FERMENTI CATTOLICI VIVI

"Andate controcorrente. Di quanti messaggi, soprattutto attraverso i mass media, voi siete destinatari! Siate vigilanti! Siate critici!" Benedetto XVI

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Posts Tagged ‘prolife’

Dovremmo presentare la bellezza del bene, del giusto, di ciò che è pulito e nobile ma…

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 24/01/2023

Il sito Provita e Famiglia rileva un fenomeno preoccupante da parte della Dysney Co. Afferma il noto sito prolife:

«Ed ecco che l’ultima – discutibilissima – uscita è quella della serie tv animata “Little Demon”, disponibile anche in Italia su Disney+ e creazione degli sceneggiatori Darcy Fowler, Seth Kirschner e Kieran Valla.

Certo, la parola diavoletto (Little demon) anche in italiano è diventata un vezzeggiativo. Tuttavia si parla di una delle serie «più discusse e controverse degli ultimi tempi» – anche negli Usa e nei paesi anglosassoni – come riporta il blog PopcornTv e definita non a caso una «black comedy».

Le protagoniste sono due donne, Laura e Chrissy Feinberg, madre e figlia. Il problema è che Laura è stata messa incinta dal diavolo in persona e la figlia Chrissy incarna dunque l’Anticristo.

Le due donne – nella serie tv – saranno tormentate da Satana che vorrebbe riprendersi e possedere l’anima di Chrissy. La serie è composta da 10 episodi, di 26 minuti in media ciascuno, tutti con un sfondo prettamente satanico. Ed è triste associare la figura del male a rappresentazioni tipicamente fruite dai bambini, come lo sono da sempre i cartoni animati. Repubblica aggiunge che tra le guest star ci sono anche Arnold Schwarzenegger, Patrick Wilson, Dave Bautista, Mark Ruffalo e Mel Brooks.»

Chi crede sa che è bene non scherzare col fuoco. San Pio da Pietrelcina chiamava il demonio il Cosaccio perché sconsigliava persino di nominarlo. Ma in questi tempi nella nostra società occidentale liquida e relativista, si sta perdendo il senso del sacro e dei simboli, per cui vale tutto e ci si sente in libertà di usare anche il satanico pur di vendere. Chi sono i bambini se non utenti paganti di un canale in streaming?

Come nota Provita e Famiglia:

«Resta il problema di fondo della moda e della subcultura del satanico, dell’occulto e dell’esoterico che da decenni ormai, con un crescendo che non sembra arrestarsi, invade ogni dove: film, cartoni animati, fumetti, manga, vestiario, musica, e così via.

Gli adulti dovrebbero fare attenzione a giocare con il fuoco e piuttosto che mettere in scena il Male in modo a volte attraente, dovrebbero presentare la bellezza del bene, del giusto, di ciò che è pulito e nobile

Ci uniamo a Provita e Famiglia invitando a firmare per chiedere lo stop a contenuti inappropriati sulla Disney.

Esercitiamo il dono più grande che ci ha fatto il Signore, quello della libertà, la libertà di dire di no a una trovata di marketing che può avere gravi conseguenze spirituali nelle anime che vi si espongono

E aggiungiamo di pregare per le persone che stanno dietro a tutto ciò perché la preghiera può dove l’azione umana non arriva.

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La storia di Otto

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 09/02/2021

Ovvero, se l’utero fosse trasparente.

(Da una pubblicazione degli anni ottanta che mi convinse a diventare un difensore della vita, diversi anni prima della mia conversione e conseguente adesione al Magistero della Chiesa Cattolica)

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«L’Italia sta morendo di denatalità e promuovono la pillola abortiva»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 24/08/2020


 

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Unplanned

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 24/01/2020

Unplanned narra la storia (vera) di Abby Johnson, una donna di 39 anni convertita alla causa pro vita dopo aver lasciato il suo lavoro alla Planned Parenthood, la potentissima organizzazione abortista che le aveva affidato la direzione di una clinica nel Texas (premiandola, nel 2008, come «dipendente dell’anno»)


La svolta per Abby Johnson arrivò nel 2009, quando, a causa di un’improvvisa carenza di personale, le chiesero di coadiuvare un medico in un’operazione di routine: abortire un feto alla tredicesima settimana. Nel vedere il bambino contorcersi disperatamente e scappare per evitare di essere risucchiato dall’aspiratore, Abby Johnson comprese per la prima volta la grande menzogna nascosta dietro al “diritto” all’aborto.

Clicca qui per maggiori informazioni su come e dove vedere il film.

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«Lo spilungone innamorato»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 01/04/2019

Una scena dolcissima. Un ragazzo, alto, capelli lunghi e biondi, tiene la mano agganciata a quella della sua ragazza. Avanzano dondolandosi, quasi danzando. Scherzano, si fanno le coccole. Ogni tanto si fermano, si guardano negli occhi, si abbracciano. Poi riprendono a saltellare, a correre, a rincorrersi. A fare girotondi. C’è poco da fare, le persone innamorate fanno più bello il mondo. Guardo meglio, mi sembra di riconoscere il giovanotto. E’ lui, è proprio lui, Alberto. Il mio Alberto.

La mente allora inizia a galoppare, va indietro nel tempo. Era una mattina di primavera, bella e luminosa. Me ne stavo seduto sul sagrato di una chiesa ad aspettare un amico. Una donna che non conoscevo, passando, mi salutò con cordialità. Fece pochi passi, poi ritornò indietro: «Padre, mi scusi – disse – sento il dovere di dirle una cosa importante. Sara, la figlia di un’amica è rimasta incinta. Il fidanzato, appena saputo la notizia, ha messo le ali e non si è fatto più vedere. Sara ha deciso di abortire. Se può, cerchi di aiutarla». Annotai nome e indirizzo.

Un’ora dopo bussai alla porta di Sara. Mi presentai, ma mi accorsi che sia lei che la sua famiglia mi conoscevano già. Spiegai loro il motivo della mia visita. Rimasero meravigliati ma accettarono di parlare. Sara era distrutta. Un mare di lacrime e di amarezza. All’improvviso le era caduto il mondo addosso. Portava in grembo un figlio, suo figlio, che avrebbe potuto essere la sua gioia ma che adesso rappresentava il suo tormento. Non era facile per lei accettare quella gravidanza inaspettata. Michele, il fidanzato, aveva fatto perdere le sue tracce e lei era tanto giovane.

“Come faccio, padre? Se ci fosse anche lui sarebbe diverso, insieme avremmo affrontato i problemi, ma da sola come faccio?” Povera figlia, aveva ragione da vendere. Non è facile a 20 anni diventare mamma senza il sostegno di chi, fino al giorno prima, giurava di amarti. “Hai ragione, Sara; ricordati però che noi ci siamo e non ti abbandoneremo. Se avrai il coraggio di far nascere il bambino che porti in grembo, ti assicuro che non te ne pentirai. Fidati. La vita è troppo bella, unica, preziosa per gettarla via. Con il tempo le cose cambieranno, solo se decidi di abortire non potrai più tornare indietro”.

Sara passava da uno stato d’animo a un altro alla velocità del lampo. A momenti di ansia e depressione ne alternava altri di speranza e di fede. Mille dubbi le schiacciavano il cuore. La paura era tanta. Povera ragazza. Aveva riposto fiducia nel suo Michele, gli aveva concesso tutto, e lui, nel momento più delicato, l’aveva abbandonata. Alla delusione per l’amore perduto si aggiungeva adesso la paura di diventare una ragazza madre.

La sua mamma in un angolo piangeva. “La vita è tua, Sara. Devi decidere tu che cosa fare. Sappi che noi, qualsiasi sia la tua scelta, non ti abbandoneremo”. Che fare? Guardavo Sara con tenerezza immensa. In cuor mio pregavo. Il pensiero correva a tutte le ragazze come lei ingannate, deluse e abbandonate. Povere ragazze sulle quali cade tutto il peso della gravidanza, della maternità o la lacerante scelta di eliminare il bambino.

Sara era credente anche se con la chiesa e i sacramenti non aveva troppa confidenza. Però pregava. Si, sapeva bene che l’aborto era un delitto. Sapeva che anche suo figlio aveva il diritto di nascere. Sapeva tutto, ma era decisa a tutto. L’aborto in quelle ore le sembrava l’unica soluzione per uscire da quel labirinto in cui era finita. Sembrava proprio che lo spazio per la speranza andasse scemando. Ci incontrammo ancora.

Dopo i giorni dell’incertezza e dell’angoscia, dopo le lacrime versate e le preghiere innalzate al Signore della vita, Sara prese la sua decisione. Suo figlio sarebbe nato. “In questo mondo tanto grande ci sarà posto anche per lui”, disse.

Da quel giorno, come per incanto, divenne più serena. Alberto nacque. Ebbi la gioia di battezzarlo. Mantenemmo la promessa fatta. Gli anni iniziarono a volare. Una domenica mattina, con il giglio in mano, elegante nel suo vestitino bianco, emozionato, ricevette per la prima volta Gesù nell’Eucarestia. In seguito la sua famiglia cambiò casa e non ebbi più modo di vederlo.

L’ho incontrato l’altro giorno. Uno spilungone innamorato e felice. Luminoso e bello come quella mattina di tanti anni prima, quando, senza saperlo, la Provvidenza mi aveva dato appuntamento sul sagrato di una chiesa. Sii felice, Alberto, figlio mio. Padre Maurizio Patriciello.

(Dall’Account Facebook di padre Maurizio)

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«T’avrei voluto volere quella volta che non ti ho voluto…»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 21/02/2019

L’attore Andrea Roncato rispondendo con coraggio alle domande di Silvia Toffanin racconta la sua vita, la popolarità, gli errori, e tra questi, il più drammatico della sua vita:

«Un figlio mi manca, – racconta Roncato – è stato il vero errore della mia vita. Quando ero molto giovane ho avuto la possibilità di diventare padre, di avere un figlio, ma feci un aborto.

Adesso sono diventato estremamente antiabortista.

Ho fatto anche un libro per questo bambino che non è mai nato che si chiama T’avrei voluto. “T’avrei voluto volere quella volta che non ti ho voluto”, è l’ultimo verso di una poesia che ho scritto e che si chiama proprio T’avrei voluto.»

Alla domanda della conduttrice – «Ti sei perdonato per questo?» – l’attore risponde:

«No, posso perdonarmi tutto ma io credo che i figli siano l’unica vera ricchezza che un uomo possa lasciare al mondo. Puoi lasciare bei film, belle poesie, soldi, quello che vuoi, ma credo che lasciare un figlio sia la cosa più bella che un uomo possa fare

Vero Andrea, i figli sono l’unica vera ricchezza che un uomo possa lasciare al mondo ma su una cosa hai torto secondo me: sull’imperdonabilità di un peccato che, pur restando gravissimo, può essere rimesso da Dio, l’unico che possa guarire le ferite sanguinanti provocate dai nostri errori, mediante la meravigliosa “invenzione” della confessione, di una confessione ben fatta.

Scrivo sperando che chi legge possa pregare per te e per chi si trova in una situazione simile, affinché il Signore ti convinca del fatto che si può davvero essere perdonati, e guariti, come il Prof. Oriente, abortista pentito.

Ringrazio Andrea Roncato per aver condiviso questa sua sofferenza che ci permette anche di ricordare il dolore di quegli uomini che hanno subìto l’aborto di un figlio, i papà silenziati a cui non si dà voce.

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«Volevo abortire, poi ho letto il suo post e ho cambiato idea.»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 22/01/2019

Silvana De Mari è una dottoressa che difende la vita col coraggio del “politically incorrect”; in passato ho condiviso nel blog una sua testimonianza forte quanto autentica del suo percorso da medico abortista a strenuo difensore della vita dal suo inizio al suo termine naturale.

Può piacere o meno il suo modo diretto e asciutto di dire le cose come stanno, ma a me non disturba, anche perché è una delle poche persone col coraggio di farlo, impegnando tempo ed energie, mettendoci la faccia nonostante i tanti attacchi di chi la pensa come il pensiero dominante.

La seguo sui social ed è per questo che condivido con piacere un suo post che ci aiuta a capire il vero senso di ogni attivismo a difesa della vita, basta una persona…

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«Dentro o fuori dal corpo, il cuore di mia figlia batteva e non mi sono sentita di fermarlo»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 14/09/2018

Il miracolo di Vanellope, la bambina nata con il cuore fuori dal petto, che condivido con tanta gioia e con l’invito a pregare per lei e per questa famiglia coraggiosa e aperta alla vita.

I genitori rifiutarono l’aborto nonostante il parere dei medici e oggi, dopo un anno di cure e interventi, la loro piccola sta bene ed è finalmente tornata a casa. Che bello!

“Non può farcela” è la frase che Dean Wilkins, 44 anni, e Naomi Findlay, 32 hanno sentito rimbombare nella testa da quando durante un’ecografia – momento magico per ogni coppia che aspetta un figlio – i medici diagnosticarono alla loro bambina una rara condizione: la “ectopia cordis”: l’assenza della cassa toracica con il cuore di conseguenza collocato fuori dal corpo.

Il coraggio dei genitori di dire no all’aborto

E nonostante la ferma decisione dei genitori di non abortire, ipotesi più volte proposta loro dai dottori, chissà quante altre volte avranno dovuto udire quelle tre parole maledette, dure come macigni: “Non può farcela”. Ma il 22 novembre 2017 la loro piccola Vanellope Hope è nata e come ogni mamma e papà il loro cuore è scoppiato di gioia e paura.

Un intervento complesso

Un corpo così fragile come può sopravvivere? La domanda dei medici, dei parenti, degli amici. E invece la bambina si è attaccata alla vita – battagliera e coraggiosa come i suoi genitori – e beffandosi della condanna a morte già scritta e delle statistiche, ha subito un’operazione delicata e complessa un’ora dopo la sua venuta al mondo e miracolosamente ce l’ha fatta. Un evento unico! Sono infatti pochissimi i neonati in tutto il mondo che, nelle sue stesse condizioni, sono sopravvissuti. (Messaggero)

Riportare il cuore all’interno del corpo

Durante l’intervento il cuore è stato riportato all’interno del corpo e ha cominciato finalmente a battere al sicuro. Uno staff di 50 persone ha preso parte all’operazione eseguita presso il Glenfield Hospital di Leicester. Vanellope ha dovuto subire altre delicate operazioni.

In questi giorni, dopo quasi un anno, la piccola Vanellope Hope (questo il nome completo e che si chiami Speranza non è un caso) è finalmente tornata a casa.

L’amore della famiglia

La notizia è bellissima ma lo è ancora di più la testimonianza di questi genitori che hanno accolto e protetto la loro bambina fin dal concepimento senza cadere nell’inganno dell’aborto, lottando per lei con coraggio e credendo che la sua vita fosse comunque preziosa. Quando Vanellope sarà grande e conoscerà la sua storia sarà fiera di avere una mamma e un papà che l’hanno considerata un dono unico ed inestimabile.

“Dentro o fuori dal corpo, il cuore di mia figlia batteva e non mi sono sentita di fermarlo” aveva affermato Naomi (Repubblica)

Cresci sicura e libera, hai un cuore grande per amare, piccolo miracolo!

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«Molti dei miei coetanei non vedono di buon occhio andare in chiesa o frequentare un gruppo parrocchiale. Molto però dipende anche da come ti poni.»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 30/06/2018

Arturo Mariani, classe ’93, studente di Scienze delle Comunicazioni alla Sapienza nel tempo libero, fa parte della Nazionale Amputati, senza avere subito amputazione: già nel ventre materno, infatti, la sua gamba destra non si sviluppa.
Nei suoi due libri racconta di sé, senza filtri, né falso perbenismo la sua storia: straordinaria, nella sua ordinarietà, tra alti e bassi, una grande passione per il calcio, due genitori presenti, due fratelli ed un cugino a cui è molto legato, l’infanzia, l’adolescenza, gli amici, il gruppo giovani Arcobaleno, il volontariato, l’avventura della Nazionale e… la scelta di testimoniare la bellezza della vita, con il suo sorriso!

Cosa provi, pensando che, quando nascesti, a tua madre proposero l’aborto? Quando hai saputo questo dettaglio della tua storia?

L’aborto va contro la vita, è un omicidio, perché, per me, è vita dal primo momento. Penso con orgoglio alla scelta che ha fatto mia madre, ma capisco che non tutti fanno questo ragionamento. Ma c’è poco da ragionarci su: è vita. Punto.
Ho saputo questo dettaglio verso i dodici anni, ma sono sempre stato informato su tutto, anche se sempre in modo graduale e rispettoso del mio sviluppo psicofisico. Tanti mi chiedono se io abbia poi saputo il motivo che ha portato alla mia malformazione intrauterina: devo confessare che, in realtà, non è una cosa a cui i miei genitori si siano particolarmente interessati, prestando, piuttosto, maggiore attenzione al modo in cui risolvere al meglio (protesi e cambio delle stesse in relazione alla crescita, stampelle) i problemi di deambulazione che ho.

In diverse parti del tuo libro, parli del fatto di essere “additato” per la tua diversità: hai mai imparato a “conviverci” o, ancora adesso, ti dà fastidio?

Fastidio no, ma mi rendevo conto di essere al centro dell’attenzione in modo particolare: sguardi, o anche situazioni spiacevoli, sono stati importanti per riflettere e capire quanto l’ignoranza sia diffusa. Mi sono reso conto che stava a me trovare le risposte, prima di pensare che fossero “gli altri” a dover cambiare.

È più difficile spiegare la tua condizione ai grandi o ai piccoli?

Da parte mia, cerco sempre di essere spontaneo. Nei bambini, prevale lo stupore iniziale, fino ad avere domande irreali, come «Dove hai lasciato la gamba?», a cui rispondo sullo stesso tono, che l’ho dimenticata a casa: per un fanciullo, il problema è risolto in questo modo, perché non parte da pregiudizi. Questi, negli adulti, sono più diffusi e richiedono più tempo per essere sconfitti.

Nato così: l’autobiografia di un ragazzo che non è speciale, è unico. Come lo è ciascuno di noi! Che messaggio hai voluto trasmettere ai tuoi lettori con la tua “opera prima”?

Complice l’esperienza con la Nazionale, sentivo la responsabilità di far conoscere la mia storia, perché mi rendevo conto dello stupore che ci attorniava. In questo modo, potevo veicolare un messaggio di speranza a tutti quelli che pensano solo a lamentarsi perché focalizzati solo sugli aspetti negativi.

Cito, da pag. 22 (Nato così), dove c’è un piccolo capolavoro di filosofia di vita che, personalmente, condivido: «L’impatto con te stesso è la tua immagine allo specchio e se non ti piace è un problema. Conosci i tuoi punti deboli, accettali e contrastali con i tuoi infiniti lati positivi e sarai invincibile. (…) Se non ci piace qualcosa di noi stessi, che sia caratteriale o fisico, dobbiamo impegnarci per modificarci puntando alla perfezione, che ovviamente non raggiungeremo mai, ma comunque ci prefissiamo il più alto degli obiettivi. alla base di tutto, dobbiamo cominciare ad accettarci a prescindere, accettare anche i difetti, perché non possiamo modificarli tutti. Puntiamo alla perfezione ma allo stesso accettiamoci per la nostra più estrema imperfezione».
Confermi questa tua “teoria” dell’amor di sé, anche nei propri limiti?

Confermo, avere una sorta di “leggerezza cosciente” aiuta a crescere, senza farsi angosce inutili.

Nel tuo libro critichi, in modo più o meno velato, il poco spazio che i media riservano a ciò che va al di là delle aspettative comuni: a tuo avviso, quale ruolo hanno (o possono avere), nella possibilità di superare i limiti (spesso culturali) che, il più delle volte, siamo noi stessi ad imporci?

Sicuramente, i media hanno grandi potenzialità. I social network (Facebook, Instagram), me ne accorgo anche a livello personale, possono aiutarti a raggiungere tante persone, ma non basta: chi è più “famoso”, ha anche maggiore responsabilità, perché ha l’opportunità di farsi ascoltare da più persone.

Tuo padre accenna ad un momento in cui sei stato preso in giro, durante giochi con coetanei. Ricordi quale fu la tua reazione, che tuo padre valutò generatrice di “rispetto, affetto e stima” nei tuoi riguardi?

Bisogna sempre partire da se stessi, la colpa non va data agli altri: devo trovare io la soluzione su me stesso. Sono sempre stato abituato così, fin da quando ero abbastanza piccolo (6-7 anni). Così, con spontaneità e sicurezza, ho sempre domandato, a fronte magari di qualche brutto atteggiamento nei miei riguardi, perché quella persona parlasse o si comportasse in quel modo. In genere, l’altro non sa rispondere, per cui rimane, in un certo senso spiazzato.

C’è una cosa strana che spicca. La normalità, anche per chi si definisce credente, è allontanarsi dopo la Cresima. Tu invece fai parte del “piccolo gregge” che ha deciso di continuare. Cosa ti ha spinto a farlo e come hai vissuto questa, di diversità, rispetto ai coetanei?

La scelta è stata quasi “obbligata”, dal momento che avevo vissuto bene il percorso precedente e che la fede, per me, è sempre stata importante (grazie anche al fatto di averla vissuta in famiglia). Ancora oggi, il mercoledì è il giorno di ritrovo del gruppo, che è per noi momento di confronto sulle cose più importanti della vita: io per primo vado anche al “muretto”, ma mi rendo conto che quello non era per me luogo di crescita. Molti dei miei coetanei non vedono di buon occhio andare in chiesa o frequentare un gruppo parrocchiale. Molto però dipende anche da come ti poni: se presenti la tua esperienza con spontaneità, coraggio ed entusiasmo, le difficoltà sicuramente si dimezzano.

Che ricordi conservi dell’esperienza di giocare una partita contro i detenuti, tra le mura del carcere di Rebibbia?

È un’esperienza unica, che ti cambia completamente la prospettiva. Esce fuori il senso di libertà vero. Prima, magari c’è la paura o il pregiudizio verso chi incontrerai (così come tanti hanno pregiudizi nei miei confronti): in entrambi i casi, successivamente, parlando insieme o giocando a pallone, ogni pregiudizio è abbattuto dal fatto che hai davanti una persona, come te.

Sei reduce dall’esperienza dell’Europeo con la Nazionale Amputati, in Turchia. Quali sono i tuoi ricordi più belli legati a questo evento?

È stata un’esperienza incredibile, diversa da tutte le altre: forse, perché è stata la prima “professionistica” (ci svegliavamo presto al mattino, giocavamo tutti i i giorni…) e tutto ciò è una bella differenza, rispetto alla mia quotidianità. Abbiamo anche raggiunto un obiettivo importante ed inatteso (il quinto posto nel ranking europeo). Il ricordo che conservo con più entusiasmo, ma anche tristezza, è la finale che si è disputata nello stadio del Besiktas: uno stadio pieno, con 40000 persone sugli spalti, per la partita Turchia – Inghilterra. C’era un’atmosfera indescrivibile: sembrava di essere alla finale di un Mondiale! Poi, era quasi come se ci fossi io in campo, nel senso che conoscevo diversi ragazzi di entrambe le squadre.
Fino all’aeroporto di Istanbul, tutti parlavano di noi, eravamo in prima pagina su giornali e tv. Non appena tornato in Italia, invece, il buio totale. Nessuno sapeva neppure che avessimo disputato un Europeo. Questo testimonia che persino nei confronti della Turchia, che giudichiamo di solito un Paese arretrato, abbiamo tanto da imparare, per quanto riguarda la visibilità degli sport paralimpici.

Hai scritto un altro libro, uscito qualche settimana fa, Vita nova, in cui hai intervistato, tra gli altri, Nino Benvenuti, Massimiliano Sechi, Francesco Acerbi, Monsignor Pompili, Alex Zanardi… per un totale di 13 interviste, in cui i prescelti raccontano di un evento che ha cambiato la loro vita: perché questo secondo libro? Cosa accomuna i personaggi che hai intervistato?

Durante la presentazione del primo libro, la mamma di un ragazzo disabile mi disse che io avrei dovuto diventare famoso, per raccontare storie di dolore a tutto il mondo, portando il tuo sorriso. Diventare famoso è una responsabilità, nei confronti di chi ti ascolta. Ho pensato che il modo migliore, dopo aver raccontato (e scoperto) me stesso, fosse quello di dar voce ad altre persone ed altre storie, che toccano tanti temi: coraggio, resilienza, senso di libertà… La resilienza è sicuramente un tema importante, perché si parla del dolore e della capacità non solo di resistere (come uno scoglio che si oppone alla forza delle onde), ma anche di piegarci, adattandoci alla situazione, per poi ritornare alla nostra forma naturale, nella consapevolezza che nessuna onda durerà per sempre. Si rinasce nuovamente, proprio a partire dagli eventi più traumatici. questo è un po’ il senso del libro.

(Fonte: https://www.sullastradadiemmaus.it/)

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«La vita va sempre tutelata e amata dal concepimento al suo naturale tramonto»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 07/05/2018

 


“L’amore per gli altri non può essere riservato a momenti eccezionali, ma deve diventare la costante della nostra esistenza”.

“Ecco perché siamo chiamati a custodire gli anziani come un tesoro prezioso e con amore, anche se creano problemi economici e disagi, dobbiamo custodirli.

Ecco perché ai malati, anche se nell’ultimo stadio, dobbiamo dare tutta l’assistenza possibile.

Ecco perché i nascituri vanno sempre accolti; ecco perché, in definitiva, la vita va sempre tutelata e amata dal concepimento al suo naturale tramonto”.

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