Quando sono arrivata al Caritas Baby Hospital non avevo nessuna esperienza con i bambini. Ne avevo tanta con gli adulti. Anni di lavoro in Ospedale con loro mi hanno reso esperta e sapevo come “muovermi” senza sentirmi a disagio. Ma arrivata qui a Betlemme mi sono sentita persa, mi sono trovata e dover ri-vedere e ri-disegnare una modalità di approccio che mi era estranea.
Il bambino ha un mondo tutto suo che noi adulti facciamo fatica a capire, pur essendo stati bambini anche noi, ma con il passare degli anni ci si dimentica e si costruiscono delle sovrastrutture mentali che offuscano anche gli occhi del cuore.
Ho avuto bisogno di parecchio tempo prima di riuscire a sintonizzarmi nella lunghezza d’onda dei piccoli, nel cercare di guardare il mondo, la vita dal loro orizzonte, secondo i loro occhi, il battito del loro cuore, ed e’ stata ed e’ un’esperienza meravigliosa.
Avere a che fare con un bambino significa SCENDERE, noi adulti invece lottiamo per salire!
Scendere fino al suo livello, fino ad incrociare i suoi occhietti. A volte si e’ costretti ad “accucciarsi”, (non trovo un termine più adatto per dire il movimento che un bambino ci costringe a fare) per poter essere faccia a faccia con lui, o addirittura strisciare per terra per incontrarlo.
E quando si riesce ad incontrare un piccolo, non si scende solo fisicamente ma si arriva a perdere le categorie artefatte dell’adultità (le sovrastrutture) per guardare il mondo da una prospettiva diversa, più vera, più naturale, più umana, meno ingarbugliata dei nostri ragionamenti senza fine, piu’ autentica ed aperta ad un’accoglienza che non fa differenze, che non calcola, piu’ leale e spontanea, piu’ gioiosa, dove tutto e’ scoperta positiva.
Scendere per incontrare un bambino allora non e’ perdere ma imparare una lezione di vita che solo loro, i piccoli possono insegnarci. E la fragilità di un bambino diventa fortezza perchè mi fa vedere la mia fragilita’, quanto io, uomo/donna adulto sono lontano dalla mia chiamata iniziale, quella dell’essere, pensato da Dio nell’atto della creazione “e vide che era cosa molto buona” e così le parti si invertono, i ruoli si scambiano; loro i piccoli che consideriamo fragili, vulnerabili diventano invece i nostri accusatori ma anche i nostri modelli “se non diventerete come bambini non avete accesso al Regno dei cieli”.
Lavorando poi qui al Caritas Baby Hospital oltre a scendere ho capito che un bambino, specie se malato, mi costringe a non rimanere nella superficie ma andare in profondità per trovare una risposta, qualora ci sia davvero, alle mille domande che lavorando in un ospedale pediatrico ci si pone con l’aggiunta di altre dettate dalla situazione di Betlemme. Scendere fino al nucleo all’essenza della propria esistenza.
Come dicevo ho lavorato con adulti ma il bambino ti scaraventa giù con violenza verso un apparente abisso che non ha nessun appiglio per fermare la caduta. Perché la malattia di un bambino? Perché il dolore innocente? Perché la morte, quella dovuta alla patologia infausta e/o quella dovuta ad una lastra di cemento che non ha permesso al bambino di andare in un ospedale chirurgico?
Non e’ facile trovare una risposta, ammesso che ci sia e proprio questa difficoltà ti costringe a rivedere il tuo concetto di vita e di morte, di dolore e di sofferenza, di male e di bene, di paura di quella fragilità che ci accompagna fin dalla nascita ma che, con il passare del tempo rivestiamo di solidità, di potenza, di fortezza, di coraggio! E se guardo a come un bambino guarda a queste realtà, o vive queste dimensioni per noi adulti apparentemente in perdita, ancora una volta mi e’ maestro, ancora una volta mi da’ lezioni di vita che non si trovano scritte in nessun libro.
Ancora una volta la fragilità/potenza dei piccoli diventa opportunità di guardare all’esistenza e ai suoi “accidenti” con occhi di chi affronta queste situazioni come parte integrante della creazione che “è cosa molto buona”, come realtà che fanno parte di un gioco, di un gioco che però nonostante tutto porta a vincere.
È questo il messaggio che ricevo ogni giorno dai “miei” piccoli che poi è lo stesso messaggio del bambino Gesù che ha fatto della sua fragilità nella Grotta di Betlemme una forza d’amore dalla croce nel Calvario.
Suor Donatella Lessio
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