FERMENTI CATTOLICI VIVI

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Posts Tagged ‘#noallaborto’

«Ero apostata, perseguitavo i cristiani, io ero la più anticlericale che si possa essere, femminista e pro-aborto.»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 21/10/2019

Infermiera abortista, anticlericale e femminista: si converte grazie all’incontro con le suore di Madre Teresa

Un articolo un po’ lunghetto che però vale davvero la pena di legger fino in fondo. Consiglio anche la visione del video alla fine.

Maria è il nuovo nome che questa donna ha voluto per sé, dopo la sua conversione e rinascita spirituale e fisica. Quando viveva nel buio più profondo (era arrivata ad ammalarsi e a tentare il suicidio), si chiamava Amaia, e ora a 45 anni racconta l’incontro inaspettato e prodigioso con Dio, che l’ha guarita e riportata in vita.

Questa infermiera di Bilbao praticava aborti in quantità ogni giorno: oggi è una fervente cattolica che ha incontrato GESU’ durante la Santa Messa, a cui non voleva partecipare, ma “per caso” si trovò in quella chiesa, in quel giorno, in un angolo sperduto del mondo, a Kathmandu, in Nepal, grazie ad alcune suore Missionarie della Carità di Madre Teresa.

In una testimonianza dettagliata che ha raccontato durante la Settimana della Famiglia 2019 nella diocesi di San Sebastian, Maria Martinez ha ricordato che “ero apostata, perseguitavo i cristiani, io ero la più anticlericale che si possa essere, femminista e pro-aborto…”.

Ma soprattutto, questa donna ha spiegato il fatto che ha segnato profondamente la sua vita. “Queste mani”, sottolineò, “erano macchiate di sangue innocente. Ho lavorato in una clinica per aborti per anni praticando l’aborto come infermiera “.

All’inizio, Maria (il suo nome era Amaia) lavorava come infermiera in una clinica, conosciuta con il nome di “Pianta del cielo”, in cui doveva accompagnare e seguire le coppie con donne incinte. Ma poi dovette scendere alla “pianta dell’inferno”, in cui venivano praticati gli aborti.

Lei era quella che per anni ogni mattina, dal lunedì al giovedì, aiutava il ginecologo a compiere centinaia di aborti. “Ogni mattina ricevevo donne incinte e le mandavo via senza il loro bambino”. – “La cosa fondamentale era far sì che le donne non dessero problemi, questo era il mio lavoro”, ha spiegato Maria. E ogni 15 minuti una donna andava in sala operatoria. Prima, ha aggiunto, “il mio compito era quello di isolare la donna in modo che non cambiasse idea, la toglievamo dalla realtà”.

Una volta arrivati in sala operatoria, molti tremavano, ma non a causa del freddo ma a causa della paura. “Si doveva procedere con il massacro”, ha sottolineato l’infermiera, “era una vera e propria caccia al bambino, al suo smembramento. Prima viene rotta la placenta in modo da far fuoriuscire il liquido amniotico, poi vengono introdotti i dilatatori per distruggere la vita all’interno, la gabbia toracica, il cranio, le braccia, le gambe vengono rotte, tutto deve essere annullato per essere risucchiato nel vuoto e poi cadere in un secchio.”

A volte ritornava a casa con la mano violacea, a causa della forza della sua presa, dato che lei doveva essere il sostegno delle donne che avevano abortito.

Ma Maria oggi rivela che “quelle donne non erano consapevoli che avevano scelto la strada dell’omicidio e del male totale. La mia coscienza era sonnecchiante sotto uno strato di menzogne, credendo che stavo facendo la cosa giusta e che stavo facendo il bene quella donna. “

Un giorno Maria si paralizzò, quando vide il piede di uno dei bambini abortiti nel secchio, perché fino ad allora cercava di convincersi che erano solo grumi di cellule. ” Ma quando vivi nelle tenebre, il tuo cuore diventa molto duro. Il mio era già molto impietrito. I miei capelli hanno iniziato a cadere e in quel periodo ho avuto anche la calvizie “.

Per provare a scrollarsi di dosso il male che stava facendo, Maria cominciò a correre perché ” quando sei sopraffatto dal disgusto per il male che hai fatto, provi a fare qualcosa per scacciarlo da te stesso, cercando di dimenticare, ma lui continua a perseguitarti”.

Aveva 27 anni e si sposò quando decise che voleva continuare a fare progressi e andò a studiare Fisioterapia a Barcellona. A Bilbao lasciò alle spalle l’aborto, cercando di scrollarselo di dosso, ma poi si trovò di fronte alla rovina del suo matrimonio. Tre anni dopo le nozze, suo marito era molto cambiato, da quando aveva aperto un consultorio con grande successo. La fama e i soldi lo avevano portato a cambiare amicizie e a passare da una festa all’altra.

Maria di nuovo tentò la fuga dal dolore e dai problemi, continuando a scappare e a correre: così ha cominciato a viaggiare per il mondo, facendo escursioni in foreste e arrampicandosi sulle montagne più impervie, cercando l’adrenalina nello sfidare il limite della morte. Ma poi un giorno, l’11 gennaio 2017, suo marito le disse che voleva lasciarla e la abbandonò andandosene di casa.

Pochi giorni dopo, Maria tentò il suicidio: “Quando ti trovi nel vuoto, senti solo un sussurro e chi sussurra dentro di te ti dice che non c’è speranza”. Ma in quel momento ricevette una telefonata. Era una guida nepalese con la quale stava facendo una rotta sull’Himalaya. Dopo il terremoto, c’era bisogno di personale sanitario che fosse anche disposto a muoversi sulla montagna. C’era bisogno di lei perché aveva tutti i requisiti necessari.

Anticattolica com’era, Maria si fece coinvolgere molto dalla spiritualità buddhista. Dopo un periodo di permanenza nel paese, si verificò un evento che sarebbe diventato provvidenziale per lei. Il monsone stava avanzando e, a causa delle valanghe di pietra che si riversavano sulle strade, Maria fu costretta a rimanere nella capitale nepalese e non in montagna come era il suo obiettivo iniziale.

Recandosi in visita ad alcuni spagnoli in viaggio in Nepal, un giorno si rese conto che accanto ad un tempio buddista c’era una casetta da cui provenivano dei forti gemiti. Le spiegarono che era un posto dove morivano i più poveri e solo le suore Missionarie della Carità di Madre Teresa potevano entrare in quel luogo. “Odiavo Madre Teresa perché ero un dottore e ricordavo come lei lavorava e per me era il contrario”, ha ricordato nella sua testimonianza.

Pochi giorni dopo, a un bivio, si imbatté in due di queste suore di Madre Teresa. Maria ha raccontato: “Sono venute direttamente da me. Una mi ha afferrato per un braccio, un’altra mi ha bloccata e mi ha detto che dovevo andare con loro da qualche parte per aiutarle”. Maria non voleva sapere nulla delle suore cattoliche e disse loro di lasciarla in pace, così le suore salirono su un autobus e se ne andarono. Tuttavia, quella notte “lo Spirito Santo non mi ha permesso di dormire”. Si svegliò all’alba e con la guida tornò all’incrocio dove le aveva incontrate.

La conversione totale durante la Santa Messa

Alla fine trovò la casa delle Missionarie e alla porta le venne incontro la suora conosciuta il giorno precedente: “Era ora!”, fu la prima cosa che le disse la suora Missionaria della Carità. Ma con sua sorpresa, Maria quel giorno non poteva essere ricevuta per un colloquio, ma solo il giorno dopo alle sei del mattino, dopo la Santa Messa, a cui doveva partecipare.

Maria molto infastidita, non poteva credere a quello che le avevano detto. Ma la mattina dopo era lì mezz’ora prima dell’appuntamento in programma. Nella cappella vide le nove suore inginocchiate ed un sacerdote. Maria non parlava inglese quindi non capiva nulla, ma poi arrivò il momento fulminante che avrebbe provocato la sua conversione. Non sarebbero trascorsi cinque minuti dall’inizio della celebrazione dell’Eucaristia, quando: “Sentivo un’emozione nel mio cuore, una voce che mi diceva: ‘Benvenuta a casa’.

Quando l’ho sentito, ho cercato intorno a me chi poteva aver parlato e mi dicevo che forse ero sconvolta, a causa dell’altitudine. Ma poi ho sentito di nuovo: “Benvenuta a casa, quanto tempo ci hai messo ad amarMI !”.

A quel punto capii da dove proveniva quella Voce e a Chi dovevo guardare: la Croce. Caddi in ginocchio a terra e potei solo piangere, piangere e piangere. Stavo piangendo a causa di quella immensa e profonda tristezza dentro di me, causata dall’aver preso le distanze dall’Amore. Ho anche gridato di immensa gioia perché stavo vivendo la misericordia di Dio “.

Maria ricordò come in quel momento “c’era grande pace nel mio cuore. Mi sono sentita perdonata, mi sono sentito amata, benedetta, resuscitata… ” Senza rendersene conto, erano passate tre ore, anche se a lei erano sembrati solo secondi. Alzando gli occhi, notò che tutte le suore erano al suo fianco in preghiera, consapevoli del miracolo che stava avvenendo.

“Dio mi ha restituito alla terra dei viventi”

“Quando alzai la fronte il mio sorriso, i miei occhi, la mia pelle, tutto in me era ritornato in vita, perché Dio mi aveva restituito alla terra dei viventi. Poi le suore che avevano pregato, mi hanno detto che da quel momento mi sarei chiamata Maria“, ha raccontato questa donna, spiegando perché aveva deciso di non chiamarsi più Amaia.

Solo allora poteva comprendere perché quelle suore le erano andate incontro a quell’incrocio e la avevano fermata. Le Missionarie della Carità lo avevano chiamato il “miracolo di Maria”. L’intera comunità aveva pregato la Madonna per un anno affinché arrivasse un volontario che fosse anche un fisioterapista. ” Lo Spirito Santo, quando ti ho vista quel giorno, mi ha detto: ‘E’ Lei ‘,” le rivelò la suora che quel giorno per strada la aveva trattenuta per un braccio.Risultato dell’immagine dei missionari del nepal di beneficenza

È rimasta con loro per quattro mesi e con queste suore Maria è stata in grado di capire veramente a quale dignità Dio la aveva chiamata e con quanto Amore la aveva aspettata. Poi le suore di Madre Teresa hanno detto a Maria che doveva tornare in Spagna, perché lì Dio aveva una missione per lei.

Maria doveva consolidare questa conversione e recuperare il suo matrimonio.

A Medina de Pomar ha incontrato altre suore di Madre Teresa che sono diventate il suo sostegno nel cammino di fede e di recupero della sua vita. Con loro, Maria ha cominciato un percorso di preghiera per suo marito e per recuperare il suo matrimonio, il prossimo passo di questa donna completamente rinnovata e finalmente felice.

(Fonte https://www.religionenlibertad.com/personajes/875809213/Practicaba-abortos-era-anticlerical-y-feminista-pero-en-una-misa-con-unas-monjas-cayo-fulminada.html?fbclid=IwAR2mWtqteWneKSbqdujaOnkmABuFayZHJ9XQHDovD2zQf8V4CzFW_zvnDmI)

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«Il problema è che lo vuole morto…»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 31/01/2019

La Dottoressa De Mari con la sua solita chiarezza e con coraggio, illustra i “progressi” statunitensi nell’ambito dei diritti umani.

Ascoltiamola attentamente e sosteniamola con la preghiera!

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«Volevo abortire, poi ho letto il suo post e ho cambiato idea.»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 22/01/2019

Silvana De Mari è una dottoressa che difende la vita col coraggio del “politically incorrect”; in passato ho condiviso nel blog una sua testimonianza forte quanto autentica del suo percorso da medico abortista a strenuo difensore della vita dal suo inizio al suo termine naturale.

Può piacere o meno il suo modo diretto e asciutto di dire le cose come stanno, ma a me non disturba, anche perché è una delle poche persone col coraggio di farlo, impegnando tempo ed energie, mettendoci la faccia nonostante i tanti attacchi di chi la pensa come il pensiero dominante.

La seguo sui social ed è per questo che condivido con piacere un suo post che ci aiuta a capire il vero senso di ogni attivismo a difesa della vita, basta una persona…

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«Dentro o fuori dal corpo, il cuore di mia figlia batteva e non mi sono sentita di fermarlo»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 14/09/2018

Il miracolo di Vanellope, la bambina nata con il cuore fuori dal petto, che condivido con tanta gioia e con l’invito a pregare per lei e per questa famiglia coraggiosa e aperta alla vita.

I genitori rifiutarono l’aborto nonostante il parere dei medici e oggi, dopo un anno di cure e interventi, la loro piccola sta bene ed è finalmente tornata a casa. Che bello!

“Non può farcela” è la frase che Dean Wilkins, 44 anni, e Naomi Findlay, 32 hanno sentito rimbombare nella testa da quando durante un’ecografia – momento magico per ogni coppia che aspetta un figlio – i medici diagnosticarono alla loro bambina una rara condizione: la “ectopia cordis”: l’assenza della cassa toracica con il cuore di conseguenza collocato fuori dal corpo.

Il coraggio dei genitori di dire no all’aborto

E nonostante la ferma decisione dei genitori di non abortire, ipotesi più volte proposta loro dai dottori, chissà quante altre volte avranno dovuto udire quelle tre parole maledette, dure come macigni: “Non può farcela”. Ma il 22 novembre 2017 la loro piccola Vanellope Hope è nata e come ogni mamma e papà il loro cuore è scoppiato di gioia e paura.

Un intervento complesso

Un corpo così fragile come può sopravvivere? La domanda dei medici, dei parenti, degli amici. E invece la bambina si è attaccata alla vita – battagliera e coraggiosa come i suoi genitori – e beffandosi della condanna a morte già scritta e delle statistiche, ha subito un’operazione delicata e complessa un’ora dopo la sua venuta al mondo e miracolosamente ce l’ha fatta. Un evento unico! Sono infatti pochissimi i neonati in tutto il mondo che, nelle sue stesse condizioni, sono sopravvissuti. (Messaggero)

Riportare il cuore all’interno del corpo

Durante l’intervento il cuore è stato riportato all’interno del corpo e ha cominciato finalmente a battere al sicuro. Uno staff di 50 persone ha preso parte all’operazione eseguita presso il Glenfield Hospital di Leicester. Vanellope ha dovuto subire altre delicate operazioni.

In questi giorni, dopo quasi un anno, la piccola Vanellope Hope (questo il nome completo e che si chiami Speranza non è un caso) è finalmente tornata a casa.

L’amore della famiglia

La notizia è bellissima ma lo è ancora di più la testimonianza di questi genitori che hanno accolto e protetto la loro bambina fin dal concepimento senza cadere nell’inganno dell’aborto, lottando per lei con coraggio e credendo che la sua vita fosse comunque preziosa. Quando Vanellope sarà grande e conoscerà la sua storia sarà fiera di avere una mamma e un papà che l’hanno considerata un dono unico ed inestimabile.

“Dentro o fuori dal corpo, il cuore di mia figlia batteva e non mi sono sentita di fermarlo” aveva affermato Naomi (Repubblica)

Cresci sicura e libera, hai un cuore grande per amare, piccolo miracolo!

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«La vita di Gregorio è un lume e come tale non possiamo tenerlo sotto il moggio»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 04/07/2017

«Ci chiamiamo Jacopo e Giuditta Coghe, ci siamo sposati il 28 Dicembre 2008 e quel giorno sapevamo che Dio Padre ci avrebbe mostrato meraviglie, ma non avremmo mai potuto immaginare di vedere i Cieli aperti sopra di noi. Dopo circa due anni di matrimonio sembravano non arrivare figli, cercammo perciò di capire la causa di questa infertilità, ma gli esiti degli esami non erano buoni.

Ci recammo allora a Norcia, al santuario della casa natale dei Santi Benedetto e Scolastica dove chiedemmo a Dio la Grazia di donarci un figlio, promettendo di consacrare a Lui la sua vita. Pochi giorni dopo ci sottoponemmo ad una visita presso il Policlinico Gemelli e qui ci venne dato esito negativo sulla possibilità di generare senza l’aiuto di trattamenti medici.

Era il 4 Ottobre del 2010 e nel grembo di Giuditta era già vivo il nostro primo figlio, Benedetto, ma noi ancora non lo sapevamo. Questo Dono che Dio ci stava facendo cominciò immediatamente a portare frutti perché rafforzò la nostra fede e ci permise di ripensare tutte le nostre priorità e adeguare i nostri progetti all’accoglienza di una nuova vita. Prendemmo quindi con gioia la decisione che Giuditta non avrebbe più lavorato per dedicarsi completamente alla famiglia. Non volevamo rinunciare nemmeno in parte all’impegno e alla gioia di crescere personalmente nostro figlio.

Il 9 Giugno 2011 nacque Benedetto, dopo un lungo travaglio e varie complicazioni durante il parto. Il suo arrivo fu per tutta la famiglia una gioia indescrivibile e accrebbe ancora di più in noi il desiderio di moltiplicare questa Grazia. Così dopo dieci mesi dalla sua nascita scoprimmo di aspettare la nostra secondogenita, Brigida, nata anche lei di parto cesareo e viva miracolosamente nonostante un nodo vero al cordone ombelicale: era il 4 Gennaio del 2013.

L’arrivo di questa nuova creatura ci insegnò che ogni figlio che viene al mondo non ci toglie nulla, anzi dona, moltiplica e aumenta tutto: l’amore, la Provvidenza, le energie e le gioie di ogni membro della famiglia. Ci siamo resi conto di quanto ogni momento passato con i nostri figli sia un dono, mentre intorno a noi l’accanimento contro la vita e l’odio per la famiglia aumenta.

L’esperienza di crescere i nostri figli in questa società disorientata e assoggettata ad un relativismo assoluto ci convinse ad impegnarci attivamente in difesa della famiglia naturale e della libertà di educazione, e, in questi mesi d’intenso lavoro e proficuo sacrificio, Dio Padre volle portare avanti la Sua opera con noi: l’8 Ottobre del 2013 scoprimmo infatti di aspettare il nostro terzo figlio. A sole 8 settimane di gestazione però Agostino fu richiamato in Cielo.

Professor Giuseppe Noia, neonatologo e ginecologo presso il Policlinico Gemelli di Roma

La separazione da lui fu una grande sofferenza, ma la certezza del valore inestimabile della Vita umana già dal grembo materno, a prescindere dalla sua durata, è stata per noi di enorme consolazione. Dopo un solo un mese da questi fatti scoprimmo di aspettare il nostro quarto figlio, Gregorio. Questa volta la gravidanza iniziò senza apparenti problemi, ma verso la dodicesima settimana di gravidanza Giuditta cominciò ad accusare dei dolori. Perciò ci recammo all’ospedale di Terni, sua città Natale, per una visita di controllo: era il 3 Aprile del 2014.

I medici capirono subito che c’erano seri problemi, infatti il liquido amniotico era praticamente assente. Fu ipotizzata una rottura del sacco e Giuditta fu ricoverata e costretta all’immobilità assoluta. I medici ci dissero che il bambino sarebbe morto entro poche ore e con estrema naturalezza ci consigliarono di abortire subito.

In quel momento Giuditta era sola di fronte al medico il quale, senza nemmeno aver valutato lo stato di salute del bambino, la invitò a “liberarsi” di quel problema, come se fosse semplicemente un dente cariato.

Ci rifiutammo però di buttare via il nostro bambino e ci affidammo con tutte le forze a Santa Gianna Beretta Molla perché con la sua intercessione e il suo esempio ci guidasse. I giorni passavano e sotto gli occhi stupiti dei medici la gravidanza proseguiva: senza liquido e senza poter valutare il piccolo.

Grazie all’esperienza e al sostegno del Prof. Giuseppe Noia, riuscimmo a trasferirci al Policlinico Gemelli dove effettuammo dei trattamenti per tentare di valutare lo stato di salute del bambino. Per difendere la sua vita fummo chiamati ad affrontare tante prove, diversi mesi di ospedale, attese e silenzi infiniti, la lontananza dai bambini e soprattutto l’attacco costante e deciso del Nemico che tentava di convincerci che la vita di questo bambino non aveva senso, che era meglio uccidere che accogliere un figlio che di certo sarebbe morto subito e che eliminare nel grembo della madre una creatura innocente fosse una “terapia” indolore per liberarsi di una seccatura.

Dopo circa due mesi arrivò la diagnosi: agenesia renale bilaterale, ovvero l’assenza di entrambi i reni. Fummo informati del fatto che, se fosse riuscito ad arrivare al termine della gravidanza, il nostro bambino sarebbe di certo morto subito non potendo respirare da solo. In quel momento parve che il Cielo si chiudesse sopra di noi. Il dolore, l’incapacità di comprendere, l’angoscia per un figlio sofferente e la paura per un altro parto che si prospettava ancora più difficile sembrò per un attimo soffocarci.

Era giunto il momento della prova, quella prova in cui un cristiano è chiamato a dare ragione della sua fede e nella quale solo la Grazia può sostenerti. Tante persone ci dicevano che eravamo coraggiosi o bravi ad aver scelto di “tenere” questo bambino nonostante tutto, tante altre invece ci reputavano folli, egoisti e incoscienti, ma la verità è che non siamo stati nulla di tutto questo, abbiamo agito semplicemente come agirebbero un papà e una mamma, cioè abbiamo accolto e protetto nostro figlio come un dono prezioso.

Nonostante ogni previsione il bambino cresceva e ogni volta che Giuditta era triste e angosciata lui non mancava di farsi sentire, come a voler dire: “Mamma, io ci sono, sono vivo, sono dentro di te e ti amo!”. La consolazione che derivava da ogni suo piccolo calcetto è stata un’esperienza indescrivibile. La forza della Vita prepotentemente si faceva avanti e ci chiamava ad accoglierla ed amarla.

Fummo chiamati al difficile compito di dare un senso alla vita di questo bambino anche di fronte ai suoi fratellini, che lo attendevano con ansia per abbracciarlo e ai quali abbiamo spiegato che solo per un momento ci saremmo allontanati da lui, perché ci aspettava in Cielo e che lo offrivamo con gioia a Dio per amore di Gesù.

Arrivò quindi il 26 Agosto 2014, giorno stabilito per il cesareo, giorno della nascita al mondo e al Cielo del nostro piccolo Santo. Il personale del Policlinico si presentò aperto e disponibilissimo, ci fu permesso di far entrare lo zio Diacono per battezzare il piccolo appena fosse nato.

Fu consentito a Jacopo di assistere dal corridoio per poter salutare suo figlio e fu permesso ai meravigliosi operatori della Quercia Millenaria Sabrina e Carlo Paluzzi, di poter tenere la mano di Giuditta nella sala operatoria durante tutto l’intervento. Alle 10 e 40 un pianto pieno di vita ruppe il nostro silenzio e la nostra angoscia: “E’ un maschio!”.

Era nostro figlio, era Gregorio ed era vivo! Fu subito visitato e ne fu appurata l’inaspettata vitalità, fu quindi battezzato con grande consolazione e gioia di noi tutti, poi fu posto tra le braccia del suo papà che con amore e tremore lo contemplò come un mistero infinitamente più grande di noi.

Poi rientrato in sala parto fu il momento della mamma che poté baciarlo, tenerlo con lei e cantargli una ninna nanna, come aveva fatto per gli altri suoi figli. Fu anche inaspettatamente consentito ai parenti di conoscerlo e salutarlo. Contrariamente ad ogni aspettativa la nostra vita con lui durò ben 40 minuti, durante i quali fu amato e coccolato. Lo pregammo di intercedere per noi e per i suoi fratelli e senza che ce ne accorgessimo, dalle braccia del suo papà terreno passò a quelle del Padre Celeste.

Santa Gianna Beretta Molla

Questa fu la vita che Dio aveva previsto per il nostro Gregorio e che noi genitori gli abbiamo semplicemente lasciato vivere, una vita che ha riempito il cuore di tante persone e che con nostro grande stupore continua a fare. Gregorio è passato per questa terra e ci ha mostrato con la sua santità la via del Cielo; è passato nelle nostre vite con la forza di un guerriero mostrandoci che i piani del Signore sono piani di Amore. Gregorio è stato festeggiato dalla Chiesa come un Santo, le campane hanno suonato a festa per lui, la santa Messa che abbiamo celebrato è stata quella degli Angeli, nella cui compagnia ora si trova per l’eternità. Il nostro cuore è stato consolato ed è in Pace, nonostante la mancanza fisica che inevitabilmente soffriamo.

Questo non sarebbe stato possibile se quel 3 Aprile del 2014 avessimo deciso che la vita di Gregorio non era abbastanza importante per proseguire, se Giuditta avesse deciso che il suo grembo, invece di essere la culla che accoglieva e nutriva suo figlio, sarebbe diventato la sua tomba. La vita di Gregorio è un lume e come tale non possiamo tenerlo sotto il moggio: è per questo che abbiamo deciso di condividere la storia del nostro piccolo santo con quanti vorranno.»

Jacopo e Giuditta Coghe

(Fonte: http://www.laquerciamillenaria.org/)

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