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«Teniamo la porta aperta a tutti. Invece doveva essere al contrario.»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 03/02/2021

A distanza di sei anni, la sua tomba è meta di un pellegrinaggio ininterrotto: non solo di parenti e conoscenti, ma anche di chi ha scoperto la sua “fama di santità” attraverso amicizie in comune, un libro a lui dedicato, testimonianze di “aiuti” celesti.

Era il 21 agosto 2014 quando a Perugia moriva Giampiero Morettini, il seminarista del sorriso. Aveva 37 anni e il suo calvario in ospedale era iniziato a luglio, dopo una delicata operazione al cuore. Aveva avuto un malore in Seminario che aveva rivelato una grave malformazione congenita che necessitava di un intervento chirurgico urgente.

Grazie e guarigioni sulla tomba

«Molti chiedono la sua preghiera per la guarigione di bambini ammalati o anche per avere un figlio, altri riconoscono che la preghiera alla tomba di Giampiero è per loro fonte di profonda pace interiore, altri raccontano di grazie ricevute come il sollievo da un tormento, l’accompagnamento a una buona morte, la guarigione di un figlio, la conversione di una persona amata», scrive il postulatore e parroco di Castel del Piano (la parrocchia di Giampiero), don Francesco Buono, nel libello consegnato all’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, per chiedere l’apertura della causa di beatificazione del giovane che sognava di essere prete.

Lontano dalla fede

La sua è una vita lontana dalla fede. Finché il 13 marzo 2006 entra nel negozio una suora per la benedizione pasquale. E lei chiede a Giampiero di pregare. Con poca convinzione, il giovane dice sì. E la religiosa pronuncia una brevissima preghiera posandogli la mano sulla fronte e segnandolo con la croce. Un gesto che lo marcherà per sempre e che confiderà con pudore a pochi intimi. Dirà di aver sentito un fuoco interiore.

Allora ecco il riavvicinamento al confessionale, gli incontri di catechesi, la partecipazione assidua all’adorazione eucaristica. E nel 2010 il Seminario «per essere un buon sacerdote», si legge nel libello.

I funerali festosi

Al termine del terzo anno la scoperta della malattia, il ricovero, l’intervento, il peggioramento delle condizioni che Giampiero affronta «con il sorriso» e «sempre con serenità, totalmente offerto alla volontà di Dio» e «nonostante le grandi sofferenze infonde pace e speranza a coloro che lo visitano».

Ai funerali partecipa «una moltitudine di persone, giovani in particolare, molti che non avevano conosciuto in vita Giampiero».

«Giampiero – ha detto don Francesco Buono – era consapevole del rischio dell’operazione e mi ha lasciato un suo scritto nel quale diceva che se si fosse dovuto celebrare il suo funerale avrebbe voluto una messa mariana che fosse una festa». E così fu.

Le riconciliazioni spontanee

«I sacerdoti che in quelle ore prestarono il servizio del sacramento della riconciliazione ricordano di aver confessato molti giovani e di aver constatato quanto l’abbandono a Dio di Giampiero durante la malattia avesse profondamente colpito tanti e fatti decidere per un ritorno al sacramento della penitenza e un riavvicinamento alla Chiesa», sottolinea il libello (Avvenire, 20 agosto).

La conversione dei genitori

Il giovane seminarista, quando era ancora in vita, ha portato alla conversione anche i suoi genitori, Caterina e Mario.

«Giampiero mi ha aiutata a pregare, perché prima non pregavo – racconta mamma Caterina– trascuravo la mia fede perché veniva prima il lavoro. Passavano anche due, tre anni prima di confessarmi e di fare la comunione. Adesso ho questa “grazia della preghiera” e senza la messa la domenica non posso stare. Con Giampiero ci siamo avvicinati molto alla Chiesa, al Signore, anche se con Lui, in realtà, io dovrei essere arrabbiatissima per avermelo strappato. Nei giorni della sua malattia ho tanto pregato il Signore e con me tante persone in tutt’Italia, ma Dio non ci ascoltava. Mi sono rimessa a alla sua decisione, anche se perdere un figlio è un dolore che solo chi ci passa può capirlo, gli altri possono immaginarlo».

“Teniamo la porta aperta a tutti”

Giampiero, ricorda ancora sua madre, «anche se stava in Seminario, non mi ha mai “obbligata” ad andare a messa, a fare la comunione, forse perché pensava che piano piano mi sarei avvicinata da sola. Invece c’è voluta la sua morte per capire che se uno “accetta” è solo per la fede che si ottiene qualcosa. Faccio il paragone con altre mamme che come me non hanno più i figli, sono arrabbiate, non vogliono vedere nessuno. Mentre con Mario, mio marito, teniamo sempre le porte aperte a tutti. Invece doveva essere al contrario».

Le ultime volontà di Giampiero

Caterina ricorda anche le ultime ore, vissute con dolore e lucidità da Giampiero. «Qualche giorno prima della forte emorragia, una dottoressa mi chiese: “Signora, come le sembra suo figlio?”. Le risposi: “Sembra un pochino meglio”. Non volevo dire davanti a Giampiero che non c’era più niente da fare. Non era una domanda da farsi da parte della dottoressa. Giampiero stava malissimo e lei lo sapeva meglio di me. Dal 17 agosto, per me, Giampiero già non c’era più. Il giorno prima la caposala mi disse che se volevo potevo riprendere i suoi oggetti: c’era il breviario di Giampiero …, perché tanto era finita. Per me, da quella data, era già in Cielo e alle sorelle che erano fuori dalla stanza ho fatto un gesto come a dire: “Non c’è più niente da fare”. Quel giorno è stato come se “lo avessi riconsegnato”, “donato”»

(Fonte della parte scritta: La Voce.it, 2016).

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«Il seminarista gli offrì conforto e gli propose un aiuto concreto»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 18/09/2018

Non è che una delle tante ordinarie storia di quotidiana carità che migliaia di preti e seminaristi vivono ogni giorno, ma non facendo notizia come gli scandali (che giustamente vanno raccontati e condannati) mi chiedo se verrà diffusa con la stessa rapidità a tutti i propri contatti…

In queste settimane si parla molto di scandali legati alla condotta di vita di persone consacrate, anche di alto livello all’interno della gerarchia ecclesiastica. Sono notizie che fanno male alla Chiesa e che feriscono la nostra umanità, sulle quali è necessario fare chiarezza quanto prima e comminare le giuste sanzioni.

In tutto questo non va tuttavia dimenticato che tanti preti la vita delle persone la salvano, sia in senso spirituale, sia talvolta in senso fisico.

Ed è proprio questo il caso del giovane seminarista inglese David Donaghue che, con i suoi compagni, era solito partecipare alle iniziative di 40 Days for Life davanti alla clinica Marie Stopes a Birmingham. E così ha salvato una piccola vita dall’aborto.

La voce del buon senso  Riporta LifeSiteNews che l’autunno scorso, durante uno di questi momenti, David vide un uomo fuori dalla clinica e gli si avvicinò. L’uomo gli spiegò che sua moglie era all’interno della clinica per abortire: avevano già altri figli e finanziariamente avevano valutato di non potersi farsi carico di un’altra creatura. Il seminarista gli offrì quindi conforto e gli propose un aiuto concreto, grazie al prezioso del coordinatore locale di 40 Days for Life e delle donazioni raccolte da Good Counsel Network. La famiglia ha così potuto scegliere per la vita e accogliere un altro figlio.

Una volta nato il bambino, la famiglia ha continuato a essere seguita e supportata e David ha anche avuto modo di incontrare il piccolo che, grazie alla sua intercessione fuori dalla clinica, è scampato all’aborto. «La sua vita è preziosa», ha affermato David a LifeSiteNews.

Quando sarà grande probabilmente a quel bambino verrà raccontata la sua storia: la tua vita è stata salvata da un seminarista, che a sua volta è stato “salvato” da una vita dissoluta da un evento che lo ha segnato molto e che lo ha portato a riavvicinarsi a quel Dio che aveva conosciuto grazie alla nonna durante l’infanzia, fino alla decisione di donarGli tutta l’esistenza.

Tutto un caso o un’azione della Provvidenza? Ognuno può rispondere…

Teresa Moro

(Fonte: https://www.notizieprovita.it/)

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