
Zarish Neno
«Il motivo per cui scrivo sulla situazione dei cristiani in Pakistan è quello di aiutare quei fratelli e sorelle che vivono la loro fede in una situazione migliore della nostra, in modo che comprendano la situazione in cui noi ci troviamo. Spero che mediante i miei articoli coloro che hanno la possibilità di vivere la loro fede senza difficoltà ringrazino Dio perché non devono affrontare gli stessi problemi che affrontiamo noi.
Questa volta, voglio condividere con voi le difficoltà che noi cristiani pakistani dobbiamo affrontare per partecipare alla Santa Messa. Purtroppo la nostra vita non è facile, come non è neppure facile poter praticare la nostra fede. Coloro che ci circondano cercano sempre di metterci i bastoni tra le ruote per impedirci di vivere la nostra vita da cristiani.
Prima di tutto c’è sempre il rischio che possiamo essere oggetto di attentati durante la celebrazione della Santa Messa. Questo rischio è più alto durante i periodi di Avvento, Natale, Quaresima e Pasqua perché c’è una maggiore presenza di persone. Lo Stato avvisa le parrocchie di aumentare la sicurezza, e le forze di polizia sono tenute a sorvegliare gli ingressi delle chiese durante la celebrazione delle Messe.
Dopo gli attacchi alla chiesa di Peshawar del 22 settembre 2013, dove morirono 78 persone, l’Arcivescovo Joseph Coutts, responsabile della diocesi di Karachi, decise, per la sicurezza dei fedeli, di chiudere tutte le chiese per un po’ di tempo. La gente però non fu contenta di quella decisione. Una delegazione dei fedeli andò dall’Arcivescovo e gli disse: «Sua Eccellenza, non vogliamo che le chiese vengano chiuse o che non vengano più celebrate le Messe. Saremo presenti alle Messe, accada quel che accada. È meglio morire in chiesa piuttosto che a casa». L’Arcivescovo rimase commosso dalla fede del suo popolo, e per questo continuò a tenere le chiese aperte.
Ricordo anche di come mi sentii preoccupata nel partecipare alla Santa Messa domenicale durante l’Avvento del 2017, dopo aver saputo di un attentato kamikaze alla Bethel Memorial Methodist Church, a Quetta, il 17 dicembre 2017, che causò ben 9 morti. I telegiornali, nel trasmettere la notizia, mostravano ripetutamente il filmato di come i terroristi si fossero introdotti nella chiesa e si fossero fatti saltare in aria durante la celebrazione Eucaristica. Quelle immagini mi sono rimaste impresse nella mente. Esse continuamente mi tornavano alla mente.
Quando la domenica successiva siamo andati in chiesa, mentre passavamo attraverso i controlli di sicurezza, mi sono girata verso mia madre, dicendole: «Mamma, ho paura! E se anche noi morissimo durante la Messa?». Lei mi sorride e mi risponde, «non sarebbe bello morire vicino all’altare dove Cristo si sacrifica ogni giorno per noi? Non essere preoccupata. Invece, sii felice!». La sua risposta ha subito trasformato la mia paura in gioia. Lei aveva ragione! Se un attentato fosse accaduto, sarebbe stato un privilegio per tutti noi morire vicino all’altare, rendendo lode a Gesù.
Ero rimasta molto colpita dalla risposta di mia mamma. Lei è una donna semplice. Ha studiato poco, non è andata all’università e neanche ha fatto studi di teologia. Quello che sa della sua fede l’ha imparato dai suoi nonni e nella parrocchia che frequentava quando era giovane. E questo è sufficiente per renderla così forte nella fede. Questo mi ha fatto pensare a tutte quelle persone che studiano teologia e passano anni ad approfondire la loro fede e tuttavia non sono in grado di viverla. Loro, spesso, presentano tanti complessi, si fanno tante domande e hanno tanti dubbi che li portano ad allontanarsi gradualmente dalla loro fede, invece che avvicinarsi sempre più ad essa.
Questo mi porta a pensare che c’è una fede più profonda e genuina nelle persone semplici.
Comunque, oltre gli attacchi terroristici, a noi cristiani ci viene posto un altro ostacolo per impedirci di partecipare alla Santa Messa, specialmente durante le maggiori festività.
Succede spesso che durante le feste l’elettricità viene deliberatamente interrotta tutto il giorno, specie in zone dove c’è un’alta concentrazione di cristiani. A volte essa viene sospesa in orari vicini all’ora della Santa Messa, in modo da metterci nella condizione di non essere in grado di prepararci in tempo alla partecipazione della Santa Messa. Ricordo quante volte abbiamo dovuto prepararci a lume di candela o con le luci di emergenza per poter andare in chiesa.
Ma nessuno di questi problemi ci ha mai impedito di partecipare alla celebrazione Eucaristica. Anzi, questi problemi ci hanno resi sempre più forti nella fede. Gli attacchi terroristici, pur facendo paura, non hanno mai scoraggiato i credenti, anzi, le chiese sono sempre piene di fedeli. E, indipendentemente dai problemi che dobbiamo affrontare, la gente continua a partecipare numerosa alle Sante Messe e preferisce morire davanti all’altare piuttosto che morire di morte naturale a casa.
Queste nostre esperienze mi fanno spesso pensare alle lettere di San Paolo quando, scrivendo alle sue comunità cristiane, dice che nessuna avversità avrà mai il potere di sopraffare la presenza cristiana. Egli le esorta a resistere nelle prove, a non lasciarsi mai intimidire e di essere fiere, anche se incomprese nel dare testimonianza a Gesù. San Paolo fornisce una profonda ragione teologica al dolore innocente che non risparmia il cristiano: egli è imitazione di Cristo Crocifisso, che ci chiama a morire con Lui per risorgere con Lui, partecipando attivamente al mistero redentivo della sua Pasqua «a causa del quale [Gesù] io soffro fino a portare le catene come un malfattore; ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò sopporto ogni cosa per gli eletti, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Certa è questa parola: Se moriamo con lui, vivremo anche con lui» (2 Tim 2, 9-11).»
(Fonte: blog di Zarish Neno, donna, cattolica, pakistana)
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.