Annalisa Minetti. Con la cecità ho imparato a vedere la vera vita
Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 08/04/2013
Ha cominciato a perdere la vista a dodici anni. Considera questa condizione come un messaggio di Dio. Non accetta che si parli di svantaggio per la sua disabilità e fa di tutto per dimostrarlo.
Annalisa Minetti, come giudica la sua condizione? Spesso davanti a una persona che non vede, ci si trova a disagio anche con le parole da usare: svantaggio, disabilità, sfortuna, sventura…
Nessun Problema e nessun imbarazzo. Anche lei che mi intervista cerca di sfumare, ma con me non è il caso. Non esiste lo svantaggio. Essere non vedente è stato il dono più grande che Dio mi potesse fare. E non solo perché posso vedere con gli occhi del cuore, ma quella luce diversa e nuova io non l’avrei mai scoperta. Io non sarei mai stata la donna che sono. Ti scopri con una forza interiore che ti rende specialmente abile. Non bisogna mai porsi limiti nella vita. È meraviglioso ascoltare la gente, vivere il proprio percorso, non sapere dove approderà. Sconfitto è chi non prova.
È preferibile nascere ciechi e non sapere cosa si perde non vedendo o, dopo aver visto le molte sfumature della bellezza, non poter più vedere?
A me piace la certezza del bicchiere mezzo pieno. Se fossi stata cieca fin dalla nascita non conoscerei forme e colori delle cose. Rinunciare a qualcosa che hai visto all’inizio fa male, con la consapevolezza che non la vedrai mai più: ma hai la consolazione ei averle viste. La mia mente continuerà a vederle ogni volta che vorrò. Io impongo alla mia mente una visualizzazione e la mia mente mi appaga.
Di fronte al dolore, tutti si chiedono: perché proprio a me? Annalisa si spinge a dire che “la cecità è un messaggio di Dio che mi consegna un tesoro…”: non c’è qualche esagerazione?
Ho trovato un grande sollievo nella fede, che porta a non porsi troppe domande. Occorre accettare ciò che ci capita. Dio non ci dà mai un peso superiore alle nostre forze. La sofferenza è diventata la mia migliore amica. Dalla sofferenza riesco a capire che donna sarò domani. Il dolore è diventato il mio formatore. L’oscurità mi insegna che tutto è possibile. Sto combattendo per vivere una vita dignitosa, come la voglio io. L’unico antidoto contro il male è l’amore: questo l’ho appreso dal dolore. Se non soffri, non ami. Se sorridiamo al dolore, lo disarmiamo.
I suoi genitori come la pensano al riguardo?
Mio papà non ha mai vissuto gli accadimenti di famiglia come una malasorte. I miei genitori, dopo 36 anni di matrimonio, si vogliono benissimo. Papà è come Atlante che regge tutta la famiglia. Lui mi ha spinto a reagire quando arrancavo all’avvisaglia del male, che mia vrebbe portato via la vista per sempre. Mia mamma vive con l’ingenuità e lo stupore di una ragazzina. Quando il buio per me divenne totale, una volta sentii piangere mio padre a dirotto: chiedeva a Dio che girasse a lui la mia sofferenza. Mi rimboccai le maniche per dargli comunque grandi soddisfazioni che lo ripagassero, perché la vita resta un grande dono, sempre.
Lei si definisce fragile ma non debole. Che differenza fa?
La debolezza è una rinuncia a trovare qualcosa. Essere fragile è avere umiltà nei confronti dei sentimenti. Io detesto tutte le parole che cominciano con “pre”. Invece di pre-occuparci, perché non proviamo a occuparci di qualcuno o di qualcosa? Nella vita bisogna tentare, sprecarla sarebbe una grande bestemmia verso chi ce l’ha donata. Lottiamo per un sogno, per un obbiettivo. Non lasciamoci vivere. Ciascuno individui la sua ambizione e combatta per arrivarci. Amore e cuore fanno la differenza rispetto alla normalità.
[Di G. Zois, pubblicato sul mensile “Frate Indovino”, Anno 56, n. 4, pag. 13]
“Dobbiamo cambiare la mentalità, non possiamo disporre della vita, non ci appartiene” « FERMENTI CATTOLICI VIVI said
[…] Parker – La vostra Annalisa Minetti, che ha ringraziato l’atleta che l’ha guidata in pista, e ha detto che la cosa più importante […]
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