta a Dio per le sofferenze del mondo e dei miei fratelli.

Credo sia importante vivere pieni di vita e di amore sempre, insieme a sorella morte e ai tanti cari amici e parenti che mi hanno preceduta e che sono certa rivedrò nel Suo Regno.

Un grazie a tutti voi di questo blog, a Costanza e Admin e a tutti gli altri, vi seguo sempre con le mie preghiere, mi aiutate molto.

Che Dio benedica i vostri cuori, le vostre famiglie, il vostro lavoro e le belle imprese che portate avanti con entusiasmo. Ciao a tutti, vi abbraccio.”

Roba per persone anziane? Allora perché San Giovanni Bosco proponeva mensilmente ai suoi giovani il cosiddetto “esercizio della buona morte”?

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“All’inizio volevo dirgliene quattro (…) poi ho capito che Lui ‘carica’ la croce su chi può sopportarla”

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 08/10/2014

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La storia è semplice e drammatica. Filippo, 30 anni, sposato con Anna, in attesa di un bambino, impegnato nelle Sentinelle del Mattino, attivissimo nell’Oratorio, se ne va in un mese per un tumore fulminante all’addome.

“Una storia drammatica, emozionante, sconvolgente” scrive nella sua prefazione il vescovo Franco Brambilla. Una storia che Ilaria Nava ha ricostruito attraverso le voci, gli SMS, i messaggi su Facebook dei protagonisti: i parenti, gli amici, i ragazzi che Filippo seguiva e di cui era confidente e sostegno; e soprattutto Anna, la moglie di Filippo, che ha dato alla luce Luca un mese dopo che Filippo se ne era andato.

Filippo01“La prima volta che sono arrivata a Verbania, inviata dal settimanale Credere, che mi aveva chiesto di scrivere un articolo su questa storia avevo un po’ di timore di incontrarti” scrive l’autrice nei ringraziamenti. “Mai mi sarei aspettata di trovare una persona così sorridente e accogliente, ti sei subito aperta con me, una perfetta sconosciuta anche se ti costava”.

Credo sia difficile leggere questo libro (“Volevo dirgliene quattro…” , San Paolo, 120 pag. € 10.00) senza commuoversi. Chi scrive non c’è riuscito. Perché sono toccanti l’eroismo, la fede, la semplicità dell’accettazione di un evento così apparentemente ingiusto e crudele. Mi sono venuti in mente i versi di Ada Negrini “Atto d’amore”:

“Or Dio – che sempre amai – t’amo sapendo di amarti;
e l’ineffabile certezza che tutto fu giustizia,
anche il dolore,
tutto fu bene, anche il mio male,
tutto tu fosti e sei per me,
mi fa tremante di una gioia più grande della morte”.

Un’accettazione dolorosa, un abbandono totale.

Filippo03All’inizio non fu così. In ospedale Filippo ricevette la visita di don Fabrizio, sacerdote e amico. Gli portò l’ostia; ma la lasciò sul comodino, affinché Filippo potesse fare l’adorazione eucaristica. E poi gli chiese, via messaggio: “Come è andata la chiacchierata con il capo?”. La risposta è il titolo del libro: “All’inizio volevo dirgliene quattro…”. Il messaggio continua: “Poi ho capito che Lui ‘carica’ la croce su chi può sopportarla (anche se ne facevo a meno :-)). Quindi gli ho affidato tutto me, il piccolo e Anna”.

E c’è un’altra mail, misteriosa, in questa storia. La trova Anna, tornando a casa una sera dall’ospedale; e la stampa e la porta a Filippo la mattina seguente.

“Chiedervi il perché di quello che vi sta succedendo il più delle volte vi farà impazzire. Non avrete mai una risposta ai vostri perché, almeno finché siete su questa terra. Alcune cose sono più grandi di noi. Quello che vi consiglio è di chiedere a Dio di accettare e di accogliere nella vostra vita questo cammino che avete davanti, ovunque vi porterà, e io pregherò per voi perché riusciate a compiere questo passo”.

Filippo e Anna decidono di seguire il consiglio, e cominciano a pregare insieme, in ospedale, come facevano prima del ricovero. “Anna non riesce ancora oggi a ricordare chi sia stato il mittente di quella mail. Non troverà mai più il foglio su cui l’aveva stampata, né riuscirà a rintracciarne il testo cercando nella sua casella di posta elettronica”, scrive Ilaria Nava.

Un storia semplice, di una santità estrema, vissuta come diceva Benedetto XVI: “I santi semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita, non saranno mai canonizzate, sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedo la verità della fede”.

(di M. Tosatti)

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“Sentii una voce interiore che pronunciava parole d’amore. Più che una voce era un soffio caldo, intensissimo.”

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 13/06/2014

figliincielo01E’ un po’ lunghetta, ma vale la pena leggere questa bella e intensa intervista ad Andreana Bassanetti, psicologa e psicoterapeuta di Parma

Esiste una Associazione denominata “Figli in Cielo” (www.figlincielo.it), che offre un itinerario di fede e di speranza per aiutare a superare il dolore per la perdita prematura di un figlio e ritrovarlo in Cielo, cioè nel mistero di Dio.

L’Associazione che si pone come una “Scuola di fede e di preghiera” avvia le famiglie alla Lectio divina perché siano aiutate a far risuonare la Parola nella propria vita personale. A tutt’oggi è stata contattata da più di 10.000 famiglie ed è attiva in circa 100 diocesi in Italia, in Spagna, in diversi paesi dell’America Latina e Centrale, negli Stati Uniti, in Inghilterra ed in Nuova Zelanda.

A fondare ed animare l’Associazione è Andreana Bassanetti, psicologa e psicoterapeuta di Parma, che ha vissuto sulla propria pelle una tragedia lacerante di questo tipo: il suicidio della figlia ventenne, Camilla, travolta da una infelicità interiore che non poteva più sopportare.

figliincielo02Di fronte a questo dolore, Andreana dopo sei mesi in cui non riusciva ad alzarsi dal letto uscì ed incontrò una chiesa aperta, entrò con la sensazione che qualcuno l’aspettasse da tempo e da quel giorno, attratta da una forza sconosciuta, per otto mesi, ritornò a inginocchiarsi in quei banchi.

Leggendo i Salmi – ha raccontato a ZENIT la psicologa di Parma – “sentii una voce interiore che pronunciava parole d’amore. Più che una voce era un soffio caldo, intensissimo, come una melodia, un canto dalle parole sfumate, che mi permeava e mi riempiva e mi scioglieva interiormente: riuscivo a percepire confusamente solo la parola amore”.

Nel libro “Il bene più grande – storia di Camilla” (Edizioni Paoline, 169 pagine, 9,30 Euro), la Bassanetti racconta che “il tutto durò solo una decina di secondi, ma ebbe un effetto grandioso, miracoloso, mi liberò dal pesante macigno che mi paralizzava”.

Dio mi aveva dato un cuore nuovo. Mi accorsi che stavo piangendo: silenziosamente, calde lacrime mi rigavano il volto: come si può resistere ad un amore così grande?”, aggiunge. “Quella notte fu per me una notte davvero santa, miracolosa – scrive ancora – . Ritornai a casa trasformata con il cuore colmo di gratitudine, sigillando nel profondo le parole del Salmo 39: ‘Ecco io vengo o Dio a fare la tua volontà’”.

www.zenit.org ha incontrato la dottoressa Andreana Bassanetti al Convegno Ecclesiale di Verona, e le ha rivolto alcune domande.

figliincielo03Come si fa a superare un dolore tanto forte come la morte di una figlia?

Bassanetti: Quando muore un figlio per cause accidentali o naturali, per un genitore lo strazio è indescrivibile. E’ il dolore più grande che un essere umano possa provare. Un distacco così lacerante che non si rimargina più: l’esistenza di chi resta, se riuscirà a viverla, non sarà più la stessa, ma il Signore toglie soltanto per dare un dono più grande.

Dopo mesi in cui non riuscivo a sopportare il dolore e pensavo di morire anch’io, il Signore mi fece veramente visita e mi colmò di grazie, mi avvolse tra le sue braccia materne, mi consolò, medicò le mie ferite e soprattutto ammorbidì il mio cuore, indurito dal dolore. Presi coscienza di Lui, del suo Mistero, della sua Presenza, del suo Spirito che vivifica l’ anima, accende il cuore e apre la mente al cielo. E nella luce che tutta mi avvolgeva e mi faceva rinascere all’amore e alla speranza, ritrovai Camilla. La Chiesa divenne il luogo privilegiato dei nostri incontri, un momento sublime di attesa, di dialogo, di unione perché se il corpo avvicina, lo spirito va oltre, unisce, fonde, con-fonde.

Se oggi tento di ricostruire la mia storia personale, cercando di darle un ordine cronologico, non posso più cominciare dall’infanzia, ma a cinquant’anni circa, quando un avvenimento tremendo, drammatico, luttuoso, fallimentare, crocifiggente, la morte di mia figlia Camilla a soli ventun anni, mi ha fatto incontrare Dio. O meglio, la mia vita vera è iniziata quando Dio ha fatto irruzione nella mia vita. Sconvolgendo ogni cosa, ma senza sconvolgere, capovolgendo l’ordine ed il senso di prima, ma nel contempo restituendo a ogni avvenimento un senso primordiale che mi precede, mi anticipa e mi stupisce ogni volta. Un senso che supera di gran lunga, mi sovrasta e si sottrae ad ogni analisi psicologica o psicoanalitica. Un vero e proprio miracolo che ha dato un avvio vero e autentico alla mia esistenza.

Come si fa a ringraziare Dio di fronte a un evento così drammatico?

Bassanetti: Ci sono verità che il Signore ha nascosto nel segreto del nostro cuore, che richiedono tutto un lungo cammino al buio, esigono tutta la fatica di una ricerca, fino all’incontro con Lui. Per ritrovare i figli nella Vita vera, la Verità ci dice che la Via è una sola “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Anziché ribellarsi e costringere il figlio a tornare indietro, a una dimensione, diciamo più terrena, è il genitore che deve andare avanti, nella sua libertà di scelta e di tempi, rinnegare se stesso. Rinnegare la maternità-paternità umana per elevarsi a una maternità paternità divina, nella nuova dimensione che lo stato spirituale del proprio figlio richiede.

figliincielo04E’ importante non aver paura del dolore, anche se acuto e apparentemente incontenibile nessuna notte è così lunga da non permettere un nuovo giorno. Anche se il percorso è lungo e faticoso, è bene non lasciarsi annientare dal dolore ma rispettare i propri stati d’animo assecondando le esigenze interiori che via via si manifestano, non bisogna sfruttare i tempi saltando tappe importanti che costituiscono un fondamento importante e costruttivo per sé e per l’intera famiglia.

Questa esperienza ha cambiato anche il suo modo di lavorare, vero?

Bassanetti: Certo. L’obiettivo non è soltanto il benessere, la salute di quel ragazzo o ragazza o adulto che sono pur sempre importantissimi. Insieme cerchiamo l’incontro con Dio, la salvezza personale, pur nella libertà delle scelte e nel rispetto dei linguaggi personali. L’esperienza dolorosa che ho vissuto con Camilla, perché nessun altro soffra le sue stesse pene, e questo lo offro per la sua intercessione, a favore di tutti i giovani in qualche modo bisognosi, e sono sicura che lei insieme con i ragazzi che sono in Cielo con lei, sta intercedendo per me.

Stefano_05In alcune parti dei suoi libri lei parla del dolore di Maria di fronte alla Passione e la morte di Gesù Crocifisso, perché?

Bassanetti: Credo che bisogna riflettere sul mistero di Maria, una madre che vede la passione, la morte e la Resurrezione di suo figlio. Bisogna sostare con Maria ai piedi della Croce e come lei senza timore penetrare il mistero della morte e alla luce di colui che l’ha vinta, sa trasfigurare ogni croce, nella sua Resurrezione.

Lei, la Madre dei dolori, che ben conosce il patire, che ben comprende ogni esistenza trafitta, lei per prima nella sua purezza e trasparenza, ha reso possibile a questo mistero di grazia di rivelarsi nella sua pienezza, nella sua più alta magnificenza. Lei per prima ha tenuto aperta la porta del suo cuore umano squarciato, perché la gioia divina scaturisse in tutto il suo splendore e l’opera di Dio si manifestasse in tutta la sua bellezza.

Per questo è testimone e modello umile e fedele di un mistero che va oltre ogni avversità e ogni tragedia umana, oltre ogni vita crocifissa. Secondo me, c’è in ogni cuore una preziosità che non va trascurata, né evitata, né banalizzata, né rimossa. E’ il cuore stesso di Maria, fonte zampillante di vita nuova, causa nostrae laetitiae, che dona a noi il suo bene più grande, il suo Gesù.

Lei sostiene anche che c’è un legame tra la famiglia, il dolore e l’Eucaristia. Ci spiega il nesso?

Bassanetti: Se la famiglia è una piccola chiesa domestica, come ha sottolineato Giovanni Paolo II, una famiglia colpita da un lutto tanto grande è un piccolo “tabernacolo vivente” che custodisce gelosamente l’Ostia santa e immacolata che si dona a noi. Il dono che si fa Eucaristia bene di grazia.

Ogni volta che un papà ed una mamma, una sorella o un fratello, un “povero più povero” cioè privato del suo bene più caro mi si accosta e mi apre il suo cuore trafitto, stanco di lacrime, mi prostro in silenziosa adorazione davanti all’Ostia che da quel tabernacolo si fa visibile. E ogni volta che qualcuno ravviva la mia ferita, si ravviva anche il miracolo della sua Presenza e la ricchezza che porta con sé.

(Fonte: www.zenit.org)

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“Con loro ho fatto i primi passi verso la luce, ed intravedere qualche spiraglio di speranza”

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 28/11/2013

Genitori01Navigando per internet alla ricerca di belle testimonianze di gente che ha incontrato Dio, mi sono imbattuto in questo sito, http://www.seminariodiferrara.com/genitorincammino/ il sito di un gruppo: “Genitori in Cammino” nato nel 1995 a Ferrara da genitori che, dopo la perdita prematura dei propri figli, hanno voluto intraprendere un cammino di fede, per cercare la serenità del cuore.

Qui http://www.seminariodiferrara.com/genitorincammino/testimonianze.htm le testimonianze belle, vere, toccanti di chi, in questo cammino ha imparato a ridare un senso alla propria vita devastata dal dolore più grande che si possa vivere, la perdita di un figlio.

Genitori02Tra le tante belle testimonianze che vi invito a leggere, vi riporto, a titolo di esempio, quella di Loretta

Sono, la mamma di Marcello.

Ho atteso anni prima che arrivasse questo desideratissimo figlio, poi finalmente è arrivato, ed è una creatura biondissima e bellissima, bambino adorato e felice, ma, purtroppo, solo prestato perché dopo diciotto meravigliosi anni il Signore ha deciso di riprenderselo.

Questo è successo l’8 settembre 1990 in un incidente stradale. Tutto il bello finisce, c’è solo buio, rabbia, dolore, disperazione.

Come si fa a vivere, non ci sono altri figli per cui valga la pena di fare qualcosa, non c’è più niente, non importa più niente.

Passano quattro anni di questa disperazione, sono anni terribili, instabili, devastanti, ho messo a durissima prova il matrimonio, la salute fisica e mentale.

Genitori03Un giorno arriva una lettera nella quale mi s’invita ad una Santa Messa a Ferrara, per ricordare tutti i ragazzi prematuramente deceduti. Vado accompagnata da il mio sacerdote don Alfredo Pizzi, (che mi è sempre stato vicino e che non ringrazierò mai abbastanza), ed in questa occasione, incredibilmente, inizia la mia rinascita.

Ho conosciuto genitori con i quali potevo condividere i miei pensieri, il mio stato d’animo, la grande fatica della quotidianità, la solitudine, le paure e, parlando ed ascoltando, ho iniziato a capire che solo così insieme si poteva sopportare questo dolore tanto profondo e imparare a convivere con una prova così grande.

Questo è stato l’incontro con i “Genitori in Cammino”. Con loro ho fatto i primi passi verso la luce, ed intravedere qualche spiraglio di speranza. Una delle cose più belle di quel periodo è stata la mia prima volta in Seminario, accolta da don Mario con la sua dolcezza, la sua grandissima umanità e la sua speciale sensibilità. Poi la prima Santa Messa in Seminario, una delle emozioni più grandi che non dimenticherò mai.

Genitori04Il Seminario è una seconda casa, è quel luogo dove ognuno di noi è libero di essere sé stesso, nessuno ti critica, nessuno ti giudica, nessuno si incuriosisce, ma scatta la molla della condivisione, dell’ascolto, della solidarietà, del conforto, della consolazione.

Ecco, la consolazione!

Alla prima Santa Messa in Seminario ho pianto tanto, ma sono state le lacrime più dolci e liberatorie della mia vita. Sono tornata a casa diversa

Dopo tanta solitudine, trovare persone dalle quali ti senti capita, questa consolazione mi è rimasta appiccicata come una seconda pelle, non mi ha più abbandonata, una sensazione sconosciuta ma meravigliosa.

Potersi appoggiare a qualcuno è stata un’illuminazione, non ero più una foglia al vento, ma sapevo esattamente dove andare, come andare e con chi andare.

È iniziato così il mio cammino di fede.

Ora so che il Signore, se io voglio, non mi abbandona mai, se io tendo la mano trovo la Sua che mi aiuta e mi sostiene.

Per tutto questo, e per tanto altro, ringrazio con tantissima gratitudine e riconoscenza don Mario, il gruppo “Genitori in Cammino” ed i seminaristi perché, ognuno per la loro parte, con la loro presenza costante e sicura sono state delle ancore di salvezza che mi hanno impedito di sprofondare in un qualcosa di non ritorno.

Roberto, mio marito, dopo l’incidente di Marcello si è buttato nel lavoro. Per qualche tempo ha seguito la squadra di calcio del nostro paese, una delle sue grandi passioni, un grande attaccamento durato trentadue anni, poi ha lasciato perché tutto questo non gli dava più niente, per cui è rimasto solo il lavoro, sempre il lavoro.

Genitori05Quando gli impegni glielo consentono partecipa alle diverse attività del gruppo “Genitori in Cammino” e quando non può le vive di riflesso, perché gli racconto tutto quello al quale partecipo.

È in “cammino” anche lui, con i suoi tempi, come credo sia giusto.

Ora, a distanza di quattordici anni e mezzo vissuti con tanta fatica, ma con tanto impegno e con tutto l’affetto che c’è fra noi, abbiamo trovato un certo equilibrio e stiamo imparando a convivere in questa situazione di assenza-presenza di Marcello, siamo fiduciosi, non disperati.

L’amore di Dio Padre, ci accompagni e ci protegga insieme ai nostri figli.

[Fonte: http://www.seminariodiferrara.com/genitorincammino/]

La Sede di “Genitori in Cammino” è presso il

SEMINARIO ARCIVESCOVILE DELL’ANNUNCIAZIONE

Via Giuseppe Fabbri N° 410

F E R R A R A

Come contattarli

Fax n° 0532/204883

Indirizzo e-mail: marche21@virgilio.it

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La buona battaglia

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 08/11/2013

Ho appena finito di leggere un libro.

Uno di quei libri che non trovi facilmente nelle librerie, anzi, non lo trovi affatto, purtroppo. Si intitola “La buona battaglia” ed è stato scritto da Susanna Bo, un’illustre sconosciuta che, man mano che leggevo, mi convinceva sempre di più di ciò che scriveva in modo chiaro, vero, migliore, molto migliore di quello di molti best-sellers di oggi.

E’ uno di quei libri che lasciano il segno…

All’inizio mi ha incuriosito perché lo stava leggendo una cara amica e collega, su consiglio di un sacerdote alle cui catechesi ci siamo nutriti entrambi, il mitico don Fabio Rosini dei Dieci Comandamenti.

susanna02

Rosa, così si chiama la mia collega, ogni mattina mi raccontava entusiasta un passo che l’aveva particolarmente colpita del libro, un libro che aveva fatto ridere e poi piangere e in alcuni momenti ridere e piangere allo stesso tempo molti lettori, e che ne rimaneva così sconvolta ed edificata da volerne regalare diverse copie ai suoi amici.

Ne prendi una anche per me? – è stata la mia richiesta, e dopo pochi giorni tornando dalle ferie, una copia di “LA BUONA BATTAGLIA” troneggiava sulla mia scrivania in attesa di essere letta..

E ha dovuto aspettare un paio di mesi, i due mesi più intensi dell’anno, trascorsi nel tentativo di gestire l’Alzheimer galoppante di mia zia, tra i doveri di marito, padre, lavoratore, che nel frattempo continuavano a frullarmi nel minipimer quotidiano della mia vita

Dio parla attraverso i canali più disparati, anche attraverso un libro, un libro denso, di una donna di fede che racconta suo marito, la sua malattia e morte, nella battaglia quotidiana tra la propria umanità e la necessità di affidare e affidarsi veramente del tutto a Dio.

Avendo assistito prima mia madre, poi mio padre morenti e in questo periodo mia zia con una forma avanzata di Alzheimer, ho finito con l’identificarmi con le dinamiche dell’autrice, e Dio solo sa quanto mi è stata utile, e quanto mi è utile, per vivere la sfida della sofferenza, nella fede.

Oggi, gironzolando per la rete ho scoperto che Susi (non la conosco personalmente ma dopo aver letto la sua storia non riuscirei mai a chiamarla Su-san-na-Bo) ha un blog: www.susannabo.it

Lascio a lei la parola perché più scrivo e più mi rendo conto che non riuscirei mai a dire ciò che lei scrive e nel modo in cui solo lei sa scrivere.

Susanna01Una volta ho letto che uno scrittore è una persona che scrive perché ha qualcosa da dire, altrimenti è solo un tizio che scrive per dire qualcosa.

Dev’essere per questo motivo che ho campato tranquillamente fino a 31 anni senza mai avvertire il bisogno sfrenato di darmi alla letteratura; essendo fra l’altro ligure, il risparmiare carta e inchiostro nella coscienza di non avere alcuna storia da raccontare mi è sempre sembrata una scelta quanto mai ovvia (si sa che noi liguri diamo un certo valore alla parola “risparmio”).

Poi, per la disgrazia di chi mi vive accanto, quella storia (vera) da raccontare è arrivata. L’ho intitolata “La buona battaglia”, nella speranza che San Paolo non mi chieda mai i diritti d’autore sul titolo. E di tutto quello che dirò da adesso con l’unico scopo di farmi pubblicità e di spingervi a comprare il mio libro, posso assicuravi che almeno una cosa è vera: è stato impossibile non scriverlo.

02corpotempiodellospiritoMi rendo perfettamente conto che non aver dato alla luce questo libro forse non sarebbe stata una perdita per l’umanità. Ma probabilmente lo sarebbe stata per due sue rappresentanti che rispondono al nome di Anna e Rachele, le figlie del protagonista maschile (e dell’autrice della storia, vabbè, dai diciamolo: alla fine ho ceduto alla tentazione del romanzo autobiografico).

Perché Anna e Rachele, senza “La buona battaglia”, forse non avrebbero mai saputo davvero chi era il loro papà; quali erano i suoi gusti, le sue passioni, i suoi difetti, perché diceva sempre che tutti gli ingegneri sono degli emeriti imbecilli pur essendo anche lui uno di loro; e soprattutto come avesse potuto, a 33 anni, morire di tumore senza maledire Dio, la vita o il destino infausto, ma riuscendo sempre, e nonostante tutto, a guardare oltre: a quella Speranza che non delude – quella di cui tutti, credenti e non credenti, abbiamo bisogno – non sottraendosi a quella “buona battaglia” della fede che dà sale alla vita, anche quando questa sembra farsi matrigna.

Bè, perdonatemi se la mia presentazione vi risulterà più che altro un messaggio promozionale per il libro sconosciuto di un’esordiente sconosciuta pubblicata da una casa editrice semi-sconosciuta (Edizioni Chirico, di Napoli). Ma, vedendo quanto ho amato scrivere questa storia, mi è venuto da chiedermi se, per caso, qualcuno prima o poi non avrebbe amato leggerla. Magari mi sono sbagliata. O magari no. (www.susannabo.it)

Io direi che non si è per niente sbagliata…

E voi?

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Il luogo dove io ritrovo mia figlia è durante la Messa, là io sento veramente la comunione con lei e con tutti gli abitanti del cielo

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 30/09/2013

Sara Mariucci alla Vita in Diretta testimonia come la fede aiuti a vivere senza disperazione anche il dolore più grande, quello della perdita di una figlia, la piccola Sara, tre anni e mezzo, morta folgorata da una scossa elettrica in una giostra, il 5 Agosto 2006.

La piccola, il giorno prima, disse qualcosa di incredibile… Vi invito a guardare il video per capire questa bella storia di dolore, amore, e incredibile dialogo e collaborazione tra cielo e terra

Non eravamo persone particolarmente credenti... Sara sarà entrata in Chiesa si e no due o tre volte in vita sua…

Mio marito scopre su internet che la Madonna con il titolo di Mamma Morena viene venerata in Bolivia e la sua festa ufficiale è proprio il 5 Agosto, il giorno in cui Sara è nata in cielo.

In questa sofferenza non sono stata mai nel buio perché ho sentito subito che Sara non aveva smesso di esistere.

Non è soltanto un sentire, ma abbiamo un nome e una data che Sara ci ha detto… cose tangibili… Le “Dio-incidenze” sono state tante

Maria che si è presentata a Sara ci ha condotto comunque a Gesù… Il luogo dove io ritrovo mia figlia è durante la Messa, là io sento veramente la comunione con lei e con tutti gli abitanti del cielo, e questa è una grazia che il Signore mi ha fatto.

E in questa sofferenza, noi due, io e mio marito, non siamo disperati, siamo sofferenti, ripeto, ma non c’è disperazione. La disperazione c’è quando un qualcosa finisce, non c’è più, e invece non è così perché noi sappiamo che la vita di Sara continua, è una vita piena e lei lassù è una bambina che lavora… Io in questo mi sento veramente una mamma fortunata, nonostante la sofferenza.

Abbiamo altri quattro figli (…) qualcuno avrà potuto pensare che è una forma di compensazione, io in tre anni ho avuto tre figli, però non è così perché questi tre figli nati dopo sono veramente frutto di questa fede che abbiamo ricevuto.

Ovvero, se io non avessi avuto la fede che ho oggi non avrei mai pensato di mettere al mondo altri figli, anche perché, a cosa li consegno? Alla morte? Al niente? Io so che li consegno al Paradiso che aspetta comunque tutti noi. Io ho avuto la forza e il coraggio, la fede per metterne al mondo altri, accettando la sfida, perché è una sfida crescerli, anche il rischio di soffrire ancora.

La sofferenza va accettata ma non ci deve essere disperazione. Ci dev’essere sempre questa speranza che noi li ritroveremo, ci ritroveremo.

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