FERMENTI CATTOLICI VIVI

"Andate controcorrente. Di quanti messaggi, soprattutto attraverso i mass media, voi siete destinatari! Siate vigilanti! Siate critici!" Benedetto XVI

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Archive for the ‘missioni’ Category

«Siamo arrivate il 24 dicembre 2011, c’erano 30 gradi sotto zero. Ho subito capito che era lì che dovevo essere»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 24/10/2020

Storia di un monastero oltre il circolo polare artico.

Lannavaara, cento abitanti nella Lapponia svedese, 250 chilometri oltre il Circolo polare artico. Da due anni suor Amada e suor Karla vivono qui per pregare, nel silenzio di questo “deserto”. «Presto saremo tre, perché una nuova sorella sta per arrivare dalla Norvegia», è la prima cosa che racconta entusiasta Amada Mobergh, svedese, 56 anni.

Una storia carica di amore per Dio, scoperto a vent’anni. «Sono una convertita, cresciuta a Stoccolma, una vita estremamente secolarizzata. Quando ho trovato Gesù ho anche scoperto la mia vocazione». Nei trent’anni vissuti nel Regno Unito, nella congregazione delle Missionarie della carità, il desiderio di una vita più contemplativa diventa irresistibile. «Avevo molta paura ed ero triste perché amavo la mia congregazione, ero grata per tutti gli anni vissuti insieme. Ma dovevo capire se quel desiderio fosse volontà di Dio, un capriccio, una tentazione».

Miracoli. È il 2011. «Quando il vescovo di Stoccolma mi ha dato il permesso di tornare in Svezia per cominciare questa nuova vita, mi ha detto che era contento, ma che non avrebbe potuto sostenermi in nulla», perché la chiesa svedese è piccola e povera. Così suor Amada passa un mese a visitare quattro monasteri del sud della Svezia per capire come muoversi, «senza soldi, né casa, senza conoscere più niente».

Per quelle casualità che la religiosa chiama «miracoli», una telefonata arriva dal profondo nord proprio alla fine di quel soggiorno: c’era una casa in affitto. «Le sorelle mi diedero i soldi per il treno e partii subito per il nord». La casa in realtà si rivelò non adatta, ma i miracoli si inanellarono fino a portare suor Amada a trovare una prima sistemazione per sé e suor Karla.

«Siamo arrivate il 24 dicembre 2011, c’erano 30 gradi sotto zero. Ho subito capito che era lì che dovevo essere». Dopo qualche mese vedono la vecchia scuola di Lannavaara, «immersa nella natura più selvaggia», perfetta, inutilizzata da anni, costosa. Altri prodigi: «Ci siamo trasferite lì, anche se non avevamo i soldi per comprarla; abbiamo lavorato giorno e notte per renderla vivibile. Un giorno è passato un signore dalla Norvegia, entusiasta della nostra esperienza, perché non si era mai sentito parlare di un monastero così al nord». E dopo poche settimane è arrivata la cifra esatta per comprare la scuola. «Ogni giorno Dio ci aiuta ad andare avanti con la sua provvidenza, il suo miracolo quotidiano, ciò che ci basta per continuare».

Vite per Dio. «Silenzio, solitudine, preghiera» scandiscono le giornate di Amada e Karla. «Preghiamo insieme e poi al pasto serale ci parliamo. Sarà così anche quando saremo tre». «La mia sofferenza è vedere che in Svezia non ci sono sacramenti, c’è povertà spirituale, lontananza da Dio e dalla chiesa». E questo è il senso della vita qui al monastero San Giuseppe: «Pregare e offrire la vita a Dio, seguendo l’esempio di Maria, per la conversione delle anime, soprattutto degli scandinavi e la chiesa cattolica in Svezia». L’esperienza del buio che qui dura quasi per sette mesi l’anno aiuta a «pregare meglio per chi vive il buio dentro di sé, perché trovi la luce di Gesù».

Il quotidiano. Oltre alla preghiera ci sono il lavoro e l’accoglienza. Suor Karla è straordinaria nello scolpire il legno; le suore coltivano e vendono anche erbe aromatiche e candele. «Non usciamo mai», ma la notizia che lì abitano due suore gira di bocca in bocca. Solo per il primo Natale a Lannavaara «abbiamo fatto dei piccoli presepi e siamo passati in ogni casa del villaggio per regalarli e far vedere che siamo esseri umani, cristiani».

L’accoglienza è stata ottima e adesso sono le persone che vanno al monastero, per bere un caffè, pregare, meditare la Parola. Un altro grande dono di Dio è il prete inglese che vive sei mesi l’anno nel monastero. Quando lui non c’è, viene un sacerdote della parrocchia a celebrare l’eucarestia, oppure sono le suore ad andare là: 430 chilometri di strada. «D’inverno è buissimo, ghiacciato, c’è neve, vento e renne, daini, ogni genere di animali ti attraversa la strada. È molto rischioso, ma ti abitui. Devi solo pregare e andare».

Futuro. Il 1° maggio 2015 le suore hanno ottenuto il riconoscimento diocesano come Congregazione degli Agnelli di Maria. Difficoltà? Solitudine? «Sì, a volte sentiamo che forse nessuno si preoccupa se siamo vive o morte, ma non c’è scoraggiamento». La solitudine è parte dell’esperienza umana, «ovunque siamo nel mondo, dentro o fuori la chiesa». Del resto «ho ricevuto tantissime grazie da Dio e dalla chiesa per potermi lamentare o sentirmi scoraggiata. E voglio offrire la mia vita in ringraziamento per questo». Ora il desiderio è di rendere la vecchia scuola un vero e proprio monastero. Un architetto inglese ha regalato il progetto; il comune l’ha approvato. Un nuovo miracolo arriverà.

(Fonte: https://www.difesapopolo.it/Archivio/Speciali/L-anno-della-vita-consacrata/Oltre-il-Circolo-polare-artico-vita-da-suora-fra-preghiera-e-lavoro)

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«Cantare il nome di Gesù, fino all’ultimo respiro.»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 05/08/2019

La storia di suor Rani Maria, la prima donna martire beatificata dell’India.

«Suor Rani Maria, dell’Ordine delle Clarisse Francescane (OCC), nacque in Kerala, dove lavorò come missionaria per la liberazione ed il recupero di persone povere e sfruttate dai proprietari terrieri della diocesi di Indore nello stato del Madhya Pradesh in India e fu beatificata ad Indore il 4 novembre del 2017.

Suor Rani Maria, mentre viaggiava in autobus, fu brutalmente attaccata e pugnalata a morte da Samandar Singh il 25 febbraio del 1995 nel complotto ordito dai proprietari terrieri della zona che disprezzavano il lavoro svolto dalla suora per liberare i poveri dalle loro grinfie.

Samandar Singh fu perdonato dalla sorella, Sr. Selmy Paul – anche lei Clarissa – e da tutta la loro famiglia. Singh presenziò la cerimonia di beatificazione del 14 febbraio.

Ciò che ha toccato molte persone è il modo in cui Sr Rani Maria, che aveva subito 40 ferite gravi e 14 lividi dovuti alle coltellate, ha continuato a cantare il nome di Gesù, nel più grande dolore fino a che non ha emesso il suo ultimo respiro; il modo in cui tutta la famiglia ha perdonato il suo assassino e la conversione che ha vissuto lo stesso assassino.

Ringraziamo e lodiamo il Signore per questo. Suor Rani Maria si dedicò con forte impegno all’assistenza sociale dopo aver vissuto l’esperienza del Battesimo nello Spirito Santo durante un seminario tenutosi per i Leader Carismatici della Regione dell’India del Nord a Indore dal 13 al 20 settembre 1993.

Il Seminario fu organizzato dall’equipe di Servizio Nazionale. Gli insegnamenti riguardarono principalmente il Rinnovamento Carismatico Cattolico, la leadership, i carismi e l’intercessione. Per noi tutti, il Seminario ed il Battesimo nello Spirito Santo furono una esperienza potente.

Suor Rani Maria fu beatificata come Beata Martire il 4 novembre del 2017 a Indore. Durante la Santa Messa S.E. Angelo Cardinale Amatho S.D.B, prefetto della Congregazione per i Santi beatificò suor Rani Maria pubblicando il decreto ufficiale di beatificazione firmato da Sua Santità Papa Francesco. Sr. Rani Maria è la prima donna Beata Martire dell’India.»

(Fonte: CHARIS Magazine N° 1 – Luglio 2019)

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«Quando andai via e la vidi sorridere, mi sentivo felice, come lo ero stata ben poche volte nella mia vita.»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 29/09/2017

«La prima volta che mi è stato chiesto di andare a fare compagnia agli anziani, io non capivo davvero cosa significasse in quanto ero convinta non servisse a niente passare un’ora a settimana con loro, per renderli davvero felici.

Perciò quando la mia migliora amica Tiffany mi “obbligò” (quasi) ad accompagnarla dai “vecchietti” io ero molto impacciata e non sapevo come comportarmi con loro anche perché, come ho già detto, la reputavo una cosa inutile.

Poi, però, mi misi a guardare gli occhi e i visi di quei vecchietti: quando la mia amica dava loro un bacio o quando raccontava le sue avventure e disavventure quotidiane erano felici, anche se solo per un momento, lo erano perché si sentivano voluti bene, capiti, ascoltati.

Così, quando tornai a casa, riflettei su quanto avevo visto e soprattutto pensai al modo in cui una ragazzina di quindici anni aveva potuto rendere felici per cinque minuti quei vecchietti.

La seconda volta che ci andai la mia amica non c’era, quindi io non sapevo esattamente come comportarmi.

Ad un certo punto vidi una signora seduta da sola, che guardava in basso e che tratteneva a stento le lacrime. Così andai da lei e cominciammo a parlare come se ci fossimo conosciute anni prima, come se fossimo state amiche da tempo.

Lei si fidava di me, mi raccontava i suoi sentimenti, le sue emozioni, i suoi dispiaceri ed io non facevo altro che ascoltare, dirle qualche parola di conforto, spiegarle che io ero vicina a lei.

Parlammo per quasi mezz’ora e alla fine, quando andai via e la vidi sorridere, mi sentivo felice, come lo ero stata ben poche volte nella mia vita. Così cominciai a frequentare molto spesso l’ambiente, con la mia amica, tanto che divenne quasi un impegno, un impegno preso con me stessa.

Quando entro nella Casa delle Piccole Sorelle dei Poveri e faccio una partita a carte con Lina o chiacchiero con Rossana o cerco di far sorridere Francesca o ascolto le barzellette del “cavaliere”, mi sento meglio, più completa, come se cercando di rendere felici quelle persone diventassi io stessa più felice.» (Elisa Fanizza)

(Fonte: http://www.psdp.it/testimonianze)

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“Ti passai accanto, eri nell’età dell’amore, ti ho preso per mano e sei diventata mia”

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 29/12/2016

“Ti passai accanto, eri nell’età dell’amore, ti ho preso per mano e sei diventata mia” – così Gesù si è ufficialmente dichiarato…

La storia di suor Laura, che rinuncia a una carriera nella moda per consacrarsi, e che ora è felicemente missionaria in Africa.

DUE VIDEO CHE VALE LA PENA GUARDARE FINO IN FONDO!

 

“C’è chi muore sotto terra, il chicco di grano, c’è chi lo innaffia e chi raccoglie e chi porta a casa i covoni. Noi non porteremo a casa i covoni, siamo ancora a livello di chicco che spesso muore sotto terra. Qualche piccolo germoglio già lo vediamo ma è ancora proprio piccolo. Ma questo ci basta, lo vedremo in Paradiso.” (Suor Laura Girotto)

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Rosemary, la suora che ricuce le borse, e le ferite delle bimbe soldato

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 19/12/2016

rosemary_01

Per 25 anni Joseph Kony e la sua Lord’s Resistance Army (LRA) hanno terrorizzato l’Uganda del nord. Rapivano i bambini per riempire il proprio esercito e farne degli omicidi, forzandoli a mutilare i membri delle loro stesse famiglie. Ragazzini e ragazzine venivano sottratti alle loro famiglie, ma le ragazzine soprattutto venivano ricercate dai ribelli perché oltre ad essere usate come bimbe soldato, venivano rese schiave sessuali per gli ufficiali di Koni.

Ora la guerra è finita ma decenni di questo brutale conflitto hanno segnato profondamente gli ugandesi. I bambini soldato, sono tornati alle comunità contro cui avevano commesso crimini violenti, le ragazze inoltre col ricordo costante del loro abuso, i figli dei loro rapitori. Queste ragazze, oggi giovani donne, sono spesso emarginate dalle loro comunità. Esse non solo hanno commesso crimini efferati, ma portano con sé i figli degli uomini che hanno distrutto così tante vite, comprese le loro. Molte di loro hanno perso le famiglie in guerra. Nessuna ha avuto l’opportunità di studiare. Dove potrebbero andare? Ce l’hanno un futuro?

rosemary_02[Ma c’è una donna che] sta ristabilendo la speranza nella sua nazione; Suor Rosemary, che abita presso la Scuola Vocazionale Saint Monica a Gulu, in Uganda. Lei ha vissuto nell’orrore della guerriglia di Koni e adesso lavora per guarire le ferite che lui ha inflitto alla sua gente.

Dalla sua infanzia Suor Rosemary ha appreso il valore del lavoro duro. Suo padre era un abile falegname, e sua madre le ricordava sempre che nessuno sarebbe morto per il lavoro in quel villaggio. A dieci anni va a vivere con sua sorella maggiore, col compito di occuparsi dei suoi nipoti. Sviluppa quindi la passione per la cura degli altri, che si porterà sempre dietro in tutta la sua vita.

E’ stata questa passione a portare la teenager Suor Rosemary a unirsi alle Suore del Sacro Cuore. Vedendo il loro ministero di compassione desiderava dare la propria vita per gli altri. In convento impara a fare molte cose che le torneranno utili in futuro. Studia da ostetrica ma dovrà interrompere gli studi per assistere un chirurgo. Come addetta alle suture il chirurgo le diceva spesso: “Quanto ti sto insegnando ti preparerà ad aiutare la gente in tempo di bisogno.” Le sue predizioni si sarebbero presto rivelate vere.

rosemary_03La guerra comincia quando la suora era a Gulu come coordinatrice di un piccolo gruppo di suore che vivevano nella via principale. Suor Rosemary veniva chiamata così tante volte a ricucire le ferite provocate dai ribelli.

Il conflitto cresceva così intensamente che la notte le sorelle erano costrette a rifugiarsi nel corridoio più interno e nascosto; sedevano, ascoltando gli spari e aspettando la luce del giorno. Suor Rosemary incontrava sovente i ribelli; una volta una donna arrivò perché inseguita da due di loro, la suora la nascose. Non avrebbe rivelato il suo rifugio nemmeno con una pistola puntata contro.

Il conflitto divenne così intenso che le suore dovettero lasciare Gulu. Dopo aver completato gli studi da ostetrica, i superiori chiesero alla suora di tornare a Gulu per coordinare la scuola vocazionale Saint Monica. Lì la suora dovette affrontare le sfide per cui era stata preparata durante tutta la sua vita.

Arrivata a Saint Monica, i ribelli ancora terrorizzavano la città. Non erano rimaste che trenta studentesse ma centinaia di persone cercavano rifugio lì la notte. La vocazione dell’istituto era quella di dare una formazione di qualità a persone con difficoltà economica ma stava diventando qualcosa di più.

rosemary_04Rosemary capì che queste ragazze erano state rapite e che avevano passato anni coi ribelli, perdendo ogni opportunità e senza alcuna istruzione. La suora allora ha ideato un corso pratico di taglio e cucito in cui le ragazze che non avevano avuto nemmeno un’istruzione base, avrebbero potuto imparare un mestiere aiutando se stesse e le loro famiglie. A quel corso si segnò un terzo delle ragazze.

La suora fece un annuncio alla radio offrendo quel corso a tutte le ragazze ritornate dalla prigionia. Arrivarono in centinaia. La scuola Saint Monica era di nuovo in fermento. La suora insegnava a quelle ragazze e diventare indipendenti ma soprattutto dava loro l’opportunità di guarire. Con amore, ascoltando quelle giovani donne, mostrando loro compassione, donando loro tempo per guarire, le suore alla scuola Saint Monica riportavano la speranza nelle vite di queste donne.

Adesso le suore hanno aperto un’altra scuola ad Atiak, a 90 km a nord di Gulu, entrambe le scuole sono autonome producendo uniformi scolastiche, cucina per eventi, producendo originali borse create cucendo le linguette delle lattine che adesso vendono in tutto il mondo.

Il sogno di suor Rosemary è quello di stabilire scuole del genere nel nord dell’Uganda e in Sud Sudan. Lei cuce un futuro brillante per il suo popolo e dice alle sue ragazze: “Il passato non può essere recuperato, ma c’è il futuro. La mia speranza parte adesso. Possiamo camminare, domani, nella speranza”

(Tradotto da http://www.prosforafrica.com/sewinghope)

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“Se Gesù non avesse progettato di accogliermi, avrei vissuto un’esistenza piena di superstizioni e di credenze religiose”

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 15/12/2015

Kathmandu_01

 

Nella notte di Natale verranno battezzati più di 10 giovani nella cattedrale dell’Assunzione di Kathmandu.

Alla base della conversione, spiegano ad Asia News, “tanti motivi diversi. Dalle discriminazioni sociali della tradizione culturale indù, all’esempio delle Missionarie di Madre Teresa che si prendono cura dei bisognosi”.

San Shrestha Sharma ha deciso di convertirsi al cristianesimo perché “tra i cattolici ho trovato molti più amici rispetto alla mia famiglia e ai miei parenti”; Sonika B.K. vuole essere battezzata insieme a sua madre “perché la religione cattolica mi rispetta e apprezza di più rispetto alla tradizione culturale dell’induismo, dove le classi povere non possono sollevare la testa e sono soggette a ogni tipo di odiosa discriminazione”.

San Shrestha e Sonika sono due giovani nepalesi, di 26 e 22 anni, che hanno deciso di diventare cristiani e attendono il rito del battesimo con ansia e trepidazione. Con loro, un’altra decina di ragazzi celebrerà il proprio ingresso nella comunità cristiana durante la notte di Natale. Tutti loro sono entusiasti di poter “diffondere il messaggio di Dio in tutto il Paese con ruolo attivo”.

Diversi giovani frequentano da più di due anni il catechismo presso la cattedrale dell’Assunzione di Kathmandu, dove San Shrestha partecipa alla Messa ogni domenica. Egli riferisce ad AsiaNews: “Entrambi i miei genitori sono di religione indù e io sono cresciuto con le stesse tradizioni.

Kathmandu_02Quando ho sentito parlare dei fedeli cattolici, che sono pochi in Nepal ma vivono in modo più dignitoso, mi sono interessato a comprenderne il motivo. Così ho capito che alla base di tutto vi sono la fede in Cristo e nella misericordia di Dio”.

Il ragazzo dichiara: “Nessuno mi ha invitato a entrare in chiesa. Da solo ho cercato la cattedrale e qui ho trovato più amici rispetto alla mia famiglia e ai miei parenti. Sono l’unico della mia famiglia che ha deciso di convertirsi, ma mi impegnerò a diffondere il messaggio di Dio in ogni luogo, come un vero cristiano”.

Egli poi aggiunge che ha frequentato il liceo e l’università, “ma lì nessuno mi ha insegnato la vita vera e il vero modo di vivere.

Da quando partecipo al catechismo, mi è stata mostrata la vera parte di vita che ci rende felici e apprezzati. Se Gesù non avesse progettato di accogliermi, avrei vissuto un’esistenza piena di superstizioni e di credenze religiose”.

Sonika frequenta il catechismo con sua madre. La ragazza spiega: “La mia vita è cambiata completamente da quando ho incontrato Dio. Tutta la mia famiglia è indù. In questa religione noi non abbiamo il permesso di sollevare la testa perché apparteniamo alla casta povera.

Non potete immaginare le discriminazioni e il disprezzo che siamo costretti a subire in ogni circostanza, sia se vogliamo bere un bicchiere d’acqua sia se vogliamo recarci al tempio per onorare le divinità”.

Kathmandu_03Sonika ritiene che l’aspetto spirituale di una persona sia più importante del ceto sociale: “Questo tipo di discriminazioni non sono presenti nel cristianesimo. Quando entro in una chiesa, mi sento più rispettata e avverto che siamo tutti uguali”.

La giovane conclude con un ricordo del momento in cui ha deciso di convertirsi: “È stato quando ho incontrato le sorelle Missionarie della Carità che in Nepal si prendono cura degli anziani e delle madri abbandonate.

Le suore lavoravano in modo altruistico per i bisognosi. Da quel momento sono andata alla ricerca della Chiesa cattolica e ora sono pronta a farne parte. Voglio ricevere il rito del battesimo e condividere la mia esperienza e le parole di Cristo in tutta la società”.

[Fonte: Asia News]

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“Mi sentivo una pedina fuori gioco – Io non avuto coraggio, è stato Dio che ha avuto coraggio e ha guardato verso di me”

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 16/10/2015

L’incredibile storia del cantante Shoek che ha cambiato la sua vita grazie alla fede

Sono nato a San Patrignano perché i miei genitori erano tutti e due con problemi di droga. Mamma non volle abortire perché sia papà che lei videro in me una speranza.

Avevo tre anni, mia madre decise di abbandonarmi, quando vide che da me non ricavava soldi, mi lasciò in mezzo a una strada. Chiamò mio padre dicendogli di venirmi a prendere perché per lei ero diventato un peso.

Mio papà non aveva mai ricevuto amore dai suoi… Il suo modo per dimostrarmi amore era di portarmi nei locali. Per me era normale vedere spogliarelli, risse…

Mi facevo grande a scuola: io non vedo i cartoni animati ma le ragazze che si spogliano. In realtà volevo dormire a casa dell’amichetto, guardare il cartone animato…

Mi sentivo una pedina fuori gioco, mi sentivo che non servivo a niente in questa vita.

Crescendo… Ero un ragazzo insopportabile, odiavo me stesso. La vita mi faceva letteralmente schifo.

Iniziai a cercare Dio: OK, se esisti veramente, ho bisogno di capire perché ho una mamma così e perché mio papà per la droga è malato e può morire da un momento all’altro? Se veramente esisti dove sei? Avevo quattordici anni.

Mia madre mi offriva la droga. Quello che mi dava non era quello che desideravo ma mi sembrava che io avessi una mamma. Facevo finta che per un attimo potevo stare bene.

Mi cercavo la vita nella strada, dormivo di là, di qua, vivevo con una ragazza finché non mi sbatteva fuori… Amici veri non ne avevo.

Continuavo a sfidare Dio. Andavo nelle chiese e bestemmiavo, fino a che il prete non mi sbatteva fuori. In quel preciso momento Dio ascoltò, o meglio, io ascoltai. Una ragazzina credente, sul pulman,ogni giorno mi guardava. Stavo leggendo un libro di Marilyn Manson. Lei mi disse: “Ma lo sai che Gesù ti ama?”

Insisteva ogni giorno… Le dicevo si smetterla… Lei mi diede un biglietto! Se non posso parlòarti comincerò a scriverti che Gesù ti ama.

Leggevo la Bibbia. Quando non capivo chiedevo a lei, lei spiegava e toccava il mio cuore, fino a quando lessi Matteo 9, Gesù che si sedeva coi pubblicani e i peccatori – io sono venuto per i malati… Sentii l’abbraccio di Dio e un amore che non avevo mai sentito.

Signore, io voglio lavorare per te ma non so predicare, so fare musica…e così canto che no è finita, che c’è ancora una speranza, i problemi ci sono ma Dio è più grande dei nostri problemi.

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La suorina che affrontò Billy the Kid

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 12/09/2015

Blandina_01Sarà santa la suora più veloce del West che sfidò Billy the Kid

Il Far-West lo hanno fatto i cow-boy, gli indiani, i missionari cattolici e le suore. Sì, le suore: energiche, coraggiose, talora eroiche e magari anche sante come suor Blandina Segale, per la quale – lo ha annunciato mons. Michael J. Sheehan, arcivescovo di Santa Fe, nel New Mexico – si apre ora, dopo il nulla osta della Santa Sede, la causa di beatificazione.

Suor Blandina era italiana, nata a Cicagna, in provincia di Genova, il 23 maggio 1850 con il nome di Rosa Maria. Quando aveva quattro anni, i suoi genitori (Giovanna Malatesta e Francesco Segale) si spostarono a Cincinnati, in Ohio, è così la futura suora divenne americana. Blandina fu il nome della martire del II secolo che Rosa volle assumere entrando nelle Suore della Carità l’8 dicembre 1868, a 16 anni. Così fece subito dopo pure la sorella maggiore, Maria Maddalena, che, dopo avere rifiutato diverse proposte di matrimonio, la seguì nello stesso convento come suor Giustina (spesso anglicizzato in Justina).

La prima missione di suor Bladina fu l’insegnamento nelle cittadine di Steubenville (dove oggi sorge, fondata nel 1946, una ben nota università francescana, fiore all’occhiello della Chiesa statunitense) e di Dayton, in Ohio. Poi, il 27 novembre 1872, fu inviata in missione in Colorado, precisamente (fate caso ai nomi) nella cittadina mineraria di Trinidad, contea di Las Ánimas, valle del fiume Purgatoire (che gli spagnoli chiamavano “El Río de las Ánimas Perdidas en Purgatorio”) noto tra l’altro per le molte menzioni che gli tributa il classico del cinema western L’uomo che uccise Liberty Valance, diretto nel 1962 da John Ford, con John Wayne e James Stewart.

Blandina_02Ora, il Colorado di allora non era quello di oggi, raggiungibile comodamente in areo, famoso per i resort e rinomato per alcune tra le piste da sci più belle del mondo. Era invece un territorio semiselvaggio di frontiera infestato da indiani e pistoleri. Suor Blandina non se ne accorse subito. Quando le dissero Trinidad, aveva pensato alla lussureggiante isola delle Piccole Antille davanti al Venezuela o all’omonima cittadina tropicale di Cuba. A bordo del treno che attraversava le polveri roventi del deserto si accorse invece che l’attendeva tutt’altro. Ventiduenne, viaggiò da sola nella desolazione e il 9 dicembre arrivò a destinazione: poche case al limite dell’ecumene umano che per i fuorilegge del West erano come la Tortuga per i pirati caraibici e dove il linciaggio era il modo usuale per regolare i conti. Suor Blandina insegnava ai ragazzi di quel mondo surreale, e una volta riuscì anche a salvare la pelle a un tale che aveva sparato a un tizio: la folla lo aveva strappato dalla cella in cui era rinchiuso per impiccarlo in piazza, ma suor Blandina convinse uno sceriffo attonito a farsi consegnare l’assassino, questi a chiedere perdono alla sua vittima e la folla, sbigottita, a tornarsene a casa.

Ben altra minaccia incombeva però su Trinidad e il suo nome (meglio, nomignolo) era Billy the Kid, il famoso ladro e assassino, al secolo Henry McCarty (1859-1881) ‒ e anche Henry Antrim o William Harrison Bonney ‒, reso celebre da cinema, tivù e fiction. Quelle erano le sue zone di bottino. Ma nemmeno per il più smaliziato dei criminali le cose filavano lisce sempre. Durante un alterco, uno della banda aveva sparato a Billy, che ora agonizzava in una baracca poco lontana da Trinidad. Appena lo seppe da un ragazzino della scuola, suor Blandina corse dal bandito: a dargli cibo e acqua certo, ma soprattutto a rispondere alle domande su Dio e sulla religione che quel furfante introverso e caratteriale non cessava mai di farsi. Poi Billy guarì, ma solo dalle ferite: l’aveva giurata ai medici che non lo avevano voluto curare perché era un brigante e così diede loro, anzi al loro scalpo, appuntamento per un assolato sabato alle 14,00 precise.

Blandina_03Giunto a Trinidad, però, Billy non incontrò i dottori, ma suor Blandina. La salutò con estrema cortesia, impegnandosi per riconoscenza a esaudire qualsiasi desiderio ella avesse espresso. E, ovvio, suor Blandina disse a Billy di lasciar stare lo scalpo dei quattro medici. Billy sussultò, si adirò meravigliato che la suora conoscesse il motivo del suo arrivo in città, ma poi si quietò e risparmiò le vite che aveva deciso di prendere. La storia della suorina genovese che nel selvaggio Ovest ferma il famoso “Attila” da film fece il giro del mondo e ancora oggi passa di bocca in bocca. Tanto da averle guadagnato il soprannome di “suora con gli speroni” e “suora più veloce del West”: più lesto il suo amore in Dio di qualsiasi revolver. Dopo Trinidad suor Blandina fu assegnata – era il dicembre 1873, a Santa Fe, nel New Mexico. Per arrivare laggiù, all’epoca si percorreva un bel tratto dei 1400 chilometri di pista per mandrie e carovane che partiva da Franklin, nel Missouri.

Nel mezzo del nulla; perché se qualcosa c’era, erano gli indiani. Il Colorado faceva ancora parte dei Territori non organizzati che erano di chi di fatto li occupava; il Texas aveva appena smesso di essere una repubblica indipendente; e la pista si snodava lungo la Comanchería, la patria dei non proprio amichevoli indiani omonimi. Una esodo, che la suora ricorda nel suo libro At the End of the Santa Fe Trail, pubblicato postumo per la prima volta nel 1932. Giunta a Santa Fe, andò subito a trovare un vecchio amico. Billy the Kid, che, catturato, se ne stava in prigione. Per poco, però, perché presto fuggì. Un giorno, a bordo di una diligenza, suor Blandina e altri furono molestati dai banditi.

Blandina_04All’avvicinarsi dei predoni, i viaggiatori tremavano e lei recitava il rosario. Poi il capo della banda gettò uno sguardo rapace dentro la diligenza, fece un gesto di riverenza col cappello e voltò il cavallo altrove. Era sempre Billy, e la presenza di suor Blandina ne aveva ancora una volta stemperato i propositi malvagi. Per un altro ventennio abbondante la vita della suorina genovese portò Gesù nel Far West, ma anche l’istruzione, l’educazione, la cura dei malati e la difesa dei diritti umani di indiani e d’ispanici, inaugurando scuole, ospizi e ospedali. Nel 1882 ricostruì il convento distrutto di Albuquerque e, sempre lì, nel 1901 portò a termine la costruzione del St. Joseph Hospital. Quando, a Trinidad, qualcuno le disse con disprezzo che con quell’abito da consacrata non poteva certo insegnare, suor Blandina sfoderò una copia della Costituzione federale degli Stati Uniti sventolandone il Primo Emendamento che definisce al libertà religiosa la prima libertà dei cittadini e americani, e continuò per la sua strada tipo “ragazzo scansati, che debbo lavorare”.

Poi la piccola grande suora rientrò, oramai anziana, a Cincinnati, dove, con la sorella suor Giustina, creò un centro di assistenza per italiani che le occupò gli ultimi anni di vita, appena prima di sapere che l’altrettanto famoso sceriffo Pat Garrett (Patrick Floyd Garrett, 1850-1908), da sempre alle calcagna di Billy the Kid, aveva finalmente ucciso il bandito. Il pensiero di suor Blandina tornò ai loro primi colloqui, chiedendosi se quell’assassino e ladro avesse avuto il tempo di trovare quella pace divina cui tanto bislaccamente da sempre anelava. A Cincinnati suor Blandina si spense il 23 febbraio 1941. Fu una delle prime donne a prendere la patente; ovviamente guidava una Ford.

Il suo nome, l’ennesimo nome italiano di un consacrato a Dio nel selvaggio West americano, è legato a storie di eroismo e di abnegazione vere che sono più affascinanti di qualsiasi romanzo d’appendice, tant’è che Rosa Maria Segale è persino finita in una puntata della serie della CBS Death Valley Days; negli anni 1960 è stata protagonista di due storie edite sul periodico cattolico di fumetti Treasure Chest of Fun & Fact, illustrate da Loyd Ostendorf (1921-2000) ‒ artista e storico, noto per le biografie del presidente Abraham Lincoln ‒; e anche in Italia l’editore di comics Bonelli l’ha immortalata in un albo della serie Magico Vento. Cosa non riesce a produrre l’amore dei santi per Cristo…

(Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana)

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24 marzo, preghiera e digiuno per i missionari martiri

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 22/03/2015

Missio_01Il 24 marzo è la giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri; è un momento favorevole per pregare per tanti fratelli e sorelle missionari come loro che portano il messaggio del Vangelo a rischio della vita.

Missio_02Ogni anno si registrano numerose uccisioni di missionari perpetrate nel nome dell’odio e della violenza e il pensiero vola automaticamente alla difficile situazione in alcuni paesi del Medio Oriente, come la Siria, dove i cristiani sono costretti a fuggire.

Le persecuzioni dei cristiani non hanno limite di nazione o di crudeltà e, come ha più volte ripetuto Papa Francesco, “Oso dire che forse ci sono tanti o più martiri adesso che nei primi tempi”.

Per questo motivo, aderiamo alla giornata di preghiera e di digiuno in memoria dei missionari martiri, mettendo, nelle nostre intenzioni, tutti i cristiani e non cristiani che in questi ultimi tempi vengono perseguitati nel mondo a motivo della loro fede.

Ti va di offrire preghiera e digiuno insieme a noi?

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Dal Giappone un piccolo cuore cattolico che pulsa… seguendo le orme di Cristo crocifisso

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 12/03/2015

Da un po’ seguo un blog molto interessante, di un sacerdote missionario in Giappone che commenta il Vangelo del giorno in una maniera che mi edifica ogni giorno di più.

Cattolici giapponesi

Cattolici giapponesi (immagine tratta dalla rete)

Ho pensato allora di condividere la sua presentazione, che trovate anche sul sito http://vangelodelgiorno.blogspot.jp/

Mi chiamo Antonello Iapicca, sono un presbitero italiano missionario in Giappone, a Takamatsu, da molti anni. Ora mi trovo in una zona di 200.000 abitanti dove non vi è presenza cattolica, annunciando il Vangelo insieme a due famiglie missionarie, una italiana e una spagnola.

La mia esperienza

Sono nato a Roma 51 anni fa. A 15 anni sono entrato nel Cammino Neocatecumenale, dove Dio si è mostrato un Padre pieno di misericordia per me; con la forza della Parola, della liturgia e della comunità, a poco a poco ha curato le mie ferite e, illuminando la mia vita come un prodigio del suo amore, mi ha riconciliato con tanti eventi che mi avevano rubato la speranza. L’esperienza della vittoria sulla morte di Gesù Cristo compiuta nella mia vita mi ha svelato la chiamata di Dio.

Il presbiterato era il frutto di un’opera che mi sorpassava e mi sorprendeva. Venti anni fa fui inviato in Giappone, seminarista del Seminario Redemptoris Mater di Takamatsu. Come seminarista ho potuto ricevere una formazione che non si esauriva nello studio ma, accanto ad una disciplina di preghiera e di intimità con il Signore attraverso la liturgia e la Parola, si sviluppava sul campo reale dell’evangelizzazione grazie al Cammino Neocatecumenale.

Attraverso la comunità di cui facevo parte sono entrato a poco poco in Giappone, iniziando a sperimentare le gioie e le difficoltà della missione, condividendo con i fratelli le nostre vite. Sono stato ordinato 14 anni fa nella Cattedrale di Takamatsu, nella quale ho trascorso come vice-parroco i primi tempi del ministero; sono stati anni bellissimi nei quali il Signore mi ha donato di vivere a stretto contatto con il Vescovo Mons. Fukahori, e il Parroco Padre Shimoda, la cui esperienza, semplicità e santità hanno segnato questi primi passi nel presbiterato.

Cattolici giapponesi 02In Parrocchia il Signore mi ha donato di annunciare il vangelo a tanti cristiani facendo esperienza delle varie realtà presenti, gruppi di studio della Bibbia, preparazione ai matrimoni, catechismo, visite ai malati e ai fedeli che si erano allontanati dalla Chiesa. Lo sguardo profetico e lo zelo per il Vangelo di Mons. Fukahori lo hanno spinto, nove anni orsono, ad aprire all’evangelizzazione una vasta zona in espansione alla periferia sud di Takamatsu, dove non vi era una presenza concreta della Chiesa Cattolica.

Qui mi ha inviato insieme a due famiglie in missione del Cammino Neocatecumenale, una spagnola ed una italiana, per iniziare una missione rivolta direttamente ai pagani. Ho affittato una casa arredandola secondo un’estetica che parlasse al cuore delle persone. Ed ho cominciato a vivere, semplicemente.

Ogni giorno è stato un’opera esclusiva della Grazia e della Misericordia di Dio che mi hanno sostenuto, rigenerato e incoraggiato laddove sperimentavo la mia estrema debolezza, la paura e, spesso, il rifiuto della solitudine e del fallimento. Il Signore mi ha concesso di sperimentare una nuova forma di esercitare il ministero presbiterale, forse la sua essenza più profonda; nulla delle tradizionali attività di una parrocchia, mentre molti sono stati i giorni di solitudine e apparente inattività.

Molte le persone conosciute che ho accolto in casa, anche se il peso della società e la fragilità hanno spesso impedito che le relazioni si traducessero in un interesse palese e costante. Accanto alle famiglie in missione ho ricevuto i doni più grandi della mia vita, sperimentando l’autenticità delle parole del Signore sulla missione della Chiesa quale sale, luce e lievito nella società.

Ho vissuto questi anni a contatto quotidiano con la fede adulta e viva di questi fratelli che hanno irradiato, umilmente e nascostamente, la luce della Pasqua nelle tenebre di solitudine, paura e disperazione di questa società. La loro presenza, in una precarietà assoluta, abbandonati alla Provvidenza e all’amore di Dio, giorno dopo giorno, sta salando la zona in cui viviamo e attirando un certo numero di persone.

Ho sperimentato così sul campo, come la “Missio ad Gentes” necessiti di un lungo tempo e di una comunità cristiana che dia i segni di una fede adulta, capaci di interrogare e chiamare chi ancora non conosce Gesù Cristo. Abbiamo fatto diverse volte catechesi e abbiamo avuto la gioia di predicare il Vangelo a tanti che non avevano mai ascoltato la Buona Notizia. Un piccolo numero di questi è entrato in comunità ed ora cammina con la comunità che regolarmente si riunisce nella mia casa.

Cattolici giapponesi 03Molti che non sono entrati in comunità, e che forse mai vi entreranno, rimangono comunque legati alle famiglie in missione, cui si rivolgono nella sofferenza e nei momenti difficili. L’opera delle famiglie in missione è insostituibile; esse giungono dove un presbitero da solo non potrebbe mai arrivare. Attraverso di loro sono entrato anch’io nelle scuole, negli ospedali, nelle case dei giapponesi, entrando in contatto con la loro vita reale. In questi anni il Signore è andato formando con noi un corpo che, attraverso scontri e riconciliazioni, sperimentasse la comunione che viene dal Cielo.

Così, vivendo semplicemente ogni giorno, sperimentiamo con stupore come lo stesso Gesù Cristo si faccia presente laddove lui desidera condurci. Così si può dire che ogni istante della nostra vita è parte della missione e tutto quel che viviamo è un’opera dell’amore di Dio per noi e per i giapponesi che incontriamo e in mezzo ai quali abitiamo. E’ per me una gioia immensa servire le famiglie in missione con cui evangelizzo; alimentare attraverso la Parola ed i Sacramenti la loro fede, mi ha svelato la bellezza e la ricchezza del presbiterato.

Ed è una consolazione che non ha prezzo sostenere i loro figli che, come in una trincea sul fronte dell’evangelizzazione, soffrono ogni giorno la propria vita nella scuola e nel lavoro, spesso rifiutati o presi in giro perché cristiani o stranieri, e vedere come la fede si traduca nelle loro vite in segni evidenti della presenza del Signore. Sono questi ragazzi le punte di lancia dell’evangelizzazione, ed è un onore per me partecipare con loro a questa missione.

Un fatto ha sigillato questi anni illuminandoli come l’esperienza del chicco gettato in terra che, se non muore, non può produrre frutto. Cinque anni fa, dopo una lunga malattia, si è spento Felix Cordero, il padre della famiglia in missione spagnola. La fede con la quale, insieme alla moglie e ai figli, ha vissuto la malattia ed il passaggio al Padre ha segnato indelebilmente la missione di questa zona, come una profezia di ciò che davvero è l’evangelizzazione.

Quaresima_02Come il Centurione sotto la Croce, molte persone hanno visto in lui e nella sua famiglia il volto del Figlio di Dio. Questa famiglia è una prova che Cristo è davvero risorto dalla morte: oggi quattro suoi figli sono sposati, una di loro è in missione con la sua famiglia in Giappone, un’altra è suora di clausura in un Carmelo, un altro figlio è in procinto di entrare in seminario e un altro è itinerante annunciando il Vangelo.

La morte di Felix ha aperto una voragine di difficoltà, ma è stata davvero come il sepolcro del signore: tutta la famiglia vi è uscita risuscitata in una vita nuova! In questa luce ogni evento, ogni sofferenza, difficoltà, tentazione, danno senso alla missione, che è soprattutto offrire gratuitamente la propria vita come il signore l’ha offerta per noi. Questo ho visto in Felix, in Maite sua moglie, nei suoi figli e così anche, in circostanze diverse, nella famiglia italiana.

Questo evento è stato per me, come uomo, come cristiano, come presbitero, una Parola chiara ed inequivocabile del Signore che mi ha indicato l’unica via autentica della missione: seguire le orme del Signore crocifisso.

 

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