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La più grande cosa che tu possa fare è pregare
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 25/04/2018
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“Il più forte sarà sempre chi mette le mani giunte”…
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 29/10/2014
…diceva Kierkegaard. Ecco perché sarebbe da incoscienti escludere la preghiera dall’educazione dei nostri figli.
Sulla preghiera girano tanti pregiudizi che la mettono in pessima luce.
Alcuni pensano che sia un gargarismo di parola, altri un guasto senile. I più raffinati la considerano un trucco psicologico, la maggioranza sostiene che sia la cosa più noiosa al mondo!
I genitori ‘egregi’ (fuori dal gregge), invece, si AGGRAPPANO alla preghiera perché hanno sperimentato (sta qui la forza della loro argomentazione!) che la preghiera è una forza che ha il potere di risolvere crisi di nervi, momenti di depressione, noie, malumori…
Questa loro esperienza diretta li porta a dar ragione al grande filosofo danese Soeren Kierkegaard il quale non aveva dubbi: “Il più forte sarà sempre chi mette le mani giunte”.
I genitori-salmoni non solo si aggrappano alla preghiera ma la difendono anche, con la forza!
La difendono perché la preghiera è una grande riserva di valori pedagogici.
– La preghiera ricorda che esiste il ‘grazie!’ (pregare non è chiedere l’elemosina a Dio, è, soprattutto, ringraziarlo).
– La preghiera tiene desta la meraviglia (pregare è stupirci, complimentarci con Dio).
– La preghiera dilata l’io (pregare è aprire le persiane: se non si fa bontà, è segno che c’è qualcosa che non va!).
– La preghiera cura, guarisce, tonifica (il grande protagonista dell’indipendenza indiana Gandhi, ha confidato: “Più volte sarei diventato pazzo se non avessi avuto la preghiera!”).
Ecco quattro preziosi doni che ci vengono dalla preghiera!
- Sarebbe da incoscienti escluderla dall’educazione! I genitori-salmoni non sono incoscienti! Sono sapienti: per questo riservano al verbo pregare un capitolo importante della loro arte di educare. Sanno che, fin dalla prima infanzia, si può educare alle mani giunte e conoscono bene alcune strategie.
- Accettano il modo di pregare del bambino perché non associ mai ‘preghiera’ e ‘noia’. Sarebbe rovinare tutto! Accettano quindi che il bambino preghi con tutto se stesso, anima e corpo (che allunghi le braccia, che alzi le mani, che mandi un bacio…); accettano che le sue preghiere siano semplici (‘Grazie, Gesù, perché oggi ho visto due farfalle!’…); accettano che abbiamo un’attenzione lunga quanto un francobollo e che quindi non possa pregare a lungo…
- Qualche volta portano il piccolo nella chiesa silenziosa e grande, gli sussurrano una preghiera brevissima, gli fanno accendere un cero alla Madonna (tutte esperienze che hanno per il bambino il fascino del mistero e gli fanno intuire la trascendenza: l’esistenza, cioè, di realtà che superano la nostra capacità mentale).
- Alcuni genitori sono così convinti dell’importanza delle mani giunte che allestiscono nella loro casa un bel ‘punto-preghiera’, ove andare per fermarsi, raccogliersi, parlare con Dio.
Soprattutto, per educare alla preghiera, padre e madre si fanno sorprendere a pregare dai figli!
E’ impossibile, infatti, che un piccolo, vedendo papà e mamma che stanno pregando raccolti, attenti, concentrati, non venga contagiato e si metta, lui pure, a pregare.
Allora la scena diventa stupenda:
una famiglia unita nella preghiera…
Una famiglia in pace…
Una famiglia intelligente: ha capito che chi prega cresce più in fretta; ha capito che per innalzarsi, l’uomo deve inginocchiarsi!
(Tratto da “La pedagogia controcorrente dei genitori salmoni di padre Pino Pellegrino, Astegiano Editore, pagg.114-116)
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“All’inizio volevo dirgliene quattro (…) poi ho capito che Lui ‘carica’ la croce su chi può sopportarla”
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 08/10/2014
La storia è semplice e drammatica. Filippo, 30 anni, sposato con Anna, in attesa di un bambino, impegnato nelle Sentinelle del Mattino, attivissimo nell’Oratorio, se ne va in un mese per un tumore fulminante all’addome.“Una storia drammatica, emozionante, sconvolgente” scrive nella sua prefazione il vescovo Franco Brambilla. Una storia che Ilaria Nava ha ricostruito attraverso le voci, gli SMS, i messaggi su Facebook dei protagonisti: i parenti, gli amici, i ragazzi che Filippo seguiva e di cui era confidente e sostegno; e soprattutto Anna, la moglie di Filippo, che ha dato alla luce Luca un mese dopo che Filippo se ne era andato.
“La prima volta che sono arrivata a Verbania, inviata dal settimanale Credere, che mi aveva chiesto di scrivere un articolo su questa storia avevo un po’ di timore di incontrarti” scrive l’autrice nei ringraziamenti. “Mai mi sarei aspettata di trovare una persona così sorridente e accogliente, ti sei subito aperta con me, una perfetta sconosciuta anche se ti costava”.
Credo sia difficile leggere questo libro (“Volevo dirgliene quattro…” , San Paolo, 120 pag. € 10.00) senza commuoversi. Chi scrive non c’è riuscito. Perché sono toccanti l’eroismo, la fede, la semplicità dell’accettazione di un evento così apparentemente ingiusto e crudele. Mi sono venuti in mente i versi di Ada Negrini “Atto d’amore”:
“Or Dio – che sempre amai – t’amo sapendo di amarti;
e l’ineffabile certezza che tutto fu giustizia,
anche il dolore,
tutto fu bene, anche il mio male,
tutto tu fosti e sei per me,
mi fa tremante di una gioia più grande della morte”.Un’accettazione dolorosa, un abbandono totale.
All’inizio non fu così. In ospedale Filippo ricevette la visita di don Fabrizio, sacerdote e amico. Gli portò l’ostia; ma la lasciò sul comodino, affinché Filippo potesse fare l’adorazione eucaristica. E poi gli chiese, via messaggio: “Come è andata la chiacchierata con il capo?”. La risposta è il titolo del libro: “All’inizio volevo dirgliene quattro…”. Il messaggio continua: “Poi ho capito che Lui ‘carica’ la croce su chi può sopportarla (anche se ne facevo a meno :-)). Quindi gli ho affidato tutto me, il piccolo e Anna”.
E c’è un’altra mail, misteriosa, in questa storia. La trova Anna, tornando a casa una sera dall’ospedale; e la stampa e la porta a Filippo la mattina seguente.
“Chiedervi il perché di quello che vi sta succedendo il più delle volte vi farà impazzire. Non avrete mai una risposta ai vostri perché, almeno finché siete su questa terra. Alcune cose sono più grandi di noi. Quello che vi consiglio è di chiedere a Dio di accettare e di accogliere nella vostra vita questo cammino che avete davanti, ovunque vi porterà, e io pregherò per voi perché riusciate a compiere questo passo”.
Filippo e Anna decidono di seguire il consiglio, e cominciano a pregare insieme, in ospedale, come facevano prima del ricovero. “Anna non riesce ancora oggi a ricordare chi sia stato il mittente di quella mail. Non troverà mai più il foglio su cui l’aveva stampata, né riuscirà a rintracciarne il testo cercando nella sua casella di posta elettronica”, scrive Ilaria Nava.
Un storia semplice, di una santità estrema, vissuta come diceva Benedetto XVI: “I santi semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita, non saranno mai canonizzate, sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedo la verità della fede”.
(di M. Tosatti)
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